Passi di fado o di futebol. Poco cambia: l’importante è danzare, sostiene il settore giovanile del Benfica. Almeno una o due volte a settimana, soprattutto per i ragazzi più piccoli. «Il ballo stimola la coordinazione, l’equilibrio, la flessibilità e il ritmo», spiegano gli addetti ai lavori all’interno di un dettagliato reportage del Times, in cui vengono dissotterrati trucchi e segreti di una delle cantere più brillanti d’Europa. L’elenco è fitto e curioso: i futuri calciatori biancorossi sono incoraggiati a giocare a futsal o all’interno di una gabbia da 40 metri per 20, «per tenere la palla sempre in movimento». Al contempo, devono imparare a toccarla con ogni centimetro quadro dei loro piedi. Ben oltre il calcio: nel Benfica ci si allena anche con palle da tennis, da spiaggia, di ogni peso e dimensione. Alcune sono appositamente troppo dure. Altre troppo sgonfie (e una volta professionisti, vietato protestare).
Questa educazione alla lusitana parte da un’analisi di realtà: «I bambini non giocano più nelle piazze o nei campetti, così dobbiamo portare all’interno delle nostre strutture il calcio di strada». È lì che si sviluppano i fondamentali creativi di questo sport, sempre più rari in un panorama privo di spontaneità nei 90 minuti. E se a garantirlo è il Benfica c’è da fidarsi, e non certo per nostalgico romanticismo, semmai per puro tornaconto economico. Nessuno, infatti, incassa dalla cessione dei propri talenti come il club di Lisbona: 516 milioni di euro nell’ultimo decennio, oltre 140 in più di qualunque altra concorrente (fonte CIES Football Observatory). Da João Félix a Gonçalo Ramos, passando per Rúben Dias e João Neves – l’ultimo grande colpo in uscita, al Psg per 60 milioni la scorsa estate – la lista è lunga e in continuo aggiornamento. Fino a far brontolare perfino i propri tifosi, per la sistematica inclinazione a cedere le giovani promesse prima ancora di vederle esplodere con la propria maglia.
In effetti negli ultimi tempi il Benfica non ha fatto incetta di trofei, soltanto una vittoria in Primeira Liga, nel 2022/23, ma ha strutturato la sua base alla grande per gli anni a venire. Un approccio che il Times contrappone a quello della ben più conclamata Masia del Barcellona: mentre i blaugrana si ostinano a coltivare dei simboli societari duraturi nei vari Gavi, Pedri e Yamal, anche a costo di non far quadrare i conti, il Benfica è consapevole di partecipare a un campionato molto meno appetibile. E per coinvolgere i campioni del futuro, il nome non basta. Servono metodi, strutture e idee che altri club non hanno: farli crescere in centri di allenamento dislocati, per esempio, vicino alle città d’origine – in Portogallo ma anche all’estero, tra Brasile, Stati Uniti e Costa d’Avorio – per allentare la pressione su di loro e mantenere un basso profilo. O stimolarli con qualche piccolo di più. Come una lezione di danza.
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