Ok, a farla da padrone sono il Barcellona, il Real e Atlético Madrid. Ma in Spagna c’è tutto un altro mondo, quello che negli Usa chiamerebbero small markets: quello dei piccoli mercati, calcistici, a cui spesso non si guarda. Per la verità, non lo fanno neanche nel Paese stesso, almeno secondo i tifosi che vivono in certe città. Eppure qualche testa a livello dirigenziale dovrà per forza girarsi, perché una mobilitazione delle varie afición, le tifoserie più o meno organizzate, sta cominciando ad avere numeri importanti.
Nelle ultime settimane, infatti, più di 200 gruppi si sono aggiunti ai circa 300 firmatari iniziali di un manifesto che denuncia gravi limitazioni imposte negli stadi. In totale sono 496, di 74 club differenti, tutti a favore del documento promosso dalla FASFE (Federación de Accionistas y Socios del Fútbol Español). Si va da La Liga alla seconda e terza divisione. I fan chiedono il ripristino dei diritti fondamentali che verrebbero sistematicamente violati durante le partite. «Vogliamo condizioni minime dignitose per poter vivere la nostra passione», si legge nel comunicato consegnato a febbraio alle autorità competenti – a cominciare naturalmente dalla RFEF, la Federcalcio di Madrid.
La protesta non si ferma alla nota ma prevede una serie di mobilitazioni comuni in tutta la Spagna, con l’obiettivo di ottenere «miglioramenti sostanziali» rispetto alle attuali condizioni. Le restrizioni colpirebbero ogni aspetto della cultura del tifo: trasferte ostacolate, limitazioni su coreografie, striscioni, tamburi e megafoni. «Si tratta di divieti che mancano di logica e buon senso», denuncia la FASFE. L’obiettivo del movimento è creare unità tra le tifoserie, al di là delle rivalità, per rivendicare il diritto a «vivere il calcio con dignità e senza discriminazioni».
Andando più nello specifico, ecco le principali proposte portate avanti dall’organizzazione: in primis, e davanti a tutto il resto, l’eliminazione delle partite infrasettimanali, considerate scomode per il pubblico, soprattutto per famiglie e lavoratori. «Il calcio è sopravvissuto per oltre un secolo senza questi orari assurdi» si legge nel documento che riporta alla luce un tema caro anche alle curve italiane, la lotta alle pay tv e ai diritti televisivi. E poi una serie di misure che faciliterebbero le trasferte come la pubblicazione del calendario con almeno tre mesi d’anticipo, la ristrutturazione dei settori ospiti che migliori visibilità e porti la capienza almeno al 10%, informazioni logistiche chiare e consultabili on line e prezzi popolari, 20 euro per La Liga e 10 per la Segunda División. Inoltre i gruppi organizzati chiedono l’introduzione delle “Safe Standing”, ovvero le gradinate sicure per chi tifa in piedi, presenti in molti impianti europei (es. l’Allianz Arena di Monaco) ma irregolari secondo le direttive Uefa, maggiore libertà di espressione e di dissenso. I tifosi, infatti, denunciano episodi di censura di messaggi legittimi, spesso giustificati con «motivi di sicurezza» considerati pretestuosi.
Il malcontento, come detto, riguarda soprattutto le tifoserie meno numerose, dai Paesi Baschi al Rayo Vallecano, la terza squadra di Madrid. Ma il sentimento è comune in tutta la Spagna. Certo, se i fan delle grandi ormai si sono abituati ai calendari sempre più inframezzati per via delle competizioni europee, in provincia il discorso è diverso, anche perché il pubblico è diverso, molto meno internazionale ma più fidelizzato e radicato all’identità culturale del proprio territorio. In stadi come l’Anoeta di San Sebastián, il Balaidos a Vigo o al Benito Villamarín di Sivglia (lato Betis) è difficile trovare tifosi stranieri, ma la maggior parte sono abbonati storici che hanno usanze e tradizioni difficili da abbandonare. Dopo la gara tra Alavés e Siviglia giocata venerdì scorso, un gruppo di babazorros (il soprannome dei sostenitori dell’Alavés) ha deciso di lasciare vuoti i propri posti nelle prime fasi della partita, vinta dalla loro squadra per 2-1.
Come analizzato da El Periodíco de España, se è pur vero che per Betis-Getafe, giocata mercoledì 18 settembre alle 19:00, c’erano quasi 49mila persone, è tuttavia lampante come il calcio spagnolo sia quello più irregolare nella programmazione dei match. Negli altri campionati si sono comunque dati degli appuntamenti fissi: in Italia le tre partite del sabato (ore 15, 18 e 20:45), in Inghilterra il tipico Saturday Lunch time match delle 12:45, in Germania hanno tolto il monday night, la gara del lunedì. In Liga, però, si assiste spesso ad anticipi e posticipi dell’ultimo minuto, soprattutto in funzione delle coppe. Una tendenza che non aiuta i tifosi, specie quelli di piccoli club che magari devono organizzare impegni e mezzi di trasporto per le trasferta. Il problema delle partite del lunedì e del venerdì in La Liga non riguarda tutti i club allo stesso modo. L’Alavés, ad esempio, ha disputato due delle sue prime dieci partite in questa stagione di venerdì sera, cosa rara per Real Madrid, Barcellona e Atletico, piazzati sempre di sabato o domenica, quando c’è più visibilità all’estero.
Il calcio in mezzo alla settimana è malvisto anche da chi lavora per i club o intorno agli impianti. «Nei weekend vengono più famiglie, e si spende di più. Durante la settimana, invece, l’affluenza cala sensibilmente» ha raccontato alla rivista Panenka Carolina, una dipendente dello store ufficiale dell’Osasuna. Elena, abbonata e titolare di un’attività, ha espresso tutta la sua frustrazione: «Odio il calcio in settimana, mi costringe ad arrivare tardi a ogni partita». Il livello tecnico della Liga è alto, gli incontri sono avvincenti e gli stadi sono pieni. La passione e la voglia di vedere un gran bel calcio rimane, ma non bisogna tirare troppo la corda. Il tifoso local, e che he va sempre allo stadio, desidera poter andare in trasferta più comodamente e non trae alcun beneficio dalle partite infrasettimanali.
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