Parco. Se dovessi scegliere uno e un solo aggettivo da associare a Enzo Maresca, userei proprio questo: parco. Scordate il calciatore della Juventus che faceva le corna per schernire il Toro dopo un gol nel derby: oggi Maresca è misurato, non è uno che predica, che sbandiera filosofie, ma quando gli parli hai l’impressione che ti racconti del suo lavoro come se fosse la cosa più normale del mondo. Anche se non si tratta di un lavoro normale, visto che stiamo parlando del manager del Chelsea, una delle squadre più ricche e più cool del mondo.
Quando ci siamo sentiti per fissare questa intervista, abbiamo passato l’inizio della telefonata a parlare di famiglia, di figli. Forse anche per questo Enzo Maresca mi fa pensare a The Thinkerman, Claudio Ranieri. Poi c’è anche la suggestione per la comunanza delle esperienze con Leicester e Chelsea, due delle squadre inglesi guidate da Ranieri: Maresca ha preso le Foxes appena retrocesse, ha avuto idee chiare fin da subito e ha vinto la seconda serie inglese. Ma non solo: Maresca ha convinto Vardy a cambiare modo di giocare, visto che a 38 anni non poteva più fare 20 strappi a partita, ma era necessario che manovrasse di più con la squadra. Forse questo è un dettaglio, ma serviva a sottolineare la personalità di Maresca, il suo approccio tattico e ai rapporti personali. E, se vogliamo, anche la capacità di trovare soluzioni semplici senza magheggi.
Dopo la promozione in Premier, è arrivata la chiamata del Chelsea. Un club che arrivava da annate burrascose, va bene, ma che per un manager come Maresca rappresentava un bel salto in avanti. Anche perché la società ha fatto razzia di giovani sul mercato e si trovava con una rosa oceanica, che in virtù della sua vastità che era diventata praticamente un meme. Su internet giravano dappertutto i campetti con due, tre a volte anche quattro nomi per ruolo. Maresca da subito ha scelto i suoi titolari, ha fatto una formazione per la Premier e una per la Conference League, competizione che ha vinto quasi in scioltezza. E ha anche centrato il suo obiettivo più importante: riportare il Chelsea in Champions League.
Proprio sui giovani, Maresca dice che «se guardi al PSG, ha vinto la Champions con una squadra estremamente giovane. E allora l’importante è la qualità. Però se mi mi domandi: al Chelsea servirebbe un pò di esperienza per fare il definitivo salto di qualità? Beh, non posso dirti di no. Se stiamo sul PSG il capitano è Marquinhos, che poi ha 30 anni non 40. Serve il giusto mix, ma poi bisogna pensare che qui al Chelsea abbiamo fatto esordire otto o nove ragazzi dell’Academy. La materia prima c’è, i ragazzi sono forti». Un pò di esperienza, un portiere affidabile. Sono questi i due punti di domanda che restano tali, che non si sciolgono. L’offerta per Maignan è stata respinta, la scorsa stagione si sono alternati due giocatori in quel ruolo e la sensazione è che al momento la soluzione definitiva non sia ancora stata individuata.
Enzo Maresca, The Thinkerman 2.0, però sa benissimo di dover trovare la soluzione migliore con quel che ha. In questo senso, ci ha raccontato della frequentazione quotidiana, ovviamente telefonica, con il suo maestro: Pep Guardiola. «Lo sento sempre», dice, «per cui è normale che lo facessimo anche quando era in grossa difficoltà. Però sai cosa penso? Che sia stato bravo a modificare leggermente il suo modo di giocare, a diventare un filo più pragmatico e alla fine ha chiuso la Premier League al terzo posto. Se la guardi da un’altra prospettiva è stata quasi un’impresa quella che ha fatto quest’anno, rimanendo lui per primo aggrappato con difficoltà alla barca che andava a destra e sinistra nel mare turbolento».
Al Chelsea, uno dei casi gestiti meglio da Maresca è stato la crisi di Cole Palmer della seconda parte di stagione. «Il Second Year o secondo anno», racconta il manager dei Blues, «è difficile per tutti: gli avversari ti conoscono, quindi Palmer veniva marcato praticamente a uomo per 90 minuti. Lì devi saper reggere di nervi e trovare alternative dal punto di vista tecnico». Maresca non ha mai tolto fiducia a Palmer, che ha chiuso la stagione in crescendo. Ora lo stesso Palmer ritroverà il suo compagno ai tempi del Manchester City Under 23, Liam Delap, acquistato per oltre 40 milioni di euro dall’Ipswich Town. È lo stesso Delap che Maresca lo aveva allenato nel nord d’Inghilterra. e lo ha convinto a scegliere il Chelsea attraverso il suo gioco. Delap, figlio di Rory Delap, ex giavellottista che faceva rimesse laterali che erano come dei corner allo Stoke City (momento nostalgia), ha intuito che può essere valorizzato dallo stile del Chelsea, come riferimento offensivo del 4-2-3-1: «Ha già lavorato con me, sa come vogliamo giocare, si è lasciato convincere dal progetto che abbiamo. E anche dall’importanza del Chelsea come società, naturalmente».
Pensi a quel che ha fatto Maresca negli ultimi due anni e viene naturale chiedersi: ma come è possibile che in Italia abbia fatto male a Parma e non gli abbiano dato tempo? Non è che c’è un problema legato a idee e progetti? «Io credo ci sia senz’altro un problema di mentalità», dice Maresca. «Le Nazionali giovanili italiane fanno sempre bene e poi manca il salto nel calcio dei grandi. Quando ero a Parma c’erano dei giocatori considerati giovani e li sento chiamare giovani ancora oggi che è passato del tempo. Ti garantisco che la pressione c’è anche qui se non fai risultato, ma forse la differenza sta nel fatto che i club riescono a trasferirti serenità, fiducia nella tua idea. Senza dubbio so di essere più apprezzato qui che in Italia».
La pressione, già. Sapete qual’è la vera pressione? «Durante le partite di solito mandano i familiari in un punto lontano dello stadio. Durante la finale di Conference League contro il Betis, avevo dietro la panchina tutta la mia famiglia, quattro figli compresi. La bimba di tre anni continuava a chiamarmi. Quella è la vera pressione (ride), altro che non riuscire a fare un gol a Manuel Pellegrini». Esce per un attimo dalle righe, perché di cose da dire ne ha, ma lo fa sempre in modo pacato. Parco, esatto.