Ousmane Dembélé ha meritato il Pallone d’Oro, e la sua vittoria è un salutare tuffo nel passato

Dopo la noiosissima diarchia Messi-Ronaldo, il premio di France Football sta tornando nelle mani di chi ha vissuto una grande stagione, proprio come accadeva venti, trenta o quarant'anni fa.
di Redazione Undici 23 Settembre 2025 alle 02:42

Ousmane Dembélé è stato uno dei pochi rappresentanti del Paris Saint Germain alla cerimonia della consegna del Pallone d’Oro 2025. Colpa di un nubifragio di Marsiglia che ha fatto rinviare Le Classique tra OM e PSG, previsto inizialmente per domenica alle 21. Eppure, Dembelé era colui la cui presenza al Théâtre du Châtelet contava di più. Il 28enne di Vernom, un paesotto di 25mila abitanti della Normandia, è infatti ha vinto infatti il prestigioso premio di France Footbal. L’assegnazione del riconoscimento individuale più importante di tutti a Dembélé apre una nuova era per il Ballon d’Or. Perché, di fatto, sancisce la fine definitiva dell’era Messi-Ronaldo. Sì, è vero: dal 2019 a oggi, anche Modric, Benzema e Rodri hanno conquistato il riconoscimento individuale più ambito dai calciatori. Il punto, però è che la vittoria di Dembélé, un anno dopo quella di Rodri, riporta indietro le lancette della storia.

Per capire cosa intendiamo, bisogna porsi la domanda: cosa incide sull’elezione del Pallone d’Oro? Dopo le vittorie di Dembélé e Rodri, possiamo rispondere così: incide prima di tutto l’andamento dell’ultima stagione. Nel senso che, ora come ora, a partire davanti a tutti è l’uomo-simbolo del club che ha vinto la Champions, e/o della Nazionale che ha vinto l’Europeo o il Mondiale. Nel periodo di dominio di Messi e Ronaldo non sempre è stato così, basti pensare al 2010 e al 2019, quando la sfera dorata è finita nelle mani di Messi e non in quelle di Snejider o Salah, i totem dell’Inter del Triplete e del Liverpool campione d’Europa. La seconda analisi verte poi sul messaggio che si trasmette a tutti gli addetti ai lavori: dare il Pallone d’Oro a Dembélé significa riconoscere il valore del collettivo del PSG. Lo dimostrano anche il terzo posto di Vitinha, il sesto di Hakimi, il nono di Donnaruma e il decimo di Nuno Mendes. Mezzo undici titolare finito nei primi dieci classificati. Tutto normale, visto che i francesi hanno vinto quattro titoli su cinque – e al Mondiale per club si sono fermati solo in finale, sconfitti dal Chelsea.

È come se Dembelé rappresentasse una sorta di primus inter pares, di migliore tra i migliori. In fondo parliamo di un attaccante reduce da un’annata pazzesca, da una stagione in cui Luis Enrique (anche lui premiato al Ballon d’Or, naturalmente come miglior allenatore) gli ha cambiato la carriera. Non aveva mai segnato così tanto, 37 gol sono uno sproposito per un attaccante esterno che fino al 2025 era arrivato al massimo a 12 reti stagionali, primato stabilito per altro ai tempi del Rennes. È pur vero, però, che nessuno avrebbe gridato allo candalo se il Pallone d’oro fosse andato a Vitinha, la mente del PSG. Oppure, perché no, a Donnarumma, decisivo con le sue parate nei quarti e nelle semifinali di Champions. Ecco, forse è stata una piccola occasione persa per vedere finalmente trionfare un portiere, ma alla fine il nome di Dembélé mette d’accordo tutti.

Certo, fino a poco tempo fa nessuno poteva neanche immaginare un epilogo del genere. Anche perché, ironia ella sorte, Dembélé ha vinto il Pallone d’Oro prima di Mbappè. Se aveste parlato in questi termini nell’autunno 2024, nessuno vi avrebbe creduti. e probabilmente vi avrebbero tacciati di capire poco di calcio. E invece siamo qui a raccontare di un premio meritato, anche se non scontato. Anche perché il principale avversario di Dembélé è stato Lamine Yamal, che da parte sua poteva contare sui tre titoli vinti in stagione (Liga, Copa del Rey e Supercoppa spagnola con il Barcellona), sul fattore-teenager che indubbiamente stuzzicava i votanti e sull’ipotesi – decisamente concreta, va detto – che potesse iniziare la sua dinastia. La sensazione, infatti, è quella per cui Yamal avrà tutto il tempo per riempire la libreria di casa di Palloni d’Oro. E allora, anche e soprattutto in virtù di questo, la vittoria di Dembélé ha un senso e un significato ancora più profondi: in questo momento storico, i giurati di France Football premiano il rendimento di una stagione rispetto alla classe di un fenomeno, per quanto assoluta. Ed è proprio questo che ci porta nel passato, che ci fa fare un salutare tuffo temporale agli anni di Weah, di Figo, di Nedved, di Kaká, senza dover tornare per forza al Mesozoico del calcio. Non si stava meglio quando si stava peggio, questo no, ma almeno il Pallone d’Oro era un premio trasversale e democratico, che generava polemiche ma non annoiava mai. Adesso il riconoscimento è tornato a essere quella roba lì, ed è difficile non credere che sia una buona notizia.

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