Tutto sarebbe stato vano. Le parate di Sommer, le cavalcate di Dumfries, lo sforzo da capitano vero di Lautaro Martínez. Tutto sarebbe stato vano se Marcus Thuram, al minuto 93 e con l’Inter in modalità preghiera e il Barça a contare i secondi, non avesse avuto la forza di restare piantato in mezzo al campo su rinvio del portiere. La difesa blaugrana si squaglia, come respinta dall’elettrostatica dell’attaccante nerazzurro. Lui raccoglie, controlla, innesca l’olandese furioso. Assist ad Acerbi in versione messia di San Siro e il resto è storia.
Tutto sarebbe stato vano anche ai supplementari, forse. Altra palla da addomesticare a mezz’aria, circondata da maglie del Barça: Tikus è ancora lì. Inscalfibile. Uno, due rimbalzi. Poi uno strano saltello a eludere Araújo e Gerard Martín, che devono ancora capire cosa sia successo. Anche perché Thuram è un predatore sornione. Mica attacca la porta. Guadagna il fondo, torna indietro, dà l’idea di volersi appoggiare a qualche compagno a rimorchio. E invece no. Mortifera finta di corpo, dribbling, sprint e rasoiata a centro area. Taremi fa una sponda di preziosa umiltà, Frattesi ha il ghiaccio nelle vene e s’inventa una finta illeggibile e un sinistro alla Grosso – extra time, mattonella, esultanza, Caressa e Bergomi: massì, esageriamo anche noi. A quel punto però, il grosso era già fatto. Confezionato dal figlio di Lilian nell’azione di sfondamento più pesante della storia dell’Inter.
C’è tutto il repertorio di Thuram, in quei dieci secondi. Fisicità stratosferica, intelligenza tattica fuori dal comune: un concentrato di utilità. E una resistenza da ultramaratoneta. Perché l’attaccante aveva smesso di correre già da metà secondo tempo. Benzina finita, kaputt. «Marcus sul 3-3 continuava a dire che era stanco», ha rivelato lo stesso Frattesi nel postpartita. «Io gli ripetevo: guarda che passiamo noi». Hanno avuto ragione entrambi, come ogni tassello dell’Inter. Beninteso, non c’era singolo nerazzurro arrivato alla semifinale di ritorno in condizioni atletiche ottimali: lo stesso matchwinner ha dovuto stringere i denti, Lautaro ha dato l’esempio recuperando in tempo di record dall’infortunio in Catalogna. Tikus però ha fatto a sportellate per 120 minuti, orchestrando la rimonta e la controrimonta, dando insomma l’impressione di essere tutto fuorché acciaccato. L’ha decisa su una gamba sola.
Il gol di Frattesi
Lo stop di Thuram – affaticamento agli adduttori della coscia sinistra, guaio subdolo se non trattato a dovere – era piombato nel momento topico della stagione nerazzurra. E senza di lui, i nerazzurri sono sprofondati: Bologna, Milan, Roma. Tre sconfitte e zero gol. Rientro in casa del Barça e appena 20” per ritrovarlo, con un colpo di tacco da antologia. L’ha aperta e l’ha chiusa Tikus, questa semifinale. Più che destino è volontà di potenza. E potenza della volontà.
Al fischio finale è corso a consolare Yamal, l’altro trascinatore se fosse passato il Barcellona. Thuram – come chiunque, più di altri – non avrà mai la sua tecnica strabiliante, ma oggi come oggi ha dimostrato di avere un peso specifico ancora maggiore del ragazzino che decide le partite da solo (e che avrà tutto il tempo per riscattarsi). Nelle avversità c’è chi si esalta. E nell’affiatata tribù nerazzurra, Thuram non può essere che il totem. Sia per presenza plastica sulle palle alte o vaganti, sia per simbolica investitura: da spirito protettivo dell’Inter e delle sue pazze notti europee. Le grandi squadre sono fatte di irripetibili protagonisti. Tikus tra le linee in loop.