Il dibattito intorno alla storica «crisi di talento» che affliggerebbe l’Italia, e che naturalmente inciderebbe anche sui risultati della Nazionale, raramente guarda verso l’export. Nel senso: uno dei problemi che non viene mai tirato dentro la discussione, ma che in realtà esiste, è quello che riguarda la scarsissima tendenza dei nostri calciatori a trasferirsi all’estero. In questo senso, i dati sono davvero eloquenti: secondo l’ultimo rapporto dell’osservatorio calcistico CIES, che ha costruito un vero e proprio atlante dei calciatori espatriati, l’Italia è dietro a tutti i Paesi più importanti nel mondo del calcio (Brasile, Francia, Argentina, Inghilterra, Spagna e Germania, poi se vogliamo anche Paesi Bassi e Portogallo). E lo è anche di molto.
Proprio Brasile, Francia, Argentina, Inghilterra, Spagna e Germania occupano i primi sei posti della classifica globale. Per quanto riguarda i numeri in valore assoluto, si va dai 1418 calciatori brasiliani in giro per il mondo fino ai 475 tedeschi. L’Italia, invece, è ferma a 158 calciatori expat. E il problema, a pensarci bene, non è neanche questo. Infatti basta approfondire, nel senso basta leggere i flussi di trasferimento, per comprendere che il problema è essenzialmente qualitativo: le nazioni stranieri in cui ci sono più giocatori italiani sono Malta e Slovenia, entrambe con 14; seguono Inghilterra (13), Svizzera U13) e Stati Uniti (nove). Insomma, si può dire: i calciatori italiani che vengono richiesti/vanno all’estero sono pochi, e anche poco riconoscibili. In questo senso, il confronto con gli altri Paesi è davvero impietoso: la Francia ha 93 calciatori in Italia, 65 in Spagna, 62 in Inghilterra; il Brasile ne ha 41 in Inghilterra, la Spagna ne ha 45 in Italia e 34 in Inghilterra; la stessa Inghilterra, i cui giocatori storicamente faticano a emigrare, in questo momento ha 20 giocatori in Italia e 16 in Germania.
In virtù di tutto questo, si può affermare che le più grandi scuole calcistiche del mondo, anche quelle culturalmente meno abituate a vendere i loro talenti, si sono adattate a un mercato globalizzato. L’Italia, invece, è rimasta molto indietro: i casi di Donnarumma, Tonali e Udogie restano ancora isolati, e anche quello di Verratti – che si è costruito una grande carriera giocando esclusivamente all’estero – non ha portato a successivi tentativi di emulazione. Ed è un peccato, perché questo cambiamento potrebbe contribuire alla crescita del movimento, molto più di altre politiche. È finito il tempo delle leghe e dei grandi club che importano solo talento, ora bisogna anche guardare fuori, ibridarsi, imparare cose nuove uscendo dal recinto di casa. Funziona, lo dicono i numeri e gli albi d’oro.