Una delle domande che nessun tifoso, appassionato od osservatore del calcio vuole farsi è: “E se avesse avuto ragione Andrea Agnelli?”. Nel 2021, in un’intervista al Corriere dello Sport, l’ex oresidente della Juventus disse che tra i buoni motivi per fare la Super Lega c’era il fatto che «i due terzi dei giovani che seguono il calcio lo fanno per FOMO». FOMO è un acronimo che sta per Fear Of Missing Out, la paura di ritrovarsi tagliati fuori da un evento storico, da un momento generazionale, da una svolta nell’esistenza collettiva. Secondo Agnelli, l’incipiente FOMO calcistica andava coltiva, resa rigogliosa: la Super Lega era stata pensata per questo, per offrire un evento storico alla settimana, un momento generazionale al giorno, una svolta nell’esistenza collettiva al secondo. Sostanzialmente un progetto di ingegneria sociale, finito come spesso finiscono i progetti di ingegneria sociale.
La società segue i suoi percorsi con i suoi tempo e le sue ragioni, e quello che deve succedere alla fine succederà, alla faccia degli pseudo scienziati che pensano di poter manipolare a loro piacimento il corso degli eventi. Agnelli è probabilmente arrivato con troppo anticipo e ha usato i modi troppo sbagliati, ma bisogna ammettere che il presente gli sta dando ragione: la FOMO è ormai uno dei motori che muove la macchina la macchina del calcio, le proporzioni è ancora presto per calcolarle (due terzi per FOMO, uno per tifo sembra un tantino eccessivo) ma il conto prima o poi bisognerà farlo.
Napoli-Cagliari
Non ci sarebbe da stupirsi se la prima ricerca accademica scientificamente riconosciuta e approvata prendesse come case study quello che è successo nei giorni precedenti a Napoli-Cagliari. Ora, le code per i biglietti per una partita di calcio sono sempre esistite, come sono sempre esistite le persone che quei biglietti riuscivano ad accaparrarseli e le persone che la partita si rassegnavano invece a seguirla da casa. Anche se usiamo una parola relativamente nuova per definirlo (FOMO, appunto), il fenomeno non è interamente nuovo. La sensazione di star assistendo a quella che nel vetusto gergo giornalistico viene definita “attesa spasmodica/attesa senza precedenti” è data dal fatto che internet ha trasformato l’attesa da una cosa privata (persino intima, in certi casi) a un fatto pubblico. Definirsi in hype per qualcosa è una delle principali attività con le quali trascorrere il tempo sui social. E l’hype è come i pappi dei pioppi di Milano: da un giorno all’altro riempiono l’aria, ci cammini attraversi, ti si attaccano ai vestiti, ti restano intrappolati nei capelli, e non ci si può fare niente, è la loro stagione. L’hype funziona più o meno alla stessa maniera: il giorno prima nessuno si sta preoccupando di acquistare il biglietto di Napoli-Cagliari, il giorno dopo nella coda digitale di TicketOne ci sono 400mila persone, come per un concerto del reunion tour degli Oasis.
L’offerta è talmente bassa rispetto alla domanda che c’è chi si è fatto subito furbo e ha capito che l’unica maniera per vedere la partita allo stadio era vederla dal settore ospiti. C’è chi invece è sempre più furbo degli altri, di tutti, è riuscito a comprare il biglietto (ma sarà vero?) e la prima cosa che ha fatto è stata far partire una live su TikTok: biglietto in vendita a 1500 euro, «vi sto facendo un regalo», dice lo streamer agli streammati. Poco conta che il regalo sia caro, la pratica illegale e il biglietto pure inutile in quanto nominale.
Mentre si aspetta il proprio turno e si maledice il tempo che non passa veloce abbastanza, come quella milanese si riempie di pappi, l’aria di internet si satura di post, storie, meme, insulti, bestemmie. L’attesa spasmodica/l’attesa senza precedenti è un content efficacissimo, ottiene il risultato che soltanto il miglior content riesce a ottenere: si replica per partenogenesi, da solo, passa da utente a utente come un virus, un batterio, una malattia. Il desiderio, soddisfatto o frustrato dell’altro, diventa anche il mio desiderio. In coda ci voglio stare anche io, perché la FOMO funziona così: ogni momento che precede il momento storico è a sua volta storico, è un gesto in una liturgia, un passaggio di un rito.
