Non potevo venire via da Tokyo senza la medaglia, intervista a Mattia Furlani

Il racconto intimo di un trionfo storico per l'atletica e per lo sport italiano.
di Alfonso Fasano 18 Settembre 2025 alle 08:49

La felicità, purtroppo o per fortuna, non ha un’unità di misura. Soprattutto quando si tratta di sport. Ogni atleta, infatti, vive i propri successi in maniera diversa, prova emozioni contrastanti. Emozioni che dipendono da diversi fattori: quello che è successo durante la gara decisiva, com’è andata la preparazione per quella gara e per i momenti più importanti in generale; poi possono pesare anche il ricordo del passato, le pressioni del presente, le ambizioni del futuro. In questo senso, la situazione di Mattia Furlani – che da poche ore è diventato campione del mondo di salto in lungo, primo atleta italiano a conquistare il titolo iridato in campo maschile –  era ed è abbastanza complessa: parliamo di un talento che da anni studia e lavora per diventare un fenomeno generazionale, di un predestinato che finora aveva mantenuto tutte le promesse, di un fuoriclasse non ancora fatto e finito – in fondo ha soltanto vent’anni, come potrebbe esserlo? – che però aveva già conquistato dei risultati eccezionali, e che quindi si presentava al Mondiale di Tokyo con un’enorme pressione addosso.

Ecco, tutte queste sensazioni si sono sciolte nella gioia manifestata subito dopo aver vinto la medaglia d’oro. Che, nota non proprio a margine, è arrivata grazie al salto numero cinque della finale: Furlani, dopo un inizio non proprio convincente, ha fatto il suo record personale (8,39) e ha staccato tutti. Usando un gergo motoristico, si potrebbe dire che ha vinto alla grande, questo è evidente, però all’ultima curva.

E allora, in virtù di tutto questo, è stato bello potergli chiedere: quale emozione, tra tutte quelle che l’hanno travolto dopo un trionfo così importante, ha avuto un impatto più forte su tutte le altre? In poche parole: qual è stata l’unità di misura della felicità di Mattia Furlani, neocampione del mondo? Risposta: «Ero ancora dentro la gara», dice Furlani a Undici, «quindi la prima cosa che ho provato è stata la determinazione: prima del sesto e ultimo salto, quando ero già sicuro di aver vinto l’oro, mi sono detto: “Io qua devo saltare ancora più lungo, è possibile?”. Se ci ripenso adesso, era come se non potessi ancora credere di aver vinto. Ero determinato a fare bene fino all’ultimo. E credo che questo abbia fatto la differenza in gara».

La gara, appunto. Lo stesso Furlani ha raccontato così la sua finale, in un misto di gioia, orgoglio e incredulità: «L’ho gestita in maniera particolare, fin dal primo salto mi sono fatto prendere dalla foga del momento. La verità è che partivo con un po’ di rabbia, con il prosciutto sugli occhi. Così finivo per perdere la mia ritmica, non riuscivo a calibrare bene la mia rincorsa, le mie spinte: entravo parecchio forte e quindi non riuscivo a saltare come volevo». Poi, però, le cose sono cambiate: «In quel momento Mamma ha lavorato in maniera incredibile. Mi ha fatto tornare con la testa dentro la gara, mi ha detto, appunto, come interpretare meglio la rincorsa e come esprimermi al meglio. È stata lei il tassello chiave della finale, anche se l’ho gestita un po’ male all’inizio. Ma nel mio sport basta un salto per vincere. Anche mio fratello ha sempre detto che il quinto salto è il più importante di tutti. Aveva ragione: al terzo salto ho capito come interpretare la rincorsa e mi sono detto “Aspetta!”. Al quarto ci ho provato ed è andata un po’ meglio, ma non ero ancora soddisfatto. Poi è arrivato il quinto ed è andata bene». Decisamente bene, sì.

Questo è il racconto tecnico, ma poi c’è anche quello emotivo. Perché nello sport d’élite, che piaccia o meno, è praticamente impossibile vincere senza che il la mente cammini bene insieme al corpo. Da questo punto di vista, Furlani dice parole importanti, snocciola concetti che vengono dal suo vissuto, dalla sua storia di fuoriclasse in costruzione: «Dopo tutto quello che abbiamo fatto quest’anno, avevo troppa motivazione: non potevo uscire da Tokyo senza aver dato proprio tutto. E senza una medaglia».

A questo punto, è inevitabile, anche Mattia Furlani si è sciolto e si scioglie, si lascia andare, inizia a parlare in termini di felicità. Che è la felicità di uno sportivo d’élite che sa di essere tale, ci mancherebbe, ma allo stesso tempo è talmente percettibile che si può toccare dentro le sue parole: «Mi sento bene. Perché questa vittoria così importante è arrivata nonostante un lavoro portato avanti nel modo giusto, col mio team stiamo rispettando la mia crescita biologica, stiamo rispettando le tappe. Secondo me, e non parlo solo di competizioni, stiamo gestendo benissimo i metodi e i tempi di lavoro, stiamo crescendo nel modo giusto. E vincere in questo modo è una soddisfazione enorme».

Questo è un altro aspetto importante: come detto, Mattia Furlani ha solamente vent’anni – ne compirà 21 il 7 febbraio 2026 – ed è il più giovane campione del mondo nella storia del salto in alto. Non è tutto: sono anni, in questo senso ricorderete l’intervista rilasciata subito dopo aver vinto il bronzo alle Olimpiadi di Tokyo, che parla del modo in cui si dovrebbe interagire con i ragazzi della sua generazione, che cerca di trasmettere concetti come pazienza e rispetto dei tempi e delle inclinazioni personali, anche e soprattutto nello sport. A una persona così, beh, è inevitabile chiedere cosa si prova dopo aver vinto l’oro mondiale a vent’anni, come si convive con il peso delle pressioni e delle aspettative: «Mi sento bene, è una bella soddisfazione. Anche perché non avevo mai sentito una pressione così alta prima di Tokyo. Devo dire che questa situazione me l’ero creata io, nel senso che senza i risultati ottenuti in precedenza forse non avrei avuto gli stessi stimoli, le stesse pressioni. Allo stesso tempo, però, devo dire che le pressioni vanno fatte scorrere, anzi devono devono essere proprio fonte di di motivazione. Devono aiutarti a costruire foga del momento, perché comunque sono pressioni positive, non negative. In fondo lo sport è fatto di questo, di prestazioni e di controprestazioni, quindi sono veramente contento e grato di quello che è successo ieri: bastava che il quinto salto fosse nullo, e noi oggi staremmo facendo tutto un altro discorso. E invece siamo qui con l’oro, e sono contentissimo».

Furlani è contentissimo anche perché il successo è arrivato in una città, Tokyo, dove Mattia ha potuto rivivere il suo passato, anche se in modo particolare. È lui stesso a raccontarlo, e mentre parla i suoi occhi esprimono una felicità diversa, più distesa, più rilassata: «Beh, qui a Tokyo c’è la mia infanzia. Mi sembra di averci sempre vissuto e poi chiaramente non è così, però l’influenza che abbiamo dal Giappone è davvero enorme. Nel mio caso, sono cresciuto con Doreamon, con Dragon Ball, con i Pokémon e altri anime, i manga. È stato bello vincere in un contesto del genere». A volte è bello tornare piccoli, anche per i campioni del mondo, anche per i fenomeni generazionali, anche solo per un attimo.

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