In principio fu un fiasco, un fiasco colossale che però ricordano in pochi. E allora vale la pena riaprire il baule dei ricordi sepolto in cantina: il 5 gennaio 2000, all’Estádio do Morumbi di San Paolo del Brasile, iniziò la prima edizione del Mondiale per Club organizzato dalla FIFA. Le squadre ammesse erano otto, due europee (il Manchester United e il Real Madrid), due sudamericane (il Corinthians vincitore e il Vasco da Gama finalista) e una da tutte le altre confederazioni continentali (Necaxa, Raja Casablanca, Al-Nassr, South Melbourne). Prima, durante e dopo quel torneo ci furono molte polemiche, calcistiche ma soprattutto politiche: pur di volare in Brasile il Manchester United violò la sacralità della FA Cup annunciando il suo ritiro dalla competizione, per di più da detentore del trofeo, e così scatenò l’ira dei suoi tifosi, di tutto il calcio inglese, dei più autorevoli giornali britannici; diverse testate di altri Paesi, anche italiane, sussurrarono che i Red Devils avevano accettato di partecipare al torneo – a differenza di molti altri club europei – per compiacere la FIFA e per aiutare l’Inghilterra nella corsa all’assegnazione del Mondiale 2006; nel corso della manifestazione, però, lo stesso Man United (eliminato nella fase a gironi) e il Real Madrid (terzo classificato) furono criticati per non aver schierato la miglior formazione possibile. Anche a causa di tutte queste controversie, l’edizione dell’anno successivo – che si sarebbe dovuta svolgere in Spagna, con un format allargato a 12 squadre – venne cancellata. A sorteggio già avvenuto, peraltro.
Quando mancavano pochissimi giorni alla partita inaugurale del Mondiale per Club 2000, la BBC pubblicò un articolo in cui c’era scritto che «questo nuovo torneo deve essere considerato come un vero e proprio attacco della FIFA nei confronti dell’UEFA», che «i timori della Confederazione europea vanno ricercati nella saturazione di un calendario divenuto sempre più fitto dopo la riforma della Champions League», che «intanto la UEFA deve combattere una vera e propria guerra contro i grandi club europei, che di recente hanno minacciato una scissione e la creazione di una Super Lega indipendente». Sono delle frasi ancora valide, perfettamente sovrapponibili a quelle scritte e lette negli ultimi mesi e anni, nonostante sia passato un quarto di secolo: il nuovo Mondiale per Club a 32 squadre, una creatura immaginata e creata e sostenuta con grande entusiasmo – per usare un eufemismo – dal presidente FIFA Gianni Infantino, non può che essere percepita come un tentativo di intaccare il predominio assoluto esercitato dall’UEFA attraverso la Champions League, la competizione internazionale per club più ricca e più seguita e più cool in assoluto. Non può essere un caso, poi, che la prima edizione del torneo prenda il via a pochi mesi da un nuovo e radicale cambio di format Champions e a quattro anni dal tentato golpe della Super Lega. Oppure, per dirla meglio: lo scoppio della pandemia ha fatto saltare la prima edizione del Mondiale per Club, originariamente prevista per l’estate 2021 e organizzata dalla Cina, poi nel frattempo il calcio e il mondo hanno vissuto anni a dir poco complicati.
La guerra di posizione FIFA-UEFA
In ogni caso, oggi più che mai, la sostanza delle cose non è cambiata. Ed è anche piuttosto chiara: la FIFA più famelica – di partite, di denaro, di potere – della storia aveva bisogno di crearsi un margine di influenza anche nei confronti dei club, di quegli stessi club che a loro volta hanno un rapporto a dir poco conflittuale con le istituzioni continentali – soprattutto se guardiamo all’Europa. E per farlo, o quantomeno per provarci, Infantino ha ideato e realizzato un progetto certamente contraddittorio, ma anche ambizioso, affascinante, dall’enorme impatto potenziale.
