A pensarci bene, le doti più entusiasmanti di Jannik Sinner sono opposte e contrarie al concetto stesso di entusiasmo. Stiamo parlando della sua solidità, della sua consapevolezza, della sua tranquillità. Per capire cosa intendiamo, basta andare con la mente a poche ore fa, a un punto esatto della finale degli US Open. Al momento in cui il tennista numero uno al mondo è andato a un soffio dal perdere il terzo set contro Taylor Fritz – break subito sul 4-4 e Fritz al servizio sul 30 pari, quindi a due punti dal riaprire la partita – ed è proprio in quel momento che ha definitivamente annientato il suo avversario, dopo averlo progressivamente demolito: si è ripreso subito il break e da lì è partito come un treno giapponese, quelli futuristici che vediamo nei reel su Instagram e che sembra volino sopra i binari, verso la vittoria. Vittoria che è arrivata puntualmente, dopo pochi minuti vissuti praticamente senza suspense. Proprio come succede quando si aspetta un treno giapponese.
È facile pensare che la solidità e la consapevolezza e la tranquillità di Sinner – che non sono affatto il contrario dell’entusiasmo, solo i suoi avversari la pensano così – siano qualità legate alla sua psiche, a una forza mentale spaventosa. È certamente così, ma non è tutto qui. Chi ha visto e seguito Sinner fin dall’inizio della sua carriera, infatti, non ha notato grandi cambiamenti nel suo atteggiamento, nel modo in cui vive e prova a governare le partite. E infatti già a ottobre 2020 Gianni Clerici scriveva che Sinner era da considerare «freddo come gli inverni di casa». Dunque bisogna cambiare o comunque rivedere la prospettiva, la natura di certe virtù: la solidità e la consapevolezza e la tranquillità di Sinner, in realtà, sono qualità essenzialmente tecniche. E cioè nascono e sgorgano a partire da un bagaglio tennistico che negli ultimi due anni si è espanso a dismisura e oggi non conosce confini, che si manifesta sempre ballonzolando su quella linea immaginaria che divide il grande colpo dal capolavoro assoluto. Molto spesso, per altro, quella linea viene abbondantemente superata.
Insomma, per dirla brutalmente: Sinner vince e dà l’impressione di dominare ogni partita, o quasi, perché sa fare tutto alla grande. Certo, le discese a rete e le smorzate sono più rare e meno letali dei proiettili che spara da fondo campo, ma sono armi che Jannik ha imparato a padroneggiare, che sa sfoderare nel momento in cui ha senso farlo. È così che il nuovo campione di Flushing Meadows è venuto e viene fuori dalle partite più appiccicose, dai momenti più complessi, anche solo potenziali: contro Medvedev abbiamo visto un Sinner capace di portarsi a casa 28 punti su 32 tentativi arrivati dopo una discesa rete, e quella era/è stata la strategia giusta per mandare in tilt il tennista russo; in semifinale e in finale, contro Draper e Fritz, Sinner ha tenuto il campo in maniera completamente diversa, è rimasto più indietro, in alcuni momenti si è trasformato in una specie di muro capace di respingere qualsiasi cosa, colpi potenti e angolati e servizi velocissimi, senza battere ciglio.
Poi è inevitabile – in fondo anche lui è un essere umano – che anche Sinner abbia dei blackout e viva dei segmenti di smarrimento, di pura difficoltà. Difficoltà tennistiche o anche fisiche, come quando Fritz l’ha breakato sul finire del terzo set della finale, come quando ha sbattuto il polso sinistro sul campo dopo un incredibile recupero durante la semifinale contro Jack Draper. Jannik, però, trasmette la sensazione per cui i suoi momenti difficili facciano parte di un piano. Ovviamente non è così, la sua è una forza di reazione: Sinner sa giocare senza esagerare ma sa anche che a un certo punto deve accelerare. Allora lo fa, e da lì in poi è davvero difficilissimo restare aggrappati a lui. In pochissimi ci riescono, e nessuno di questi ha un tennis regolare ma anche vario come il suo. Vedete che torniamo di nuovo alla tecnica, ai colpi, prima che alla forza mentale?
Il punto è che, quando si alza la posta in palio, Sinner va a vedere. Anzi, la maggior parte delle volte rilancia, e in ogni caso ha sempre in mano – nelle braccia, nelle gambe, nella memoria muscolare – un punto molto forte da far cadere sul tavolo, sul campo: la prima di servizio, la palla pesante ma comunque arrotata, la seconda lavorata e angolata, il colpo a rimbalzo che taglie le gambe al suo avversario, la palla corta che non ti aspetteresti mai e ogni tanto viene fuori, a volte anche la volée che chiude ogni angolo possibile dopo il quarto o quinto recupero che fa venire il fiatone, dopo l’ennesima corsa a tergicristallo. In alcuni tratti della finale, tanto per tornare alla partita di ieri, Fritz ha giocato davvero un ottimo tennis: veloce e potente, anche creativo e spettacolare, se vogliamo. È così che si è ripreso il break perso all’inizio del primo set, è così che ha acceso il pubblico di New York e si è conquistato l’opportunità di servire per vincere il terzo. In quegli attimi, però, Sinner ha risposto nel modo giusto: è arretrato di qualche metro e così ha ripreso le misure dei suoi colpi potenti da fondo, ha restituito il break, ha risistemato un po’ le percentuali – comunque bassine, l’unico neo della sua finale – della prima di servizio e infine si è messo a palleggiare ad altissimo ritmo, a muovere il suo avversario, fino quasi a costringerlo all’errore. Alla resa. Proprio così, non a caso viene da dire, è arrivato il punto decisivo:
Questi sono gli highlights della finale, naturalmente potete vedere il match point nell’ultimissima parte del video
Le parole di Sinner subito dopo la finale, e in generale negli ultimi giorni, hanno riportato le luci sulla sua tenuta nervosa, sulla sua capacità di rendere – che nel suo caso vuol dire vincere – anche in condizioni difficili, sia fisiche che (soprattutto) psicologiche. Ma ripetiamo, a scanso di equivoci: la saldezza inscalfibile di Jannik è sempre stata lì, è sempre esistita, solo che lui nel frattempo è diventato il miglior tennista del mondo, il più completo, quello che raggiunge i picchi più alti e riesce a tenerli più di chiunque altro. Il bello – ora si può dire, fino a poco tempo fa era il brutto – è che non era mai successa una cosa del genere con un tennista italiano, e infatti è la prima volta che la nostra bandiera trova un po’ di spazio nell’albo d’oro del torneo maschile degli US Open. La sensazione, se guardiamo ai dati e anche alle percezioni, è che Sinner ce ne farà vivere tante altre, di prime volte. È solo questione di tempo, possiamo stare tranquilli, possiamo esserne sicuri. Proprio come Jannik.