Se guardiamo al Mondiale per Club del Real Madrid, il singolo momento più esaltante è proprio l’ultima diapositiva. È la mano di Courtois che ferma sulla linea un fulmine improvviso di Sabitzer. Era l’ultimissima azione della sfida contro il Borussia Dortmund, è stato il sigillo sul passaggio alle semifinali. I cinque minuti di recupero dovevano essere di totale tranquillità per i blancos, invece sono diventati il finale di The Departed, in cui tutti sparano un colpo perché sì: prima il gol del 2-1 di Beier per riaprirla, poi il 3-1 di Mbappé in rovesciata per richiuderla, e poi ancora l’espulsione di Huijsen e il rigore di Guirassy per il 3-2, fino alla parata di Courtois, un tuffo da supereroe come ce ne sono stati tanti in questi anni. Sembra il giorno della marmotta per il Real Madrid, con i singoli a fare la differenza, il talento che risolve i problemi. Solo che stavolta non andata è proprio così. Perché il Madrid la partita l’ha giocata, dominata e vinta partendo dalla lavagnetta del suo allenatore, proprio come aveva fatto nel turno precedente contro la Juventus. E questa è già una piccola rivoluzione, per la squadra in maglia bianca.
Per la prima volta dopo tanti anni, le partite del Real Madrid non sono solo una questione di risultato, ma di gioco. Lo ha scritto anche Javier Sillés su Diário As: «Questo Real Madrid ha mollato le redini e sta iniziando a fare molte cose perbene come squadra. Tutti i giocatori sembrano migliori perché Xabi ha dato loro le istruzioni necessarie per reagire come collettivo». Al di là dei metodi innovativi del nuovo staff tecnico dei merengue, paragonabili a quelli di un laboratorio scientifico, Xabi Alonso sta cercando di cambiare la squadra dalle fondamenta, di dare nuovi impulsi a un gruppo che aveva perso ogni idea di struttura collettiva. Solo che lo sta facendo, come dice lui, costruendo l’aereo in volo, perché ha potuto organizzare solo tre allenamenti prima dell’esordio al Mondiale per Club contro l’Al-Hilal. Il tempo per lavorare è poco e il centro sportivo di Palm Beach Gardens, dove si sta allenando la squadra, non sembra proprio il luogo adatto a una rivoluzione.
«Miglioreremo dal punto di vista collettivo per crescere a livello individuale, e non il contrario», ha detto il tecnico dopo la partita con la Juventus. Il «contrario» è esattamente come ha funzionato il Real Madrid negli ultimi quattro anni, sotto la gestione di Carlo Ancelotti. E ha funzionato più o meno allo stesso modo anche la squadra vista nel quinquennio 2013-2018 – quello delle quattro Champions League con Ancelotti e Zidane – mentre gli allenatori convinti di dover potenziare il collettivo prima dei singoli sono stati rigettati: Julen Lopetegui è durato quattro mesi, Rafa Benítez poco di più. In questi anni il Real Madrid ha vinto così tanto che il free jazz è sembrato l’unica strada possibile. Una squadra destinata a contare sul talento individuale più di ogni altra cosa, inallenabile perché è-meglio-così: la struttura collettiva era sottile, quasi impercettibile, e poteva essere solo una conseguenza della valorizzazione dei singoli. Questo approccio ha funzionato a lungo, fin quando non ha funzionato più. Cioè nell’ultima stagione.
Dopo le recenti delusioni, c’era bisogno di un piano di sviluppo alternativo per uscire dalla palude di gioco e di risultati. Ecco perché la dirigenza ha scelto Xabi Alonso, un allenatore moderno e aggiornato sulle nuove rotte del calcio degli anni Venti. I primi cambiamenti già si intravedono a partire dal centrocampo: Tchouameni è l’uomo chiave, quello che permette a Xabi Alonso di passare dal 4-3-3 al 5-3-2 tra una partita e l’altra, o all’interno della stessa partita, muovendosi tra le linee di difesa e centrocampo. Al fianco del francese ci sono Arda Güler, Bellingham e Valverde, sempre con altezze e posizioni diverse in campo. Il turco ha compiti già visti per qualche spezzone alla fine dell’ultima Liga, gioca più basso, è il primo a farsi dare palla dalla difesa e a comandare il gioco. Una scelta necessaria vista la disastrosa costruzione bassa delle ultime stagioni. Poi, certo, il mercato in questo ha dato una grossa mano, perché Dean Huijsen e Trent Alexander-Arnold erano i migliori difensori/palleggiatori disponibili. Il video qui sotto spiega cosa vuol dire avere un centrale con uno schema di passaggi ambizioso e la tecnica di un centrocampista:
Le posizioni dei centrocampisti possono variare molto. Contro il Borussia Dortmund, in alcuni momenti, i giocatori del Madrid erano disposti secondo lo schema 4-4-2, poi in un rombo con Tchouameni vertice basso. Più spesso è Valverde a prendere posizioni più avanzate: contro la Juventus ha tirato più di tutti (sei volte), contro il Borussia in alcune fasi di pressing faceva da terzo attaccante aggrededendo Bensebaini, braccetto della difesa tedesca. Poi poteva capitare di dover fare lunghe fasi di difesa posizionale, allora la difesa passava a cinque. Ma con Alexander-Arnold stretto al fianco di Rüdiger e Valverde da quinto per seguire Svensson.
