Se in Italia abbiamo iniziato ad apprezzare il biathlon, il merito è tutto di Dorothea Wierer

La biatleta italiana è tra i candidati per Aura Sport & Cultura Award.
di Redazione Undici 23 Settembre 2025 alle 11:03

Occhi di ghiaccio a rompere il silenzio della disciplina. Falcata e tiro, falcata e tiro. Per oltre un quindicennio di carriera, fatta di resilienza e straordinaria capacità di buttarsi sempre oltre l’ostacolo: è anche per questo se Dorothea Wierer, all’alba dei 36 anni, non ha alcuna intenzione di perdere l’appuntamento olimpico con Milano-Cortina. Lei non ha più nulla da dimostrare: tre bronzi in tre diverse edizioni dei Giochi – staffetta mista a Sochi e Pyeongchang, sprint individuale a Pechino, unica biatleta donna italiana a riuscirci – e quattro titoli iridati in altrettante gare diverse, conquistando la Coppa del Mondo di biathlon nel 2019 e nel 2020. Dorothea è inoltre la terza atleta nella storia ad aver vinto in tutti i sette formati di gara di questo sport. Che tuttavia, anche in Italia, resta una competizione di nicchia, poco conosciuta ai più. Se oggi alla parola biathlon riusciamo però ad associare determinate immagini, è soprattutto grazie a Wierer. E sarà così ancora di più, dopo il palcoscenico mediatico delle Olimpiadi invernali in casa.

La rassegna a cinque cerchi, per Dorothea, sarà un cerchio che si chiude. Proprio sulle piste natie di Anterselva, nell’intatta Val Pusteria, dove si svolgeranno le gare di biathlon in programma per il grande evento. “Anche se non vinco o vado a medaglia, sarà il momento ideale per chiudere la mia carriera”, sorride. “Impegno e motivazione non mancano mai, però il tempo passa e il fisico non risponde più come quando avevi 25 anni: il pensiero di finire lì, dove tutto è cominciato, sarà una bella storia da raccontare. Poi sperò di potermi godere un po’ la vita”. Dopo una vita fatta di gare e preparazione, tra sci di fondo e tiro a segno con la carabina. Undici mesi di lavoro all’anno, sui pattini e in bicicletta quando manca la neve per poi entrare nel vivo a ridosso dell’inverno. È così che si sviluppa un’eccezionale costanza di rendimento. “Facciamo più o meno 6-700 ore di allenamento fisico, più altre 200 ore di tiro”, Wierer aveva raccontato a Undici. “Approsimativamente, direi che spariamo 15mila colpi all’anno. Questo sport porta via tantissimo tempo”.

Vanno coordinati corpo e mente, adrenalina e imperturbabilità, il movimento frenetico di uno sprint con la stasi assoluta che accompagna il dito sul grilletto. “Un mix di motivazione e freddezza”, riassume lei. “Il biathlon è uno sport di endurance, ma allo stesso tempo c’è il tiro. È come se noi biatleti avessimo una doppia anima: nello sci di fondo devi partire e andare a tutta, mentre al poligono devi essere preciso, anche lì super-veloce, ma è una velocità diversa. Poi certo, conta prendere il bersaglio. È chiaro che dipende tutto dalla testa. Devi tener duro, stringere i denti fino alla fine”. E al contempo coinvolgere chi segue a bordo pista o in tv, lungo un campo visivo che tende a sfuggire nella neve. “Come numero di atleti siamo in crescita, è importante che ci sia un ambiente competitivo ma sano”. Dunque ispirare, dare l’esempio e mostrare la via alle nuove generazioni.

Dorothea lo fa ogni giorno, da anni, facendosi promotrice di un movimento intero anche grazie all’attività da testimonial per i grandi brand e all’attenta presenza sui social. Sa di rappresentare uno sport, ma anche una terra – l’Alto Adige, a trazione linguistica tedesca – che non dovrebbe ribadire a nessuno la sua identità geografica. Eppure talvolta è costretta a farlo. “Le critiche agli atleti come me o Jannik Sinner? Non è piacevole per chi ci tiene tantissimo, vince per l’Italia e si sente italiano. Quando però rispondo e argomento, di solito la gente capisce: si rende conto che la storia è quella che è stata e non possiamo cambiarla. Però credo che questo sia anche il bello dell’Italia: tantissime regioni hanno la loro cultura, il loro modo di parlare e i loro dialetti”. Vanno tutelati, rivendicati, espressi sotto il tricolore comune. Ancora meglio se a Cortina, con la torcia olimpica accesa, verso l’ultimo giro di una fantastica corsa nel sottobosco. Falcata e tiro, falcata e tiro.



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