Non riusciremo mai a liberarci di José Mourinho, che ci piaccia o meno

Troppo carismatico, troppo influente, il personaggio è sopravvissuto all'allenatore. E ora riparte dal Benfica.
di Redazione Undici 19 Settembre 2025 alle 01:34

Era destino. Soltanto poche settimane fa José Mourinho chiudeva una delle pagine più deludenti della sua ricca carriera, fallendo la qualificazione alla Champions League alla guida del Fenerbahce. Decisivo, per le sorti dello Special One, il ko per 1-0 maturato a Lisbona contro il Benfica. Un fiasco che alla dirigenza turca proprio non è andato giù: pur di esonerare il portoghese, dalle parti di Instanbul avevano versato una buonauscita da 15 milioni di euro. E oggi? Mourinho torna in azione. E allenerà proprio il Benfica, che nel frattempo è incappato a sua volta in un umiliante, seppur rimediabile, scivolone europeo – ko casalingo, da 2-0 a 2-3, contro il modesto Qarabag – optando così per un rapido cambio di guida tecnica. Chi se non lui, che fece grandi i rivali del Porto come nessun altro?

Non riusciva a tenersi lontano dal calcio, Mou. Neanche per un po’. E nemmeno il calcio riusciva a tenersi lontano da lui, nonostante una parabola discendente che negli ultimi anni – ormai sette a digiuno dalla competizione europea più importante – è sembrata inesorabile. «Provo così tante emozioni, ma credo che l’esperienza mi aiuti a controllarle», ha dichiarato lui durante la conferenza stampa di presentazione, a fianco del presidente Rui Costa. «Devo essere in grado di metterle da parte e guardare al mio lavoro: sono l’allenatore di uno dei club più grandi del mondo». Poi la bordata contro il passato recente: «Ho fatto un errore andando al Fenerbahce» (e delle due l’una, perché altrimenti sarebbe stato un fallimento sportivo ancora più suo). «Non era il mio livello culturale, non era il mio livello calcistico. Ovviamente, ho dato tutto fino all’ultimo giorno. Ovviamente, ho dovuto piangere, come sta facendo ora Bruno Lage», l’allenatore che fino all’altro giorno sedeva sulla sua nuova panchina. «A nessuno piace andarsene. Ma allenare il Benfica è tornare al mio livello».

E a nessuno interessa davvero l’inconfessato rovescio della domanda – cioè se il suo livello, a oggi, non sia in fin dei conti inferiore a quello dell’ambizioso Benfica. Perché Mou resta Mou anche grazie alle polemiche che puntualmente continua a suscitare. A partire dagli stizziti vertici del Fenerbahce: «Mourinho è un uomo così brillante che aveva previsto la sconfitta del Benfica contro il Qarabag», si è lasciatp scappare Ali Koc, presidente del club turco, tra il serio e il faceto. «Ha persino calcolato che Lage sarebbe stato esonerato. Con lui c’era anche Mário Branco – ex difensore del Fener, oggi al Benfica –, quei due avevano un piano…». Anche nelle critiche, nella comprensibile amarezza per una vicissitudine dai connotati temporali diabolicamente perfetti, lo Special One non riesce a essere ripudiato. La premessa è: Mourinho è un uomo così brillante che. Punto.

E il suo ritorno al Benfica – di questo si tratta, dopo un quarto di secolo e una carriera che all’epoca nessun dirigente portoghese avrebbe osato immaginare – rappresenta l’ennesimo capolavoro acrobatico. Un upgrade da applausi. Perché sotto il profilo del curriculum recente – quattro esoneri di fila: Manchester United, Tottenham, Roma e Fenerbahce – non c’era alcun elemento tecnico che potesse proiettarlo dal periferico campionato turco – senza Champions – a una squadra giovane e talentuosa come quella lusitana. Che vale quasi 350 milioni di euro complessivi e in Champions giocherà eccome, anche per tornare a stupire dopo l’avvio stentato. Ma Mourinho è ormai inglobato dal suo personaggio. Ed è questo ad aver stregato anche il Benfica, con contratto biennale fino al 2027.

Perché al contempo Mou resta un eterno campione di gestualità – manette, dito alla bocca, mano all’orecchio… – e uno straordinario motivatore, capace di ripetere delle imprese quasi impossibili. Come far vincere una coppa europea alla Roma – andando a un rigore dal bis, un gradino più su – o un’Europa League al Manchester United, che di questi tempi bui in casa Red Devils è tantissima roba. Certo, non ha più l’appeal tecnico-tattico di quando conquistava la Champions col Porto, i campionati con Chelsea o Real e il Triplete con l’Inter. Ma è sempre Mou. Prendere o lasciare. E nel dubbio, ancora oggi, il calcio prende. Di più: in Portogallo gode di una reputazione talmente sconfinata (forse anche irrazionale?) che tutti lo danno per certo – più avanti, dopo il Benfica – come futuro commissario tecnico della Nazionale. Non sono i trofei, non sono le gesta. È come un diritto divino. Speciale.

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