In effetti il colpo d’occhio del debutto in Saudi Pro Legue del Neom, la squadra dell’avveniristica città araba nella provincia di Tabuk, non era stato proprio dei migliori. Certo, la difficoltà di avere già un club calcistico in un posto che non esiste perché ancora in costruzione rimane. Eppure, la contromisura della società è stata quasi tragicomica. Il Neom ha infatti deciso di pagare delle persone per fare il tifo e venire alle partite. Con i soldi si può risolvere tutto e da quelle problemi di budget non ne hanno, se decidono di “investire” anche in aspetti marginali come questi. Ma nella società dell’apparire, anche un nuovo progetto così solido può essere scalfito dal fattore estetico e di sicuro vedere uno stadio da 12mila posti praticamente vuoto bello non è.
Come analizzato da L’Équipe, il giorno del primo match, il club aveva allestito una piccola “fan zone” nel parcheggio, con musica e luci. Sugli spalti, però, si è presentato a malapena un migliaio di spettatori, quasi tutti uomini, sorvegliati da un centinaio di steward. Giovedì scorso, i “tifosi” più rumorosi erano circa 300 e non di origine saudita. Sono stati accompagnati da agenti di sicurezza nella curva, chiamata, fa sorridere, “kop”, come quella del Liverpool. Tutti in fila ordinata sono scesi dai pullman per essere raggruppati e sorvegliati in un angolo della tribuna. Facce nuove venute da fuori, soprattutto dall’Africa, come si è potuto notare dalle sonorità dei canti con cui dovevano sostenere la squadra, seguendo il ritmo imposto dai tamburi. Giovani immigrati che vivono a Tabuk; tifosi pagati per incitare e fare rumore, come succede anche in altri club sauditi a corto di vero supporto popolare, dove le tribune risultano troppo vuote. Quasi una scena da serie tv distopica, se non fosse tremendamente reale.
Uno dei fan ha mostrato al giornale francese il gruppo WhatsApp dove ricevono le istruzioni: ognuno ha un numero, come i giocatori che sostengono in campo, ma non proprio lo stesso gettone. Cinquanta riyal, circa 11 euro, a serata, per vedersi una partita e magari essere abbracciati dai giocatori dopo un gol, come capitato. Da quando è stato promosso in prima divisione, il Neom SC, attualmente quinto in classifica, ha dovuto colmare in fretta il divario infrastrutturale. In soli tre mesi è sorto un centro d’allenamento in stile europeo, a nord della città, su un terreno sabbioso ancora in fase di costruzione: due campi supplementari, sempre in erba naturale, sono poi in fase di realizzazione.
«Funzioniamo un po’ come in Francia», racconta l’allenatore Galtier, ex di Lille e PSG. «Qui il clima ci permette di lavorare la mattina. I giocatori arrivano alle 8:30 per la colazione, l’allenamento, e poi possono continuare con lavoro specifico e recupero. Abbiamo buone strutture, con una mensa che ci permette di pranzare in loco e possiamo controllare al meglio la qualità delle sedute». Ma sul fronte del merchandising un po’ di ritardo ancora c’è: impossibile trovare la maglia ufficiale del club nei negozi sportivi di Tabuk. «Stiamo aspettando, li abbiamo chiamati ma ci hanno detto che non sono ancora pronti» racconta un commesso.
Il King Khaled Sports City, lo stadio, si trova a dieci chilometri dal centro d’allenamento e offre una vista sul sito industriale ultra-sorvegliato dell’Aramco, la compagnia petrolifera statale saudita, la cui entrata e i giganteschi serbatoi sono protetti da veicoli armati e blindati. L’impianto ha dovuto correre contro il tempo quest’estate per adeguarsi agli standard della federazione araba. I lavori sono stati finiti in extremis, alla vigilia dell’esordio casalingo contro Al-Okhdoud, il 18 settembre, (la partita da un migliaio di spettatori), gli operai erano ancora all’opera nei corridoi, negli spogliatoi e nella zona mista dello stadio, il cui interno odorava ancora di colla e vernice, tra rotoli di rivestimento e materiali sparsi ovunque. All’esterno, altri operai stendevano cavi elettrici, asfaltavano o chiudevano buchi, mentre i tecnici dell’agenzia IMG – incaricata della produzione e commercializzazione dei diritti media della SPL – cercavano l’interlocutore giusto per risolvere i loro problemi logistici. Una squadra e una società ancora “cantiere aperto”, nel vero senso della parola.