Il centrocampo è il simbolo di quella flessibilità tattica che ha caratterizzato la breve carriera di Xabi Alonso da allenatore. Ma questa caratteristica, come ha notato Alex Kirkland su Espn, può esistere fintanto che tutti i giocatori eseguono i loro compiti difensivi. «Tutti sono coinvolti, in tutte le fasi, servono undici giocatori che pressano come un’entità sola», ripete spesso Xabi Alonso. Nel calcio del 2025 possono sembrare cose da poco o normali. Al Real Madrid, dove niente è normale, è tantissimo.
Per ora il campione di partite è molto piccolo, ci vorrà del tempo per capire se la squadra sarà disposta a seguire le indicazioni del nuovo allenatore per tutta la stagione. È il grande interrogativo attorno al nuovo Real Madrid. Su Marca, solo per fare un esempio, ne parlava Álvaro Benito, ex giocatore dei Blancos e oggi commentatore: dice di temere che Xabi a Madrid non troverà una squadra obbediente come al Bayer Leverkusen, ma è fiducioso perché potrebbe avere il carisma per farsi seguire. Il carisma è una componente indispensabile per durare a lungo sulla panchina più ambita del mondo. È uno dei motivi per cui Ancelotti e Zidane hanno avuto una storia diversa rispetto a Lopetegui e Benítez – al di là di principi e idee di gioco. In questo senso, Xabi Alonso ha un bel capitale da spendere con lo spogliatoio, ha ancora lo status del campione che si porta dietro dai tempi in cui era un (grandissimo) calciatore. E il club punta tanto su questo: sta provando a creargli attorno l’aura del leader autorevole e persuasivo, un’altra superstar da affiancare a Vinícius Jr., a Mbappé, a Bellingham. È per questo che il volto compare così tanto sui canali social dei blancos. Se rivoluzione deve essere, c’è bisogno di aggiornare anche l’estetica:
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Era forse dai tempi di José Mourinho che a Madrid non c’era di nuovo un allenatore al centro del villaggio. Ora Xabi Alonso deve giocarsi bene questo capitale politico ,se vuole farsi seguire dallo spogliatoio in un territorio tatticamente inesplorato. Oltre la fase di costruzione, il pressing era l’altra grande criticità della scorsa stagione. Perché con attaccanti come Vinicius Jr. e Mbappé è impossibile, o quasi, disturbare il palleggio avversario a livello d’élite. Ma il basco ha sempre detto di non voler rinunciare a uno strumento imprescindibile nel calcio di quest’epoca: «Una delle prime cose che ho menzionato quando sono arrivato qui è la distanza tra i giocatori. Più siamo vicini, più sarà facile mantenere il controllo. L’attitudine è essenziale, ma l’organizzazione va di pari passo. E quando le due cose vanno insieme, la squadra rende al meglio». Anche per questo nei pochi minuti in cui Mbappé è stato in campo, Xabi Alonso non ha avuto paura di richiamarlo. «Kylian, dietro la linea della palla», gli ha urlato più volte il tecnico. Perché Xabi Alonso ha le idee chiare, ma ha bisogno di una squadra sull’attenti come un esercito in fase di non possesso.
Le cose da sistemare sono moltissime. Il Real Madrid concede ancora tantissimo da situazioni apparentemente non pericolose, concretizza poco rispetto alla mole di gioco che produce, le distanze tra i giocatori non sono sempre quelle ideali. È una squadra stranamente poco efficiente per il suo livello. Il tempo per lavorare arriverà, ma sarà comunque troppo poco. Trasformare una band di jazzisti in un’orchestra è un’impresa titanica che Xabi Alonso si è intestato, conoscendo i rischi. Sta guidando una rivoluzione ambiziosa e fragile, un progetto che può fallire da un momento all’altro. Gli va dato merito di aver avuto il coraggio di iniziare, e non è poco.