Per essere felici, i giocatori del Manchester United devono lasciare il Manchester United

Il gol dell'ex di Anthony Elenga è soltanto l'ultimo squillo di una lunga serie: ripartire lontano da Old Trafford sta diventando sinonimo di riscossa sportiva.
di Redazione Undici
02 Aprile 2025

Ultimo venne Elanga. Contropiede bruciante, settanta metri palla al piede e sinistro incrociato a fulminare il Manchester United: la sua ex squadra. Che a vedere i propri giocatori sbocciare altrove dopo alterne fortune a Old Trafford, se non veri e propri fallimenti, ormai ci sta facendo l’abitudine. Il giovane attaccante svedese, match winner per il suo Nottingham Forest nel martedì di Premier League, è un caso lampante di quella che si è rivelata una vera e propria tendenza.

Svolgimento: un futuribile o già affermato talento viene chiamato a risollevare le sorti del malconcio United – dove il 23enne Elanga era addirittura cresciuto, dal 2015 in poi – e dapprima delude, poi stecca (tre gol e quattro assist in due anni, spesso da subentrato) infine viene ceduto. Non importa dove o con che formula. Da lì in poi, rinascita assicurata: nelle ultime due stagioni, Anthony Elanga è diventato uno dei simboli dell’ascesa del Nottingham Forest, che oggi dà 20 punti di scarto in classifica ai Red Devils. Viaggia a quota undici reti e 18 assist con la nuova maglia, tra i più interessanti prospetti offensivi del campionato. E il valore del suo cartellino – buon per il Nottingham, che lo comprò per 18 milioni di euro – è già raddoppiato.

Questo è il paradigma. Perché Elanga si trova in buonissima compagnia. Lo stesso destino sta toccando a Antony dos Santos – buon per lo United, almeno lui è in prestito – svernato a suon di giocate decisive nel Betis che si sta assicurando una nuova annata in Europa (a differenza dello United, 13esimo in Premier e alla sua peggior stagione dal 1990). La lista è impressionante: dall’ex simbolo Marcus Rashford – domenica scorsa autore di una doppietta per l’Aston Villa, ancora in corsa per FA Cup e Champions League – passando per Dean Henderson – pure in semifinale di FA Cup, col Crystal Palace – e il “napoletano” Scott McTominay, un baluardo nel gioco di Conte, fino al redivivo Danny Welbeck – che con il Brighton aveva inaugurato il campionato da incubo dello United segnando, sempre da ex, alla seconda giornata. E nel frattempo, dopo cinque anni, era tornato al gol in Champions pure Donny van de Beek, a Girona. Altro profilo esemplare: il Manchester lo pagò 44 milioni all’Ajax e dopo 62 presenze l’ha rivenduto a 9,1 agli spagnoli. Una garanzia al contrario.

A questo punto sorge un dubbio. Possibile che le faraoniche campagne acquisti dei Red Devils, per quanto oltre ogni logica e budget, non siano l’unico problema sulla decadenza del grande club che fu? Delle due l’una: se i giocatori dello United finiscono per prosperare altrove, vuol dire che tanto fiaschi non sono. E allora l’altro problema è in casa, tra Old Trafford e Carrington, che evidentemente rappresentano tutt’altro che un congeniale ambiente di lavoro e di gestione delle aspettative. Se infatti i vecchi uomini-simbolo dell’era-Ferguaon continuano a bersagliare spietatamente l’attuale gestione societaria, qualche ragione ce l’avranno. Parlano i risultati. Delle vecchie glorie, del Manchester United oggi e dei suoi ragazzi presto o tardi scaricati. Buon per loro, alla fine.

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