In fondo, non è così difficile da capire, è una cosa che succede da quando gli esseri umani hanno cominciato a vivere assieme: se camminando per la strada, a un certo punto, vedete una folla di persone ferme in un posto che aspettano, che cosa fate? Sicuramente vi fermate, chiedete informazioni a qualcuno su che cos’è che stanno aspettando tutte quelle persone, magari finisce che vi mettete ad aspettare pure voi. Qual è la differenza tra FOMO e tifo, viene da chiedersi. Tutti i tifosi soffrono di FOMO, ma non tutti quelli che soffrono di FOMO sono tifosi. Eventi come una partita scudetto o una finale di Champions League “arrivano” anche a chi dello scudetto e della Champions League non importa nulla, quelli che in un gergo ormai quasi totalmente dimenticato si chiamavano “gli occasionali”. Sono eventi, appunto: toccano comunità molto più ampie e vaste di quella del tifo, sono momenti nella vita di una città, provocano spostamenti nel Paese intero.
Inter-PSG (e il Bodo/Glimt)
Delle autorità del calcio possiamo pensare tutto il male possibile, e con ottime ragione. Ma se c’è una cosa che possiamo riconoscere a istituzioni come l’UEFA è che i conti li sanno fare. Se per le tifoserie delle squadre finaliste di Champions League vengono messi a disposizione 18mila biglietti, è perché ci si aspetta una domanda proporzionata all’offerta. Se anche l’UEFA avesse voluto soddisfare in pieno la domanda di una parte e dell’altra, dei tifosi dell’Inter e del Psg, se anche l’Uefa avesse deciso di non dare nemmeno un accredito a ricchi ospiti e potenti politici, comunque non sarebbe bastato: non esiste lo stadio che può contenere 80mila tifosi dell’Inter da una parte e 80 mila tifosi del Psg dall’altra. Tanta è stata la richiesta dei cosiddetti “codici”, la versione digitale del biglietto d’oro di Charlie, il pezzo di codice che permette l’ingresso nella fabbrica di cioccolato del calcio. E se pensate si tratti di un’esclusiva tutta italiana, o dei grandi club, vi sbagliate: prima dell’ultima semifinale di Europa League, i tifosi del Bodo/Glimt – che vivono al Circolo Polare Artico, e questo magari significa qualcosa – si sono messi a barattare qualsiasi cosa, pure chili e chili di carne e pesce, pur di andare allo stadio.
Ciò che fa della FOMO una forza tanto potente è che è come il maiale: non se ne butta via niente. In questi giorni i feed social di tutti sono pieni tanto di giubilo quanto di imprecazioni. Il giubilo è di chi il biglietto per Napoli-Cagliari è riuscito a comprarlo, a costo di costringere terrorizzati tabaccai a barricarsi nei loro esercizi commerciali per respingere la rabbia crescente; il giubilo è di chi ha ricevuto la notifica che ufficializzava la ricezione del codice per Inter-Psg. Ma la potenza della FOMO sta nel fatto che concede la stessa considerazione anche a chi dal giubilo è stato escluso e si rifugia nell’imprecazione: quella degli incazzati è una comunità a se stante, con codici propri (in questi giorni si vedono meme e reaction di qualità elevatissima, da parte di chi il biglietto non è riuscito a prenderlo) e una propria, contraddittoria gioia di vivere.
La FOMO è così potente perché riesce a far venire voglia di stare su entrambi i lati del campo di battaglia, quello dei vincitori e quello dei vinti, perché sembrano entrambi importanti alla stessa maniera, perché sembrano entrambi degli eventi storici ai quali nessuno vorrebbe mancare. Il potere della FOMO sta proprio qui, nella sua capacità di risolvere il dilemma nannimorettiano del “mi si nota di più se vengo o se non vengo”: ti si nota lo stesso, che tu venga o non venga avrai comunque una storia da raccontare, un contenuto da postare (quanti post si sono visti, negli ultimi giorni, tutti uguali, tutti a fare lo screenshot del proprio posto in fondo all’infinita fila in attesa. Sembrerà strano, ma la FOMO si applica così bene al calcio, allo sport in generale, perché è quanto di più decoubertiniano ci sia: nell’epoca della fear of missing out, l’importante non è tanto riuscire ad assistere a un evento storico, ma partecipare all’ossessione collettiva per lo stesso evento. Riuscire a trovare il biglietto, poi, alla fine è una questione di fortuna.