Modernità, adattabilità e umanità: ecco perché il Tottenham ha scelto Thomas Frank

Il nuovo manager degli Spurs non ha giocato da professionista, ma ha idee tattiche innovative, valorizza il talento dei giovani e sa farsi amare dai suoi calciatori.

Quando si parla di ricerca della felicità, sembra che i danesi – e gli scandinavi in generale – partano sempre con qualche metro di vantaggio. Anno dopo anno, Paesi come Finlandia e Danimarca si confermano in cima alle classifiche mondiali per indice di felicità. E il concetto danese di hygge – una sensazione di comfort, intimità e benessere, spesso legata a momenti semplici vissuti in un’atmosfera accogliente – ne è una rappresentazione plastica. Nel nord di Londra, al Tottenham Hotspur, è arrivato un nuovo allenatore che incarna alla perfezione il significato di hygge: si tratta di Thomas Frank,  nominato nuovo manager degli Spurs dopo l’esonero – contestato, controverso, anche inatteso da un certo punto di vista – di Ange Postecoglou.

Nato a Frederiksværk, origini inglesi, Frank approda al Tottenham dopo sette stagioni intense alla guida del Brentford. Dove ha scritto pagine e pagine di storia: intanto ha riportato le Bees in Premier League (nel 2021) 74 anni dopo l’ultima volta, poi negli anni ha guidato una squadra dal budget tutto sommato modesto a piazzamenti più che dignitosi – sotto la sua guida, in successione, il Brentford è arrivato al 13esimo, al nono, al 16esimo e al decimo posto in classifica. Il suo arrivo agli Spurs, sancito dal pagamento di una clausola rescissoria da circa 10 milioni di sterline, è stato favorito anche dal legame con il connazionale Johan Lange, direttore tecnico del Tottenham: fu proprio Lange, nel 2004 a offrire a Frank il primo incarico da allenatore a tempo pieno nel B93, dopo essere stato suo docente nel corso per la Licenza UEFA A.

Frank sbarca al Tottenham per meriti evidenti, riconosciuti sia dal suo nuovo club – che nella sua nota di annuncio lo ha definito «uno degli allenatori più moderni e progressisti del panorama calcistico» – sia da voci autorevoli: tra gli altri, Pep Guardiola e Jürgen Klopp hanno elogiato il suo lavoro al Brentford. Il tecnico del City, in tempi non sospetti, aveva già profetizzato il suo approdo in una big: «È solo questione di tempo prima che arrivi in un top club: ha una grande capacità, quella  di adattare il gioco delle sue squadre a diverse situazioni». Stesso discorso anche per Klopp, secondo cui Frank è  «un tecnico in gamba, che sa adattarsi in base agli avversari».

Sebbene non abbia un passato da calciatore professionista, né tantomeno esperienza nelle coppe europee, Frank ha tutto per far bene. Nel tempo ha costruito un profilo di competenza assoluta. I suoi punti di forza sono la preparazione tattica e quella che molti definiscono come una “leadership empatica”: un approccio manageriale che unisce capacità comunicative, ascolto attivo e attenzione al benessere mentale dei calciatori, quindi del gruppo. Nei sette anni trascorsi al Brentford, il tecnico danese ha dimostrato tutta la sua abilità nel coltivare relazioni, cercare di capire le fragilità dei suoi uomini e nel valorizzarne le caratteristiche tecniche individuali. Da manager – per esempio – ha saputo rilanciare talenti smarriti, come l’ex Sampdoria Damsgaard, e valorizzare attaccanti come Toney – falciato dalle critiche implacabili di media e tifosi per via della squalifica di otto mesi causata dal coinvolgimento nello scandalo del calcioscommesse – e Mbeumo.

Questa sensibilità è emersa fin dai suoi primi anni trascorsi nel West London, quando non sedeva ancora sulla panchina delle Bees come primo allenatore ma svolgeva il ruolo di assistente di Dean Smith. Per tre stagioni, o poco meno, è stato responsabile del raccordo tra prima squadra e settore giovanile: seguiva da vicino i giovani talenti del vivaio, si confrontava con gli allenatori dell’Academy e preparava i talenti più promettenti a un eventuale passaggio tra i professionisti. Come spiegato dall’ex direttore sportivo Rasmus Ankersen, Frank aveva il compito di «seguire lo sviluppo dei calciatori delle giovanili e assicurarsi che ci fosse un futuro per loro nel club». Un lavoro delicato, ma imprescindibile per costruire quella che sarebbe poi diventata l’identità inconfondibile del Brentford d’oggi.

Anche il percorso accademico di Frank è rilevante: laurea in educazione fisica, master in psicologia dello sport e un passato da insegnante – prima in un asilo, poi in una scuola danese. Anche in queste esperienze deve aver curato la sua attenzione alla comunicazione aperta, al supporto nei momenti di difficoltà. Insomma, l’umanità è un autentico marchio di fabbrica del manager danese. Said Benrahma, che ha lavorato con lui a Brentford, ha detto parole piuttosto toccanti su Frank: parlando di un suo lutto personale, ha raccontato come il nuovo allenatore del Tottenham l’abbia «aiutato tantissimo, si è fidato di me come nessun altro. Non lo ringrazierò mai abbastanza».

Frank al Brentford ha creato molto più di un sistema di gioco: ha trasmesso una vera e propria filosofia di vita, fondata su benessere, coesione e senso di appartenenza. E quindi si può dire che si sia ispirata all’hygge danese. Anche nel comunicato d’addio, il Brentford ha sottolineato il clima familiare costruito grazie a lui: «Negli ultimi anni abbiamo lavorato in un un ambiente dove tutti si prendevano cura gli uni degli altri». Questo approccio funzionerà anche al Tottenham? Potrebbe, a patto che il club gli conceda tempo e fiducia. Puntare su un allenatore del genere, capace di far crescere i talenti e creare un’identità a partire dal gruppo, è una scelta coraggiosa ma sensata. Ed è probabilmente ciò di cui il Tottenham ha più bisogno oggi.

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