La vittoria ai Mondiali ha chiuso un cerchio dopo tanta sofferenza, intervista a Simone Anzani

Il centrale azzurro racconta il suo addio alla Nazionale, il rapporto con i compagni, il trionfo contro la Bulgaria dopo un inizio difficile.
di Giuliana Lorenzo 03 Ottobre 2025 alle 11:09

È tutta una questione di sincronismo, di incastri, di saper cogliere la cosiddetta palla al balzo, è una questione di “primi tempi”. Come quello con cui il centrale Simone Anzani ha messo a terra l’ultimo pallone che ha regalato all’Italvolley maschile la vittoria del secondo campionato iridato di fila dopo quello del 2022. “Back to back”, hanno scritto i ragazzi appartenenti a quel gruppo che tutti, indistintamente, definiscono coeso, fatto di ragazzi semplici. Ci sono i giovani, forse più incoscienti e spensierati, e i veterani, come Simone Giannelli o Anzani. Per la maglia azzurra il vicecapitano ha dato tutto, è stata una seconda pelle, una certezza. 211 presenze, tanti trofei vinti, tra cui brillano il Mondiale del 2022 e l’Europeo del 2021. Nei suoi piani Anzani, dopo i Giochi Olimpici del 2024, voleva smettere di giocare in Nazionale. Ha dovuto rimandare di un anno e forse, con il senno di poi, è stato meglio così. Non poteva però saperlo, non è stata una sua scelta. Il cuore che batte all’impazzata quando stai per vincere ha mostrato delle anomalie che gli hanno fatto saltare, oltre Parigi, anche l’Europeo del 2023. Poi, fortunatamente, tutto è andato per il meglio e Simone ha schiacciato quella palla della vittoria riprendendosi tutto.

L’ultimo pallone che ha regalato il successo all’Italia l’hai messo a terra tu, segno del destino?
Nemmeno un copione scritto poteva essere così bello. Dentro di me sapevo che sarebbe stata l’ultima partita con la maglia azzurra, l’ultima volta che avrei indossato quel numero sul petto e il tricolore. Ci tenevo particolarmente, infatti, avevo detto a Simo (Giannelli, ndr) “Se c’è l’opportunità, magari puoi anche darmi la palla… (ride, ndr)”. Chiudere il Mondiale in questo modo, dopo tanta sofferenza, dopo tutto quello che è successo, è stato veramente incredibile. Quando è caduto quel pallone non so nemmeno io cosa abbia pensato… è emersa qualche emozione, infatti, ho “frignato” per tutto il tempo.
A prescindere da come sarebbe andata la rassegna quindi avevi scelto?
Sì, sono dell’idea che sia necessario sapere e capire quando sia il momento giusto di fermarsi con qualcosa. Non poteva essercene uno migliore. Ho due figlie a casa e con tutto quello che è accaduto negli ultimi due anni ho chiuso un cerchio. Sono infinitamente orgoglioso di aver portato in alto l’Italia e indossato questa maglia, però era arrivato il momento. Lo dovevo a mia moglie, alla mia famiglia, ai miei amici che mi hanno aspettato, mi hanno aiutato a far sì che potessi ancora indossare l’azzurro. L’avevo detto a pochi, non lo sapeva quasi nessuno.

Ti aspettavi magari più considerazione dalla stampa per la vostra vittoria?
Purtroppo, in Italia, c’è una certa cultura dello sport. Viene dato, anche logicamente, più spazio al calcio o a determinati eventi, è l’impostazione che abbiamo. Ci si rimane un po’ male, quello sì, ma alla fine noi sappiamo ciò che abbiamo fatto e ce lo portiamo nel cuore.
Forse nessuno si aspettava che voi poteste rivincere…
In Italia e torniamo al discorso culturale, tendiamo a guardare sempre al presente, al momento, se si vince o si perde una determinata partita o meno. Non viene attribuita la giusta importanza al percorso. Questa nazionale ha vinto due Mondiali, un Europeo, ha raccolto un secondo posto all’Europeo in casa (nel 2023, ndr) e un quarto posto ai Giochi Olimpici dell’anno scorso. C’è davvero poco da spiegare. Quando abbiamo perso, nel girone, contro il Belgio, sono iniziate a circolare voci, si leggeva… e dicevano che eravamo spacciati, finiti, bolliti. Alla fine, sono saliti tutti sul carro a farci i complimenti. Noi abbiamo dimostrato ancora una volta di che pasta siamo fatti.
A proposito di quella sconfitta con il Belgio, vi ha dato una sorta di spinta in più?
Sicuramente ci ha riportato un po’ sulla terra. Ci ha permesso di dire “Ok, forse forse dobbiamo alzare un po’ l’asticella” e sì, direi che ci è servita.
Si è parlato tanto del gruppo, è questa la forza di questa squadra, la vostra unione?
Sì, essere uniti, non mollare mai, essere resilienti. Abbiamo in qualche modo portato in alto valori che abbiamo “costruito” negli anni, nel tempo e che abbiamo fatto nostri.
Che aggettivo useresti per quello che avete conseguito?
Speciale.

