Il Chelsea, e poi tutte le altre. Qualunque risultato che non sia la conquista della Conference League sarebbe un fallimento: lo mostrano i numeri di una squadra talmente superiore alle avversarie della competizione, che ogni eventuale fiasco sarebbe imputabile solo ai demeriti della squadra di Maresca. A meno che una finale contro Betis o Fiorentina possa essere diversamente stimolante. Di sicuro più di quanto visto finora: 11 vittorie su 13 partite, 40 gol segnati e 11 subiti. Il 4-1 rifilato giovedì sera allo Djurgardens, in Svezia, è in perfetta media col resto del torneo. E quando Nicolas Jackson ha firmato la sua personale doppietta al 65esimo minuto, l’accesso all’ultimo atto della competizione è stato blindato con 115 minuti d’anticipo. Praticamente una partita intera di garbage time, supplementari compresi.
Sono i Blues in primis a ben sapere di non c’entrare nulla con la terza competizione europea. A settembre, per la fase a gironi, si erano presentati con una lista di giocatori sperimentale: senza Cole Palmer, Wesley Fofana e Romeo Lavia. Un trio stellare, da 200 milioni di euro, risparmiato per dare spazio ad altri talenti emergenti della rosa non ancora affermati (o a giocatori da recuperare). Fino alla semifinale, con Palmer e un altro big come Moises Caicedo chiamati in causa soltanto per archiviare la pratica nel secondo tempo. I marcatori di ieri? Un classe 2001 come Jackson, appunto, poi Madueke (di un anno più giovane) e il redivivo Jadon Sancho – che col club londinese sta ritrovando lo smalto di un tempo, quattro centri e 10 assist stagionali, di cui la metà proprio in gare di Conference.
Che tutto ciò non sia un caso, lo dimostra la lista di chi ha timbrato il cartellino nel corso del torneo. Il capocannoniere del Chelsea in Conference League è il 19enne catalano Marc Guiu, a quota 6 gol. Poi c’è Christopher Nkunku: una rete ogni nove presenze in Premier, una ogni due in Europa (5 più 2, considerati anche i preliminari). Terzo con 4 gol troviamo perfino Joao Félix, ceduto al Milan a metà stagione. Insomma, per i Blues si tratta di una comoda rampa di lancio per chi ha meno spazio in Premier se non di una vera e propria competizione terziaria. Tant’è vero che le dominanti statistiche del Chelsea sono state “sporcate” da due irrilevanti sconfitte, ai preliminari contro il Servette e al ritorno dei quarti di finale – dopo il 3-0 in trasferta dell’andata – per mano del Legia Varsavia.
Ma che senso ha invece per la Conference League avere squadroni come il Chelsea? La stessa storia era accaduta nel 2023 per il West Ham, imbattuto – anche se con cifre meno sbalorditive – nel corso dell’intera competizione. È qui che allora si vede l’effetto Premier, il cui proverbiale equilibrio si traduce in almeno una dozzina di squadre di alto livello incomparabili per gli altri campionati europei. Magari le inglesi faticheranno a dominare la Champions, ma più giù si va e più il distacco si rivela evidente. Tottenham e Manchester United hanno già le mani sulla finale di Europa League. Il Chelsea sta facendo il resto: è il prezzo di un sesto posto (stagione 2023/24) in quella che di fatto è già una superlega. A tutte le altre, l’arduo compito di rovinare la festa. Betis e Fiorentina sono avvisate.
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