Nonostante parate decisive, miracoli in serie, rigori respinti come se fosse la cosa più normale del mondo, nonostante mani grandissime opposte ad attaccanti increduli, nonostante calci in faccia, cicatrici, scherzi del destino, nonostante la Ligue 1, la Champions League, la notte di Liverpool, l’Aston Villa, ebbene, nonostante tutto questo, Gianluigi Donnarumma per brevità chiamato Gigio ha rischiato, clamorosamente, di rimanere con il fiammifero più corto tra le mani. Nell’estate delle spese pazze, quella della fase due araba che ha iniziato a prelevare con continuità anche talenti ben lontani dal tramonto, nonché quella in cui i club di Premier League hanno acuito, se possibile, la loro tendenza a gettare in pasto pacchi di milioni alle società di mezza Europa – telefonare per conferma al Milan, capace di incassare più di 80 milioni dal terzetto Thiaw-Chukwueze-Okafor – pur di entrare in possesso di gioielli più o meno splendenti, ci siamo ritrovati a chiederci, alla metà di agosto, quale potesse essere la squadra dell’unico calciatore di fama davvero globale della nostra attuale Nazionale, l’uomo del quale verrebbe scelta la figurina di rappresentanza azzurra nel caso in cui, volesse Iddio, dovessimo giocare il prossimo Mondiale.
Abbiamo imparato a stimare Luis Enrique, a volergli bene anche e non solo per quella che è stata la sua tragica esperienza familiare, ma abbiamo anche faticato a credergli quando, in terra di Friuli, alla vigilia della Supercoppa Europea contro il Tottenham, ha confermato quanto già si immaginava, e cioè che non avremmo assistito allo scontro tra Donnarumma e Vicario, il primo e il secondo portiere della nostra Nazionale, per una scelta che l’allenatore campione d’Europa ha definito «al 100% di mia responsabilità. Se fosse facile, lo farebbe chiunque. Queste scelte hanno a che fare col profilo di portiere di cui la mia squadra ha bisogno». Ok, a Luis Enrique abbiamo imparato a voler bene, ma ora, a poco dopo il gong del mercato, Donnarumma si accasa dall’allenatore forse più oltranzista di tutti, uno che ha fatto il percorso di Lucho (dal Barça B al triplete blaugrana) prima di Lucho e in questi anni ha saputo rendere il suo ormai ex portiere, Ederson, un’arma letale anche in ottica offensiva grazie alla pulizia del suo calcio, che fosse sul breve o sul lungo, con dei missili destinati a coprire 80 metri di campo per lanciare il colosso Haaland. Il matrimonio tra Pep Guardiola e Donnarumma sarà oggettivamente strano, con il catalano che ha fatto di un certo modo di intendere il gioco il proprio vessillo. Se c’è qualcosa che non funziona, nel mostruoso pacchetto tecnico del portiere azzurro, è chiaramente il gioco con i piedi. E allora, come si spiega? Evidentemente, Guardiola non ne può più di andare ai cocktails con la pistola. Così come aveva rinunciato allo spazio nel ruolo di centravanti, rinnegando il falso nueve per scegliere il numero nove più vero che ci fosse sul pianeta, adesso fa marcia indietro sul portiere, con una mossa che sembra uscita dal prontuario di Pantaleo Corvino: puoi sbagliare la moglie, ma non il portiere e il centravanti.