L’ossatura della Nazionale è bene o male quella da anni, ma ci sono sempre alcuni giovani e volti nuovi, qualcuno ti ha stupito?
Il movimento italiano di pallavolo è incredibile. Negli ultimi anni, tanti si stanno avvicinando grazie anche ai nostri risultati. Noi alla fine siamo la punta dell’iceberg e trainiamo tutto il movimento che sta sotto ed è immenso. Abbiamo un numero altissimo di tesserati e anche grazie a quanto fatto dalla Nazionale, tanti si sono avvicinati a questo mondo. In più, il lavoro degli allenatori italiani è sempre ottimo e tanti di questi giovani che stanno emergendo, riescono infatti a trovare spazio in Superlega e quindi anche in azzurro. Non credo ci siano dubbi sul fatto che abbiamo un bel vivaio, siamo al sicuro: io “vecchietto” (ride, ndr) posso lasciare tranquillo e dare a loro responsabilità.
In questi anni hai condiviso tanto con loro, c’è qualcuno a cui sei più legato? Immagino sia complesso scegliere…
Tutto questo gruppo mi ha aiutato e mi è stato vicino. Poi ci sono alcuni con cui ho trascorso tanti anni. C’è Simo (Giannelli, ndr): sono 10 anni che giochiamo e combattiamo insieme. E poi come non citare il mio compagno di stanza Riccardo Sbertoli. Mi ha sempre guidato e accompagnato e siamo diventati molto uniti.
E De Giorgi, cosa ti ha dato?
Lo conosco dai tempi della Lube, abbiamo lavorato due anni insieme. Già con il club avevo imparato a conoscerlo, a sapere quali fossero i suoi valori, i suoi principi, i suoi pregi e i suoi difetti. Mi ha dato tanto, è un allenatore che mi ha fatto capire cosa vuol dire credere in sé stessi e gli sono riconoscente per questo. 

Avete festeggiato?
Non siamo nemmeno andati a dormire, non abbiamo nemmeno pensato di metterci a letto (avevano il volo nella notte dopo la partita, ndr). Siamo stati svegli fino alla partenza, siamo andati a festeggiare in un ristorante italiano….Io mi sono messo a fare i drink dietro al bancone.
Nel post-partita, come anche altri tuoi compagni, ti sei commosso, in quelle lacrime cosa c’era?
Tutta la sofferenza che ho vissuto. Non sapevo, in questi due anni, quale sarebbe stato il mio futuro, quale sarebbe stato il destino. È come se avessi vissuto in una sorta di limbo. Direi che sono state lacrime di liberazione, di gioia, di orgoglio e di gratitudine.
Come hai superato questo periodo?
La forza che mi ha fatto andare avanti è stata rappresentata dalla vicinanza e dall’amore che ho avuto da parte delle mie bambine e da mia moglie. Non potevo permettermi di buttarmi giù, di deprimermi o di mollare, perché, una volta che sei in una situazione del genere, poi torni a casa e c’è una vita che devi portare avanti. Il motore sono stati i miei affetti. Ho aspettato di capire cosa sarebbe successo e l’ho accettato, non era in mio controllo.
Prima del Mondiale sei andato anche a trovare Daniele Lavia in ospedale, fingendoti un dirigente per riuscire a vederlo, confermi?
Sì (ride, ndr), mi sono finto dirigente per vederlo, volevo stargli vicino in un momento che, e posso davvero capirlo, è stato ed è molto complicato per lui. So cosa significhi star fuori. Durante i Giochi Olimpici di Parigi 2024 ho fatto fatica, i ragazzi lo sanno, anche a guardare le partite. Pensavo che avrei dovuto essere lì, lì insieme a loro, ero un po’ sopraffatto, non è stato facile. Tutti noi sappiamo che Daniele è parte integrante di noi e come ho ripetuto dopo la finale questa vittoria è dedicata a lui. 

Prima del match con la Bulgaria hai detto qualcosa ai tuoi compagni?
No, ormai questa squadra sta in piedi da sola. In realtà, forse, sono io che ho imparato più da loro adesso, che loro da me in passato. Ho capito che queste sfide possono essere vissute con più leggerezza. Io arrivo da una scuola, quella passata, dove i momenti prima di una finale o semifinale, si vivevano con tensione cercando poi di concentrarsi. I ragazzi che sono giovani, invece, sono forse più spensierati di me o più liberi. Anche avere un po’ più di leggerezza in questi momenti non fa mai male.
Tu sei anche quello che si commuove spesso…
Sì, è vero, ho questa emotività spiccata che viene fuori ogni tanto, forse con la nascita delle bambine si è accentuata.
Come è cambiato Simone da quando ci sono loro?
La nascita di un figlio, secondo me, è qualcosa che ti sconvolge la vita. Inizi a capire che hai delle responsabilità, devi accudire un’altra forma di vita e devi far crescere un essere umano. Mi ha aiutato ad essere più coscienzioso, razionale in alcune scelte. Mi hanno accolto con gioia e felicità e ora sono come delle cozze…non si staccano più, è normale e son contento che sia così.
Dopo l’addio in azzurro, pensi a un addio definitivo al volley?
Per il momento no, non smetto in azzurro per una questione fisica o tecnica. Sto bene, sto molto bene. Non mi pongo questa domanda, quando arriverà il momento e capirò che sarà quello, prenderò quella decisione.
Di cosa sei più orgoglioso?
Non ho mai mollato ed è un qualcosa che penso di aver trasmesso. Sono fiero della resistenza mostrata e della fedeltà ad alcuni valori: se sono riuscito anche solo in parte a condividerli, sono contento.

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