Il fatto che Jannik Sinner sia un mostro di talento e di solidità e di continuità, beh, quello l’abbiamo interiorizzato. Allo stesso modo, il fatto che stiamo parlando di un fuoriclasse generazionale continuerà a sorprenderci ancora per un po’ di tempo, ok, ma oggi come oggi cominciamo a essere più orgogliosi che stupefatti, non riusciamo più a manifestare la stessa incredulità di un anno fa, siamo un po’ più assuefatti al suo dominio incontrastato, è inevitabile. La cosa davvero importante, però, è che la seconda Coppa Davis consecutiva vinta dall’Italia, la terza in assoluto dopo quelle del 1976 e del 2023, va decisamente oltre Sinner. È chiaro, avere nel roster un alieno del genere è una specie di assicurazione sulla vita, un punto in singolare è praticamente garantito in ogni sfida contro qualsiasi Nazionale, se fossimo nel mondo del calcio si direbbe che Sinner fa partire la sua squadra con un gol di vantaggio, sempre. Ma il secondo trionfo consecutivo a Málaga ha anche altre facce, ha il sapore di una conferma definitiva. Ci dice chiaramente, senza timore di smentita, che l’Italia è la grande superpotenza del tennis contemporaneo.
I numeri spesso sono noiosi, soprattutto quando si insinuano nel racconto dello sport e quindi prendono la forma delle statistiche. Ma a volte, come in questo caso, snocciolarne qualcuno diventa indispensabile, è l’unico modo possibile per definire e sostenere la tesi di fondo, quella per cui il nostro movimento tennistico abbia raggiunto la cima del mondo, nonché il suo apice storico. In questo senso, allora, è giusto che sappiate che l’ultimo back-to-back in Coppa Davis, almeno fino a ieri, risaliva al biennio 2012-2013. E che a compiere l’impresa fu la Repubblica Ceca di Berdych e Stepanek. Si, d’accordo, era un’altra Davis: più lunga, più dura, più epica. Ma era anche una Davis a cui i fenomeni veri, come dire, prendevano parte in maniera intermittente. Mentre invece adesso, con una nuova formula controversa e futurista, tutti i migliori tennisti sembrano tendenzialmente più disposti a giocare il torneo. E se proprio non vogliono e/o non riescono a esserci per i turni preliminari, alla fine in pochi resistono alla tentazione di farsi convocare per la fase finale.
Il punto, a pensarci bene, è proprio questo: l’Italia è arrivata alle final eight di Málaga e aveva i migliori tra i migliori. In Andalusia, con la maglia azzurra addosso, c’erano il tennista numero uno del mondo ma anche il numero 17, Lorenzo Musetti; inoltre, come se non bastasse, il capitano Filippo Volandri ha potuto contare anche sul numero 35 del ranking ATP, Matteo Berrettini: solo che però stiamo parlando di un numero 35 fasullo, di un giocatore che ha disputato una finale di Wimbledon, che in passato si è arrampicato fino al sesto posto nella classifica mondiale. E che proprio in queste ultime settimane ha ricominciato a giocare come sa, cioè da numero sei – ma anche da numero cinque o da numero quattro, senza esagerare – del circuito. Infine, per chi non lo sapesse, nella nostra Nazionale di tennis c’erano e ci sono due doppisti, Andrea Vavassori e Simone Bolelli, che occupano il nono e l’undicesimo posto della classifica specifica. Così, per non farci mancare niente. Per chi ama i confronti: l’Australia eliminata dagli Azzurri in semifinale è sbarcata in Spagna con De Minaur e Kokkinakis, rispettivamente il nono e il 77esimo giocatore del Ranking singolare, e con il numero tre (Thompson) e il numero 13 (Ebden) del Double Ranking ATP.
