Federico Valverde ha quasi superato i 6000 minuti in campo, e deve ancora giocare il Mondiale per Club

Il dato relativo al centrocampista del Real evidenzia quanto sia diventato folle il calendario calcistico: ormai i ritmi imposti ai giocatori sono sempre più comparabili a quelli di una stagione NBA. E la FIFA non ha alcuna intenzione di fermarsi.

Oltre quattro giorni di gioco effettivo. Per ora. Ma la stagione di Federico Valverde – e di molti altri suoi colleghi, spremuti da calendari sempre più intensivi – ha assunto le dimensioni di un’ultramaratona: 4944 minuti disputati in partite ufficiali con il Real Madrid, più altri 567 con la maglia dell’Uruguay (dati Be Soccer/Transfermarkt). Oltre 5500 in totale. And still counting, perché fra due settimane i blancos saranno impegnati negli Stati Uniti al Mondiale per Club. Fatto sta che nessuno, oggi, conta i numeri vertiginosi del centrocampista (segue a debita distanza Bruno Fernandes, finalista di Europa League con il Manchester United). Già a quota 65 gare, con dieci gol e otto assist a corredo. Ritmi da NBA. Anzi di più.

Il paragone con il basket americano rende bene l’idea. Perché tutti abbiamo in mente il terribile calendario della lega più glamour del mondo: 82 sfide di stagione regolare, più un numero variabile – al massimo altre 28, arrivando sempre a gara-7 giocandole tutte – nel corso dei playoff. L’highlander della situazione, in quel caso, è Josh Hart: ala piccola dei New York Knicks con più di 3500 minuti complessivi sulle ginocchia nel 2024/25. Calibriamo ora i dati di Valverde con il minutaggio effettivo, come nella pallacanestro: considerato che in media il reale tempo di gioco in una partita di calcio si aggira sui 55 minuti su 90 (poco più del 60%), i minuti agonisticamente rilevanti spesi dall’uruguaiano sarebbero circa 3300. Praticamente in cima alla classifica, anche se fosse un altro sport. Con l’aggravante che se un cestista percorre 4 km a partita, un calciatore arriva facilmente a 10.

In questo senso, la “Nbazzazione” del calcio è sempre più evidente e confermata dai dati. Con tutte le implicazioni del caso in termini di qualità e intensità di gioco: non è un mistero, sul parquet, che la stragrande maggioranza delle partite di regular season sia più che altro uno show, prevedibile e noioso. Con il gioco a farsi veramente interessante soltanto ai playoff – o alle partite che li precedono, quelle che determinano i piazzamenti sulla griglia della post-season. Il calcio, ovviamente, ha caratteristiche diverse. E una predisposizione ai tornei a eliminazione diretta già nel corso della stagione, alzando così il livello di attenzione delle partecipanti. Ma, in un caso e nell’altro, dietro i professionisti ci sono uomini sempre più stanchi. E sempre più infortunati.

Il colmo è che grazie al – o per colpa del? – Mondiale per Club, quest’anno Valverde e compagni non hanno ancora terminato il loro compito. Presto si torna in campo, potenzialmente per altre sette partite – nel caso delle due finaliste – fino al 13 luglio. Un calvario senza fine, a un tasso tecnico-agonistico che, per il nuovo torneo targato FIFA, si preannuncia inevitabilmente scadente (anche soltanto per spirito di autoconservazione). Verrà il giorno in cui la tutela del proprio fisico metterà un limite al contrappeso economico, ai miliardi messi in palio per far sì che lo spettacolo continui sempre e comunque. Ma per adesso spremere, spremere, spremere. Tanto non è mica Infantino a scendere in campo ogni tre giorni.

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