Viene anche da chiedersi chi, tra Paris Saint-Germain e Donnarumma, abbia sbagliato più forte: nelle segrete stanze del tentativo di rinnovo non avevamo cimici nascoste, una cosa che impedisce di avere una versione imparziale, definita e definitiva della vicenda, privilegio che spetta esclusivamente alle parti in causa. Il saluto ai tifosi, una manciata di giorni fa, è stato però senza alcun dubbio commovente, perché le mani di Donnarumma sulle grandi orecchie della Champions League, la prima della storia dei parigini, sono ancora impresse: il Pallone d’Oro andrà presumibilmente a Ousmane Dembelé anche per meri ragionamenti sciovinisti nelle sale di France Football, se è vero che persino ad Hakimi è stata messa la museruola sul tema, ma senza un paio di nottate da uomo del destino del nostro affezionatissimo Gigio, difficilmente Luis Enrique sarebbe passato per il genio che in effetti è. Del resto, non più tardi di un anno e qualche mese fa, il Psg era andato a sbattere ripetutamente contro i legni delle porte del Borussia Dortmund, spianando la strada a chi, una volta vinta la Champions 2025, ha sparato su Mbappé come causa di quella eliminazione – non tanto come capro espiatorio della doppia sfida, quanto come entità ingombrante: «si vince senza le primedonne», è stato il refrain post PSG-Inter. Chissà cosa si sarebbe detto e scritto se, invece, il Psg avesse (meritatamente) passato il turno contro il Dortmund e vinto la finale del 2024 contro il Real. Perché alla fine, nella larga parte di chi commenta il calcio, non conta mai quello che è successo ieri né quello che accadrà domani, soltanto l’oggi. E per poco.
Eppure, Donnarumma continua a essere meno apprezzato di quello che dovrebbe, soprattutto dalle nostre parti. E il motivo è uno solo: i soldi. In queste ore in cui vengono riportate le cifre – obiettivamente astronomiche – del contratto che lo legherà al Manchester City, si dibatte quasi esclusivamente dell’enormità dell’importo, non del fatto che Gigio sia, a voler stare larghi, uno dei migliori tre portieri del mondo. E che stia per andare a giocare in una delle squadre più importanti del campionato in assoluto più ricco d’Europa. La carriera di Donnarumma continua a correre seguendo le tappe della celebre massima di Enzo Ferrari: gli italiani ti perdonano tutto, tranne il successo. È rimasto per tanti Dollarumma, quello delle banconote finte tirategli addosso nel ritorno da avversario al Milan, tralasciando gli altri riferimenti presenti sui dollari farlocchi. Si tratta del portiere che, con le sue parate, ha rivestito un ruolo decisivo nella vittoria di un Europeo che, se rivisto oggi, sembra lunare: la vulgata ha ormai da tempo ridotto quel torneo a un buco di sceneggiatura, a un miracolo irripetibile, ignorando forse volutamente quanto giocasse bene l’Italia di Mancini, ma allo stesso tempo chi punta sul concetto del trofeo vinto per volere di Eupalla, la divinità del calcio inventata da Gianni Brera, si rifiuta di riconoscere i meriti di Gigio, in un corto circuito persino complicato da spiegare.
Il problema, appunto, sono i soldi. Donnarumma che lascia il Milan a parametro zero per andare a prendere i milioni del Paris Saint-Germain, dopo averne già presi tanti in rossonero. E ora Donnarumma che strappa con i campioni d’Europa per andarne a prendere un’altra manciata, come se gestisse le trattative posando un kalashnikov sul tavolo davanti a presidenti e direttori sportivi inermi. L’ipotesi che quei soldi siano meritati finisce per passare in secondo piano. Bisognerebbe invece scendere a patti con la realtà, e riconoscere che Gianluigi Donnarumma, per brevità Gigio, è da numerose stagioni uno dei punti di riferimento nel ruolo a livello mondiale; è l’unico campione che la nostra Nazionale possa vantare in questo momento complicato; ha un entourage che forse non seduce i cuori della gente, ma sa fare il suo lavoro; potrebbe non essere umano simpaticissimo, non possiamo saperlo fino in fondo, ma il suo mestiere è parare, non raccontare le barzellette. E pochi esseri umani al mondo parano come Donnarumma, che con buona pace dei suoi detrattori è un portiere ricchissimo e fenomenale di 26 anni, e questo vuol dire che continueremo a vederlo sui nostri schermi per almeno un altro decennio abbondante. Nella speranza di tornare ad alzare anche noi, in maglia azzurra, un trofeo sollevato al cielo dalle sue mani enormi.