Tempi duri per fare sport in America, fuori dagli Stati Uniti. Perfino per l’hockey su ghiaccio: in Canada è un orgoglio nazionale eppure dovrà fare i conti con una regolamentazione sempre più stringente. Colpa del nuovo contratto collettivo sancito dalla National Hockey League – a trazione statunitense per peso economico e numero di franchigie, ma non per trofei in bacheca. E tutto si riconduce a una questione di tasse.
Secondo il vecchio ordinamento, l’intero contratto di un giocatore poteva essere costituito da bonus illimitati alla firma – tranne la quota minima sindacale. D’ora in avanti però la componente dei bonus potrà costituire al massimo il 60% di un contratto. Perché questa configurazione andrebbe a penalizzare le squadre canadesi in particolare? La tassa sui bonus per i non residenti in Canada è del 15%, con il resto da versare nel paese d’origine. Se dunque un giocatore residente negli Stati Uniti paga le tasse in entrambi i paesi, il risparmio fiscale combinato può assumere dimensioni significative. Ovvero una differenza da milioni di dollari in termini contrattuali.
In NHL questo meccanismo ha portato alla sistematica sottoscrizione di contratti allo stipendio minimo di 775mila dollari annuali, con un’esorbitante porzione aggiuntiva – si va serenamente ai 50 milioni di dollari – costituita da bonus. Il problema è che se i bonus d’ora in avanti potranno rappresentare soltanto il 60% del totale, significa che la porzione contrattuale sottoposta alla tassazione più pesante aumenta fino al 40%. E siccome le aliquote fiscali canadesi sul reddito sono molto più alte di quelle americane – in alcuni stati, come Florida, Tennessee, Nevada e Texas vige anzi l’esenzione totale per le franchigie sportive –, si fa presto a intuire come per le superstar sarà sempre più costoso decidere di giocare a Montreal o a Toronto.
Il nuovo contratto collettivo arriva nel momento più delicato delle relazioni internazionali fra i due paesi, con l’amministrazione Trump a parlare a più riprese del Canada come “il 51esimo stato americano”. Negli ultimi mesi anche Gary Bettman, il commissario della NHL, aveva espresso preoccupazione per le conseguenze economiche dovute “all’impatto dei dazi sul dollaro canadese”. Evidentemente però alle parole non sono seguiti i fatti, con le quattro squadre al di là della frontiera ora sempre meno tutelate. E pazienza se Canadiens e Maple Leafs detengono più titoli di tutte le altre (rispettivamente 24 e 13). È anche vero che dal 1993, a vincere la NHL, sono soltanto le franchigie degli Stati Uniti. Una tendenza che ha tutta l’aria di continuare così.