Più che un colpo di scena, è un ritorno alle origini. Perché Tyra Caterina Grant – parole sue – è nata e cresciuta in Italia, parla italiano da sempre e i suoi amici «sono quasi tutti italiani». A partire da questi presupposti scegliere di rappresentare la nostra Nazionale, nonostante una gavetta tennistica negli Stati Uniti, è stata la mossa più naturale. Ed è arrivata con «un tempismo perfetto», aggiunge lei: verso gli Internazionali di Roma, nella città dov’è nata il 12 marzo 2008. Oggi, 17 anni dopo, Grant sta scalando le gerarchie del tennis con impressionante precocità. Numero due al mondo tra le Under 18, già protagonista di importanti vittorie anche a livello WTA: non inganni la posizione nel ranking (356), più indicative semmai le avversarie che la ragazza è stata capace di battere (come la tedesca Tatjana Maria, numero 80, sorpresa all’Open di Madrid poche settimane fa).
Dall’altra parte dell’oceano, la notizia è stata accolta con un certo dispiacere: «Grant era una delle più grandi promesse del tennis americano», scrive il New York Times via The Athletic. E la porta era rimasta aperta a lungo, a partire dalla storia familiare: la mamma è di Vigevano, papà Tyrone invece è di Brooklyn – con un passato cestistico di tutto rispetto, tra Olimpia Milano e l’NBA soltanto accarezzata con i Charlotte Hornets. Un contesto a trazione sportiva, che la figlia ha sperimentato in più discipline prima di darsi definitivamente alla racchetta. Per quanto riguarda la scelta del paese, Tyra si è presa il suo tempo. Ma alla fine ha sciolto le riserve trovando il pieno supporto dei genitori.
Ora l’aspetta la Capitale: Grant ha ottenuto una wild card per partecipare agli Internazionali d’Italia, al via da mercoledì 7 maggio. E potrà mettere in mostra tutto il suo talento sulla terra rossa. Nel solco di Errani e Paolini, un giorno, chissà. Con un certo buonsenso, lei risponde ai microfoni di «non sentire la pressione di fare subito risultato: sono giovane, mi godo il momento e l’amore della gente». Al Foro Italico ritroverà pure qualche faccia nota. Non così tanto tempo fa, mentre Matteo Berrettini arrivava fino alla finale di Wimbledon, presso l’Accademia di Riccardo Piatti a Bordighera (Imperia) si stavano allenando due fortissimi teenager: una era Tyra, appena 13enne; l’altro, zazzera rossa e quattro anni più grande, di lì a poco avrebbe spaccato il mondo. Pensando a Jannik Sinner, alla giovane Grant viene in mente «l’immagine di un bel periodo: in quel centro sportivo si vive tutti insieme, un po’ come una grande famiglia». Ha osservato i più grandi, imparato da loro e il resto l’ha messo da parte. Di set in set, ora tocca a lei.