Ci fu un tempo i cui i decibel del Camp Nou surclassarono quelli di un Boeing in fase di decollo – era la notte del “bentornato” a Figo, per la prima volta con la maglia del Real Madrid nel 2000. E tutto quel fragore era interamente imputabile ai tifosi del Barcellona: tra i più caldi e passionali d’Europa. Un tempo, appunto. Oggi invece? Chi li sente più: perfino i 3.000 sostenitori del PSG – non parliamo certo del Liverpool o del Partizan Belgrado – mercoledì hanno banchettato sugli spalti blaugrana. Incontrastati, più padroni loro delle tribune di quanto Barcola e compagni lo siano stati sul campo. Senza bisogno del gol nel finale di Gonçalo Ramos, che ha regalato la vittoria al Paris e ammutolito definitivamente il blando pubblico catalano. Ricordo sbiadito di quello che fu.
“Dobbiamo mandare un messaggio al presidente Laporta: è inaccettabile che pochi tifosi rivali sovrastino i 40mila del Barcellona”, s’è lamentato un supporter in diretta tv nel postpartita. È una goccia nell’oceano, ma sintomatica di quel che da diversi anni a questa parte sta succedendo attorno al Més que un club – e pazienza per chi lo sostiene. Giocare al Camp Nou o al Montjuïc, davanti a 10 o 50mila spettatori, cambia poco: chi va a vedere il Barça è mediamente un occasionale, molto spesso un turista, a caccia dello sfizio da togliersi una volta nella vita pagando caro e grazie di tutto. Non ci sono lanciacori, non ci sono canti organici, ma nemmeno l’artificioso batter di mani all’americana – che per quanto piatto e stereotipato, comunque si fa sentire. A incitare il Barça è il silenzio.
Un’evoluzione ben pianificata dalla gestione Laporta: oggi il Barcellona è l’unica squadra della Liga a non disporre più di una tribuna dedicata alla tifoseria di casa. Gli ultimi gruppi organizzati – circa 600 membri – erano stati espulsi dallo stadio nel 2024, dopo un lungo braccio di ferro con la società anche per una serie di cori mirati contro lo stesso Laporta. E d’accordo la cura dell’immagine, l’importanza di tenere facinorosi e delinquenti fuori dagli stadi – a proposito di Figo: nessuno sente la mancanza della famosa testa di porco lanciata a bordocampo. Ma tra loro e gli spettatori-figurine c’è un’ampia via di mezzo di aficionados che ha bisogno di spazi e rappresentanza. Sono loro il sale e l’atmosfera del calcio, quei pochi in grado di trascinare emotivamente le masse e cambiare l’aria di una partita.
A peggiorare le cose ci sono poi i continui rinvii – ormai grotteschi, da commedia di Beckett – sulla riapertura del Camp Nou dopo il dispendioso restauro. E stando a Mundo Deportivo, dopo innumerevoli annunci e proclami dissolti nel vuoto il Barcellona starebbe infine considerando che restare al Montjuïc un altro po’, tutto sommato, farebbe bene ai ricavi – o comunque meglio che un Camp Nou a capienza ridotta. Un contesto di assoluta confusione, certificata dal recente intervento di Victor Font, ex candidato alla presidenza blaugrana – potrebbe riprovarci nel 2026 – che ha dichiarato senza mezzi termini: “Dovremmo essere preoccupati per ciò che si è vissuto sugli spalti contro il PSG. L’atmosfera al Montjuïc era fredda, e a tratti sopraffatta dai tifosi avversari. Le grandi serate europee richiedono una base di tifosi e un palcoscenico all’altezza della competizione e del Barça. E questo non è stato il caso”. Non è la prima volta, ma ormai succede sempre più spesso. Se oggi Mourinho si mettesse a correre attorno al campo con il dito alla bocca, traboccante di sfottò, probabilmente si sentirebbero soltanto i tifosi dell’Inter ad acclamarlo. Mentre i blaugrana penserebbero di essere al cinema. In rigoroso silenzio, appunto.