Lo scossone è ai vertici, con l’arrivo di Andrew Cavenagh – già numero uno dei San Francisco 49ers in NFL – a capo dei Rangers. Basteranno le oceaniche risorse americane per ristabilire l’equilibrio dell’Old Firm e del campionato scozzese, che in 13 delle ultime 14 stagioni ha visto trionfare il Celtic? Negli Stati Uniti scommettono di sì. E non solo. Perché nella Scottish Premiership, ormai, sei club su 12 sono hanno una proprietà a stelle e strisce. Più che una moda, una rivoluzione. Anzi: una colonizzazione
In termini di analisi di mercato, l’intuizione americana è riassumibile pressapoco così: esiste un bacino sportivo di prestigio storico, relegato tuttavia ai margini del calcio europeo e con due club da sempre e nettamente superiori a tutti gli altri – anzi, come accennato, ultimamente i biancoverdi di Glasgow continuano a surclassare gli arcirivali. Inoltre sia Celtic sia Rangers, sono sì delle superpotenze locali, ma rispetto ai canoni del continente rappresentano delle realtà di medio livello. Basti pensare che il valore della rosa del Celtic – dati Transfermarkt – è comparabile a quelle di Genoa o Udinese, mentre i Rangers se la giocano con un organico di Championship. Le risorse necessarie per fare sport non sono dunque così elevate, con la differenza – in chiave di appeal – che, nel caso specifico, sono sufficienti per contendersi un titolo nazionale. E, soprattutto, per qualificarsi in Champions o Europa League.
Lo stesso ragionamento vale anche per i club minori: il gap con Celtic e Rangers non è poi così impensabile da colmare, rispetto a chi si avventura nella scalata del calcio inglese o italiano. Non a caso, oltre agli avvicendamenti societari dei Rangers, quest’estate si registra anche il passaggio di proprietà del Livingston nelle mani dell’imprenditore Calvin Ford – sì, discendente di quell’Henry Ford che fondò uno dei marchi automobilistici più noti al mondo. Da diversi anni c’è poi una doppia dirigenza americana fra i due club di Dundee. Mentre Bill Foley, proprietario del Bournemouth, ha appena investito nell’Hibernian. Ed è a trazione americana pure il St Johnstone.
Certo l’americanizzazione del calcio a Glasgow e dintorni non è fuori dal comune, e sta avvenendo in proporzioni analoghe a quanto succede in Inghilterra – dove, soltanto nella massima serie, un club su due è a maggioranza statunitense. Il proliferare delle multiproprietà non ha fatto che rafforzare questa tendenza. E anche dal punto di vista degli investitori, la Scottish Premiership potrebbe avere tutte le carte in regola per diventare una sorta di development league della Premier – già questo sarebbe un successo enorme, visto che oggi vale un quinto della Championship e poco più della League One. Insomma, un ambiente particolarmente favorevole per sperimentare, incentivato anche dalla buona congiuntura della nazionale scozzese: i giovani chiedono spazio e le nuove proprietà possono svecchiare un sistema competitivo che da tempo andava rinnovato. Con vista privilegiata sulla vera Superlega d’Europa, poco più giù sulla mappa.