In effetti, a pensarci bene, un torneo veramente globale con i migliori 32 club di tutti i continenti è un’idea piuttosto interessante. Dal punto di vista commerciale, ovviamente, ma anche sportivo. Il problema era e resta solo uno: come si potevano convincere questi club ad affrontare un’avventura a dir poco stressante (63 partite complessive, tre garantite e sette potenziali per ogni squadra), in un mese di vacanza degli anni dispari? E per di più al termine di stagioni con 40, 50 o anche 55 gare già disputate? Risposta semplice: bisognava offrirgli tanti, tantissimi soldi. Stando a quanto ha comunicato ufficialmente la FIFA a fine marzo 2025, i premi di partecipazione e di rendimento arriveranno a toccare una cifra aggregata superiore al miliardo di dollari; la società che vincerà il torneo potrà incassare una quota massima di 125 milioni, mentre il semplice viaggio negli Stati Uniti porterà a un introito minimo di 12 milioni per i club europei – anche se le ripartizioni non sono egualitarie, e quindi le squadre più blasonate potranno arrivare fino a 38 milioni. In fondo il senso del nuovo Mondiale per Club sta tutto qui, in queste cifre similari a quelle della nuova Champions League varata dall’UEFA – che distribuisce un montepremi complessivo di 2,3 miliardi di euro, ma ha un format decisamente più lungo.
Ecco, proprio il format breve è il tema su cui Infantino insiste di più tutte le volte che viene chiamato a difendere la sua manifestazione, a giustificarne la creazione: il presidente della FIFA ha detto che «stiamo parlando del montepremi più ricco di sempre per un torneo calcistico, se consideriamo che ogni squadra giocherà al massimo sette partite»; in un recente intervento alla CNN, poi, Infantino ha aggiunto che «sette gare una volta ogni quattro anni non avranno un grande impatto, in fondo sono poco più di una partita e mezza ogni 365 giorni».
I diritti tv, DAZN, l’Arabia Saudita
Al di là di ogni ragionevole dubbio sulla pregnanza di queste dichiarazioni, per spiegare il nuovo Mondiale per Club è necessario parlare anche del processo di vendita dei diritti tv. Fino all’estate scorsa l’interlocutore principale di Infantino era stata Apple, ma poi le trattative non erano andate a buon fine. Nei mesi successivi, mentre la FIFA organizzava riunioni di emergenza e si rincorrevano numerose indiscrezioni sulle crescenti difficoltà nel trovare il partner giusto, è stato siglato un accordo con DAZN: in cambio di un miliardo di dollari, più o meno, l’azienda di streaming con sede in Gran Bretagna è diventata global broadcaster del torneo, di cui trasmetterà tutte le 63 partite. E tutte in chiaro, attraverso la sua app.
Poche settimane dopo la stipula di questo contratto, è arrivata la notizia per cui SURJ Sports Investment, un’azienda che appartiene al fondo sovrano PIF e che quindi è un’emanazione diretta della famiglia reale dell’Arabia Saudita, ha acquisito una quota di minoranza – non è stata specificata la quantità esatta delle azioni rilevate – di DAZN. Prezzo complessivo dell’operazione: un miliardo di dollari, più o meno. E per chi non l’avesse capito: sì, stiamo parlando della stessa Arabia Saudita che nell’estate 2023 ha sconvolto il calciomercato globale, della stessa Arabia Saudita a cui è stata affidata l’organizzazione della Coppa del Mondo 2034. Proprio nel corso di quell’oscuro e contestato processo di hosting, il New York Times ha accusato Infantino di aver violato le procedure FIFA. E di averlo fatto per agevolare l’assegnazione del torneo al Paese arabo. A questo punto, diventa pleonastico – o forse diventa ancora più opportuno – aggiungere che, a partire dal 25 aprile 2024, la più importante compagnia petrolifera dell’Arabia Saudita (Aramco), è diventata Major Worldwide Partner della FIFA.
