Donald Trump è abituato a entrare prepotentemente nel mondo dello sport. Dalle polemiche con Colin Kaepernick, l’ex quaterback dei San Francisco 49ers che durante una partita di pre stagione si era inginocchiato durante l’inno nazionale per sensibilizzare sulla questione razziale, alla presenza continua e ostinata nel mezzo del Mondiale per Club. Ecco, ora non poteva mancare un post contro il cambio di nome delle franchigie dello sport statunitense. Domenica, il presidente americano ha chiesto in un post su Truth, il suo social, che i Washington Commanders della NFL e i Cleveland Guardians della MLB tornino ai loro vecchi nomi, abbandonati negli ultimi anni perché considerati offensivi verso i nativi americani. La squadra di Washington, infatti, si chiamava Redskins, “Pellerossa”, mentre a Cleveland giocavano gli “Indians”, gli Indiani. Tutte terminologie incorrette e distanti da quella riconosciuta ufficialmente dallo stesso popolo, ovvero “nativi americani”.
«I Washington “Qualunque-cosa” dovrebbero immediatamente cambiare il loro nome indietro», si legge nel post. «C’è una grande richiesta per questo… I nostri grandi popoli indiani, in gran numero, vogliono che accada. La loro eredità e prestigio viene sistematicamente portata via. I tempi sono diversi ora rispetto a tre o quattro anni fa». Poche ore dopo, ha scritto in un altro post che avrebbe cercato di bloccare i piani dei Commanders per costruire un nuovo stadio sul sito del vecchio RFK Stadium a Washington DC, a meno che non cambiassero nome. Non è chiaro se Trump possa effettivamente farlo: sebbene il terreno dello stadio RFK fosse un tempo proprietà federale, Joe Biden ha firmato all’inizio di quest’anno una legge – uno dei suoi ultimi atti da presidente – che trasferisce il controllo al governo cittadino di Washington DC per 99 anni. Trump ha anche scritto che l’invito a cambiare nome vale per la squadra di baseball di Cleveland, definita «una delle sei squadre originali del baseball, con un glorioso passato».
La squadra di Cleveland ha iniziato a giocare alla fine dell’Ottocento in una lega con otto squadre, per poi diventare una delle otto membri fondatori della moderna American League nel 1901. Come molte squadre di baseball, ha subito numerosi trasferimenti e cambi di nome. Dal suo arrivo a Cleveland nel 1900, la squadra è stata chiamata Lakeshores (per un anno), Bluebirds (nel 1901), Broncos (nel 1902), Naps (1903-1914) e Indians, il periodo più lungo (1915-2021). Quest’ultimo nome è stato uno dei tanti nel mondo dello sport statunitense a ricevere critiche da parte di nativi americani, con Cleveland che ha attirato ulteriore attenzione per l’uso della mascotte “Chief Wahoo” che ritraeva l’immagine stereotipata di un nativo americano con la pelle rossa mentre forzava un sorriso. Le proteste sono continuate per decenni, finché un più ampio dibattito nazionale sul ruolo dei nativo americani nella cultura americana ha portato ai cambiamenti: Cleveland è passata da Indians a Guardians (ispirato alle statue in stile art déco di un ponte vicino allo stadio), mentre Washington ha prima adottato il generico Washington Football Team nel 2020 e poi Commanders nel 2022.
La squadra della NFL di Washington, sotto l’ex proprietario Daniel Snyder, aveva rifiutato per anni di cambiare nome nonostante le critiche. Il team è stato venduto al miliardario Josh Harris nel 2023. I Guardians, invece, sono stati di proprietà di Larry Dolan dal 2000 fino alla sua morte nel 2025, quando il controllo è passato al figlio Paul. Nel suo post, Trump ha esortato i proprietari delle squadre a sbrigarsi nel cambiare nome. Ma sembra improbabile. Da quando ha rilevato i Commanders, Harris ha detto di non avere intenzione di cambiare nuovamente il nome della squadra. Intanto, domenica, il presidente delle operazioni baseball dei Guardians, Chris Antonetti, ha confermato che il nome attuale resterà inalterato: «Rispettiamo le diverse opinioni sulla decisione presa anni fa, ma ormai è fatta», ha spiegato. «Abbiamo avuto l’opportunità di costruire un marchio come Guardians negli ultimi quattro anni e siamo entusiasti del futuro che ci aspetta».