Elogio alla resistenza emotiva di Eusebio Di Francesco

Il paradosso del calcio è che ci voleva un'altra retrocessione, un'altra agonia sportiva, per riabilitare la carriera di un allenatore come Di Fra. Che, al Venezia, è stato tutto fuorché un fallimento.
di Francesco Gottardi 26 Maggio 2025 alle 14:43

Ci sono lacrime e lacrime. Quelle di domenica, allo stadio Penzo, hanno la chimica di un atto liberatorio: Eusebio Di Francesco dev’essere in pace. Il suo Venezia è appena retrocesso in Serie B, d’accordo, ma a captare l’atmosfera e le vibrazioni della laguna tutto sembra fuorché una giornata di strazio. Tutti i tifosi in piedi ad applaudire. Gli avversari una Juve col fiatone, alle corde – che si prodigano in complimenti e abbracci coi giocatori arancioneroverdi, tanto ostica s’è rivelata la loro resistenza da underdog. E soprattutto un coro: “Di Francesco sotto la curva”. A pieni decibel, seggiolini stracolmi anche dopo il fischio e il verdetto finale. «Raramente in Italia succede una cosa del genere», ammette lo stesso allenatore.

In questo senso, Di Fra è riuscito in un piccolo miracolo: tenere compatto un ambiente intero, quando i numeri duri e crudi del Venezia dicono appena 29 punti totali – con cinque vittorie stagionali, nemmeno il 13% delle partite: il peggior score nella carriera dell’ex Roma e Sassuolo. È un miracolo essere arrivati a novanta minuti dalla speranza – anzi, meno: tra il 2′ e il 25′ del primo tempo, Nicolussi e compagni si trovavano allo spareggio contro il Lecce – con una rosa che poco ha a che fare con il massimo campionato. È un miracolo esserci riusciti senza il proprio capocannoniere, svernato a Palermo a metà stagione. «Se Di Fra salva il Venezia va premiato allenatore dell’anno», commentavano in queste settimane negli studi di Sky Sport. Ci è mancato un soffio.

Sono passati dodici mesi esatti dal tracollo del Frosinone – e da quelle altre lacrime dalle antitetiche sfumature: psicodramma, suicidio sportivo, incubo. Quel giorno Di Francesco era diventato un meme per tutti i social d’Italia: la garanzia del fallimento, la iettatura oltre il bel gioco. Un curriculum di quattro esoneri e una retrocessione nell’ultimo lustro – cioè sì, un disastro. Il paradosso del calcio, oggi, è che aggiungendo un altro capitolo negativo a quella lista, statistiche alla mano, in realtà Di Fra è arrivato finalmente a espiarla. Il Venezia retrocede con cinque punti in meno di quel Frosinone, eppure a nessuno, nel day after, viene in mente la parola rimpianto. «Questa squadra ha dato tutto ciò che poteva darmi: quando vedo anima e cuore non posso rimproverare niente a nessuno. L’ha capito anche il nostro straordinario pubblico», questa l’analisi dell’allenatore del Venezia. Che poi aggiunge, in sala stampa, l’ingrediente che fa la differenza: «È il secondo anno che retrocedo all’ultima giornata: oggi ho scelto di venire perché è giusto metterci la faccia».

La corazza dell’uomo è tutta qui. Scendere di categoria fa malissimo, sempre e comunque. Eppure Di Fra si ostina a mettere in gioco la propria resistenza emotiva, accettando progetti tecnici sempre meno attrezzati a raggiungere l’obiettivo. È così che ha riottenuto il rispetto della Serie A – e pure dei social, per quel che vale, scrollando qua e là – a dispetto di un verdetto che continua a ripetersi perentorio. Classifica alla mano, è dai tempi della Roma in Champions che Di Francesco non vive un campionato fuori dalla zona rossa, dall’ansia di non essere ogni settimana sulla graticola. Eppure mantiene una coriacea lucidità tattica, infondendola a tutto il gruppo, senza la quale una squadra come il Venezia mai avrebbe battuto la Fiorentina o imposto il pari alla Lazio, all’Atalanta e al Napoli campione d’Italia.

Certo si potrebbe fare anche una disamina degli errori, e di sicuro humanum est Di Francesco ne ha fatti. Soprattutto nella prima parte della stagione, quando gli arancioneroverdi avevano un terminale offensivo di tutto rispetto Joel Pohjanpalo, grande what if della stagione lagunare eppure hanno perso troppe partite clou peccando d’ingenuità. Quando invece sono piombati gli infortuni e la società ha dato l’idea di tirare i remi in barca all’interno di un mercato di riparazione che non ha riparato affatto: a un certo punto l’attaccante di riferimento era diventato Maric, che faceva tribuna al Monza ecco che Di Fra ha tirato fuori il meglio da quel poco che aveva a disposizione. Intuendo perfettamente che l’unica chance di salvezza passava per la solidità difensiva, sensibilmente migliorata, tramutando Idzes e compagni in una compagina scomoda da affrontare per chiunque.

È stata una primavera di redenzione, anche per il Venezia che tre stagioni fa nello stesso frangente si squagliava al sole. All’epoca, la discesa in Serie B avveniva tra mille contestazioni e bufere: oggi si rema tutti uniti, con l’amaro in bocca e l’orgoglio negli occhi. Quelli di un allenatore stanco ma non stufo, vinto ma non abbattuto: oltre i risultati vale il percorso. E i mille scetticismi che lo circondavano al suo arrivo al Penzo, Eusebio li ha tramutati in fatti, emozioni e una piazza che gli chiede a gran voce di rimanere. Del futuro, chissà. Ma se quest’estate passeggiate per le calli e v’imbattete in un veneziano tra mille turisti, provate a chiedergli: “Com’è stato il Venezia di Di Francesco?”. Quello prenderà un bel respiro e risponderà così: lo rifacciamo?

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