I tifosi di calcio hanno paura delle politiche anti-immigrazione di Trump, soprattutto in vista dei Mondiali

La stretta sugli immigrati del presidente americano fa temere i tifosi di molti paesi verso i Mondiali per club e per nazioni. Spiegando in parte la bassa vendita di biglietti.

Non solo la rottura con Elon Musk. Presto o tardi potrebbe succedere che a litigare con Donald Trump finisca anche Gianni Infantino. Perché il numero uno della FIFA può chiudere un occhio su tutto, ma non su uno spreco di risorse a discapito della sua Federazione stessa: è quel che però si sta profilando per le prossime due estati roventi negli States, dal Mondiale per Club a quello per nazioni. Dove, numeri alla mano – soprattutto e quasi sicuramente nel primo caso –, il ritorno di pubblico rischia di essere un fiasco. In buona parte per colpa della scarsa ospitalità offerta dal presidente americano (per usare un eufemismo).

A parole, Trump sembra entusiasta dei due grandi tornei internazionali. Di fatto però, il suo notorio pugno di ferro contro i migranti sta scoraggiando moltissimi tifosi a intraprendere il viaggio della vita. Che la Casa Bianca in nessun caso intende che si trasformi in un soggiorno permanente negli Stati Uniti: «Sarà un grand momento di sport, ma finita la manifestazione se ne devono tutti andare a casa», ha ribadito anche il vicepresidente Vance. Più chiaro di così, è impossibile.

Perché i tifosi di tutto il mondo, soprattutto in vista del Mondiale canonico, non sono soltanto europei ordinari o arabi facoltosi. Ma ogni quattro anni si muovono in gruppo, talvolta in massa, anche da quei paesi tanto invisi a Trump (immaginiamo la faccia dello statista alla notizia della qualificazione di Giordania o Iran, mentre Ecuador e Colombia sono prossime a strappare il pass). In questo senso, il protocollo dei visti rilasciati dagli Stati Uniti in occasione della rassegna internazionale è ancora in alto mare. Perfino in Russia e in Qatar la FIFA era riuscita ad assicurare i lasciapassare necessari per tutti i detentori di biglietti (indistintamente dalla loro provenienza). Ma nulla di simile è previsto per il prossimo torneo. Anzi: i tifosi di un paese come l’Iran – bandito insieme ad altri undici dal viaggiare negli Stati Uniti – sanno già che non potranno seguire la loro Nazionale in America.

Il flop che si profila al botteghino è dunque influenzato anche da questo clima di ostilità e dalle politiche restrittive ai confini americani. Secondo il New York Times, è la FIFA stessa a riconoscere che una parte del probabile calo di pubblico sarà da attribuirsi alla preoccupazione diffusa in materia di visti e passaporti. Fino a spingere la federazione di Infantino ad abbassare i prezzi all’inverosimile per assistere alle partite del Mondiale per Club). E persino l’arruolamento di personale organizzativo si è rivelato più complicato del previsto, proprio per l’insofferenza del governo americano nei confronti dei lavoratori stranieri: «Perché non assumete i nostri cittadini?”», avrebbe spronato la Casa Bianca.

Insomma, Infantino è pronto a dispiegare le sue forze sul territorio per agevolare quel che l’amministrazione Trump sta ostacolando: un portavoce della FIFA ha spiegato che 800 membri dello staff sono già di stanza a Miami e altri ne arriveranno dall’Europa per aiutare i tifosi a ottenere il visto. Ma se da qui ai prossimi mesi non dovesse arrivare una decisa inversione di tendenza, anche i vertici del calcio potrebbero farsi sentire. Intanto però la gente ha paura. E le potenziali rappresaglie da parte del paese organizzatore, ospitante e inospitale, rischiano di pesare più della passione calcistica. Come mai nella storia del Mondiali.

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