Solo altri due numeri, poi la smettiamo. Il primo è un estratto dell’attuale classifica ATP e quindi va al di là della Davis: se guardiamo alle prime 60 posizioni, infatti, troviamo ben sette italiani (i già citati Sinner, Musetti e Berrettini, a cui vanno aggiunti Cobolli, Arnaldi, Darderi e Sonego), una quota appaiata o superata solo dagli USA (otto tennisti), e solo Sonego e Berrettini hanno più di 23 anni. Infine, allargando per un attimo il campo anche alle donne, anche loro campionesse del mondo, nelle ultime 35 stagioni era successo soltanto due volte che lo stesso Paese conquistasse la Davis e la sua controparte femminile, la Billie Jean King Cup (ex Federation Cup), nello stesso anno: Repubblica Ceca 2012 e Russia 2021.
Ecco, questo è quello che si può definire come un bilancio florido. A maggior ragione se aggiungiamo le due medaglie conquistate a Tokyo 2024 dopo cento anni esatti di astinenza, ovvero l’oro di Paolini/Errani e il bronzo di Musetti. E allora forse è il caso di alzare un po’ il tiro e il tono delle parole: siamo di fronte a un trionfo continuo e ripetuto che non può essere solo frutto del caso, e infatti nasce dalle idee e dal lavoro. Da politiche federali che vengono portate avanti e che funzionano bene da anni, che hanno determinato le condizioni perché il nostro movimento producesse un campione assoluto – un evento che ha un’inevitabile componente randomica, a dirlo è la storia – ma anche un nutrito grappolo di giocatori di alto e altissimo livello. Tra l’altro si tratta di giocatori atleticamente e tecnicamente diversi tra loro, quindi in grado di fare benissimo su tutte le superfici e in qualsiasi contesto: anche questa è una grande e gradita novità, per il tennis italiano.
Chi si aspettava che l’Italia, un Paese che storicamente ha prodotto solo terraioli, potesse avere due e più tennisti in grado di giocare così?
Il Guardian, nell’articolo in cui ha raccontato la vittoria di Málaga contro i Paesi Bassi, ha scritto che «questo titolo deve essere considerato come un riflesso dell’incredibile profondità del tennis italiano, che può contare su un enorme bacino di giocatori». Insomma, in questo momento l’Italia sta al tennis come la Francia sta al calcio, fatte naturalmente le dovute proporzioni tra uno sport prettamente individuale e uno di squadra: Sinner è Mbappé, ci siamo, ma intorno e insieme a lui sono fioriti diversi giocatori che sarebbero le stelle assolute di tante altre Nazionali. Che soltanto sette-otto anni fa sarebbero stati gli uomini-simbolo del nostro movimento, e invece ora sono percepiti come membri di un supporting cast.
Tutte queste cose se le ricorda e le sa benissimo anche Volandri. Che per anni è stato il miglior tennista italiano, che non è mai andato oltre il 25esimo posto del Ranking ATP. E che pochi minuti dopo la vittoria di Sinner su Griekspoor – una partita dall’andamento più sofferto di quello che suggerisce il risultato finale, nel primo set il tennista dei Paesi Bassi è stato quasi sempre all’altezza del numero uno del mondo, ha mantenuto il suo ritmo, ha giocato colpi potenti, precisi e anche sorprendenti, ma poi si è arreso sulla lunga distanza – ha detto, non a caso, che «Arnaldi e Cobolli ci hanno portati qui a Málaga, quindi questo trionfo è il frutto del lavoro di tutti».
Post-scriptum emotivo-sentimentale, ma che ha anche un certo significato tecnico e storico: nella stessa sessione di interviste in cui ha citato Arnaldi e Cobolli, Volandri ha raccontato che la sua Nazionale aveva fatto un patto, che tutti i suoi giocatori, Jannik Sinner in primis, avevano deciso di provare a rivincere la Davis insieme a Matteo Berrettini, assente l’anno scorso a causa di un infortunio. Ecco, è bello pensare che adesso anche Matteo possa esporre l’Insalatiera in bacheca, proprio lui che nel biennio 2019 –> 2021 ha fatto decollare il tennis italiano verso altezze che per diversi decenni sono sembrate lontanissime, irraggiungibili, e invece adesso sono diventate la normalità.