La paura dei vuoti (negli stadi)
A dispetto di tutti questi intrighi politici, e delle conseguenti e inevitabili dietrologie, la FIFA ha snocciolato dei dati economici a dir poco entusiastici sul Mondiale per Club 2025: secondo un report ufficiale diffuso a inizio aprile, l’indotto economico generato dal torneo sarà pari a 41,3 miliardi di dollari su scala globale, di cui 17,1 riguarderanno direttamente gli Stati Uniti; per quanto riguarda i posti di lavoro, se ne verranno a creare più di 430mila, con una crescita reddituale complessiva pari a 11 miliardi di dollari. Chiaramente tutte queste cifre ipotetiche nascono sulla base di proiezioni molto ottimistiche riguardo ai tifosi/turisti che si recheranno negli USA, nel senso che la FIFA e le istituzioni americane stimano di accogliere 3,7 milioni di visitatori – persone che, naturalmente, non dovranno solo guardare delle partite di calcio, ma 64 dovranno anche dormire, viaggiare, bere e mangiare.
In questo senso, però, le ultime settimane non sono state molto incoraggianti: secondo quanto riportato da testate piuttosto autorevoli, tra cui il Guardian ed ESPN, le fasi di prevendita per le gare della fase a gironi e degli ottavi di finale sono state deludenti. Pure alcune partite dal grande appeal storico, per esempio Juventus-Manchester City del 26 giugno (in programma al Camping World Stadium di Orlando, un impianto da oltre 60mila spettatori), non sono riuscite ad attrarre un numero significativo di tifosi.
Stuzzicato sulla questione dei possibili vuoti negli stadi, Infantino ha detto di non essere affatto preoccupato: secondo il presidente FIFA, «ogni estate negli Stati Uniti ci sono tantissimi appassionati di calcio europeo che vanno a guardare delle partite amichevoli. Stavolta si giocherà un Mondiale, c’è qualcosa in palio: alla fine il pubblico capirà il senso di questa nuova competizione e accorrerà in massa». Allo stesso tempo, però, i prezzi dei biglietti sono già stati ritoccati verso il basso. E inoltre, come se non bastasse, la FIFA ha anche lanciato degli strani “pacchetti speciali” che mettono insieme i ticket per il Mondiale per Club e una priority line per acquistare i biglietti della Coppa del Mondo 2026, che si svolgerà di nuovo negli stadi americani (ma anche in Canada e Messico).
Si può dire, quindi, che dentro la FIFA serpeggi – o comunque abbia serpeggiato – un po’ di timore in vista di questo grande appuntamento. Certo, è possibile che alla fine le cose si aggiusteranno da sole, dopotutto ci sono grandi squadre e tanti soldi che balleranno sul fastoso palcoscenico dei campi statunitensi. Il problema è che questa sensazione di provvisorietà si lascia percepire da un po’, e non accenna a smettere: anche dopo l’accordo con DAZN, infatti, la FIFA ha faticato a trovare broadcaster interessati alla sublicenza per la trasmissione delle partite. In Inghilterra, tanto per fare un esempio, sia la BBC che ITV hanno deciso di non fare offerte, poi i diritti sono stati acquisiti da Channel 5. E poi, al di là della (vitale) questione relativa alle emittenti tv e al loro “trasporto” per il nuovo Mondiale per Club, anche altri aspetti più tecnici e più operativi – le finestre di mercato aggiuntive per le società qualificate, l’impatto delle multiproprietà che ha portato all’esclusione del Clúb León a sorteggio già avvenuto, i giocatori con il contratto in scadenza al 30 giugno 2025, vale a dire nel corso del torneo – sono stati affrontati in modo prima superficiale e poi frettoloso.
Evidentemente, come dire, la FIFA aveva l’urgenza primaria di segnare il territorio, di prendersi e occupare uno spazio politico, quello spazio politico. Il resto sarebbe venuto dopo, e in effetti è venuto dopo. Sarà interessante verificare le reazioni del calcio e del suo pubblico a questa onda così anomala e così travolgente: oggi come oggi è difficile credere che il Mondiale per Club riveduto e ingrandito possa rivelarsi un fiasco colossale come quello del 2000, ma di certo questa prima edizione è nata tra molte, moltissime incognite. I soldi, anche se sono tantissimi, a volte non bastano a generare entusiasmo. Né tantomeno a comperarlo.
Da Undici n° 62
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