Nonostante sia il club più ricco e vincente del mondo, una delle caratteristiche storiche del Real Madrid è sempre stata una proprietà estremamente radicata nella capitale spagnola, anche perché legata al concetto di socios: le quote del club appartengono solo ai suoi stessi membri, che a loro volta eleggono un presidente e una giunta direttiva. È per tutto questo che l’idea di aprirsi a degli investitori esterni non è mai piaciuta tantissimo da quelle parti, quasi come se si avesse paura di perdere un’identità di valori legati alla grandezza della Casa Blanca – soprannome che già da solo trasmette nobiltà e prestigio. Eppure, i tempi sono cambiati, i costi si fanno sempre più alti, il nuovo obiettivo che si è dato il grande calcio è quello della sostenibilità. Di certo il rinnovamento dello stadio Bernabéu ha aiutato da questo punto di vista, portando generando giornalieri attraverso eventi che c’entrano poco col calcio. Ma se qualcuno con diversi soldini si presentasse da fuori, beh, anche la metà bianca di Madrid si metterebbe ad ascoltarlo.
Come riportato da The Athletic, infatti, il Real sta intensificando i piani per una trasformazione radicale della propria struttura, un cambiamento che permetterebbe, per la prima volta, a degli investitori di acquistare azioni del club. Dalla sua fondazione nel 1902, il Madrid non ha mai cambiato il suo modello proprietario, condiviso con altri tre club spagnoli e basta: Athletic Club, Osasuna e Barcellona. Allo stesso tempo, il Real è l’unica società calcistica al mondo ad aver registrato ricavi superiori al miliardo di euro – precisamente 1,045,5 miliardi di euro nella stagione 2023-24, secondo i dati di Deloitte. Nonostante ciò, il presidente Florentino Pérez ha spesso sottolineato come il modello basato sui soci limiti il club in alcuni aspetti, soprattutto nella competizione con squadre sostenute da miliardari o fondi sovrani.
Durante l’assemblea generale del club nel 2024, Pérez ha accennato alla possibilità di un referendum per introdurre modifiche che permettano investimenti esterni, pur lasciando il controllo in mano ai soci. All’epoca, tuttavia, non erano state presentate proposte concrete. Fonti della testata americana, vicine alla dirigenza, rivelano come il numero uno blanco intenda presentare nuovi dettagli e progetti più precisi durante la prossima assemblea generale prevista entro fine novembre. Una delle idee discusse internamente prevederebbe di dividere il Real Madrid in due entità distinte, una dedicata all’attività calcistica e l’altra alle operazioni commerciali. In questo modo, i soci manterrebbero la proprietà del club “sportivo”, mentre gli investitori potrebbero acquistare quote nella sezione business, che include diritti TV, sponsorizzazioni e attività del nuovo Bernabéu. È stato citato anche il modello 50+1 della Bundesliga, che garantisce ai soci la maggioranza dei voti (50% + 1), ma la sua applicazione in Spagna risulterebbe complessa per motivi fiscali e legali. Fino agli anni Novanta, infatti, tutti i club sportivi spagnoli appartenevano ai propri soci. Poi il governo ha imposto la trasformazione in società sportive per la maggior parte delle squadre professionistiche. Il Real Madrid, insieme a Barcellona, Athletic e Osasuna, ha ottenuto però un’eccezione speciale, mantenendo la struttura associativa.
Attualmente i soci eleggono il presidente del club, approvano o respingono i bilanci e votano eventuali modifiche allo statuto durante le assemblee annuali. È quasi impossibile diventare soci del Real. Solo i figli o i nipoti di soci possono fare domanda per entrare in società e solo circa 2mila soci delegati (socios compromisarios), scelti tramite elezione, hanno diritto di voto nelle assemblee. Sebbene il modello sia democratico, la gestione di Pérez ha dominato il club per oltre vent’anni e la maggior parte delle sue proposte viene approvata con larghissime maggioranze.
Proprio il costo stimato della ristrutturazione del Santiago Bernabéu, circa 1,8 miliardi di euro, unito all’impatto del Covid, ha spinto il club a cercare finanziamenti esterni. Nel 2017 ha stretto un accordo con il fondo statunitense Providence (200 milioni di euro in cambio di una quota dei futuri ricavi da sponsorizzazioni). Nel 2021 la partnership è stato rinegoziata con altri 50 milioni. L’anno successivo il fondo Sixth Street ha investito 360 milioni di euro per una partnership ventennale che include i ricavi dallo stadio (esclusi gli abbonamenti). Sixth Street è anche azionista di maggioranza della società Legends, che gestisce il retail, i ristoranti e gli eventi del Bernabéu.
Secondo le voci provenienti dall’interno, Pérez, insieme a Key Capital Partners e Clifford Chance (già coinvolte nel progetto Superlega), starebbe valutando nuovi modelli di investimento che permettano l’ingresso di capitali esterni, mantenendo però il controllo ai soci. Per gli investitori, tuttavia, esistono ostacoli pratici. Molti abbonamenti allo stadio costano meno dei pacchetti VIP per una sola partita e un maggiore afflusso di turisti rispetto ai soci locali sarebbe più redditizio. Ma Pérez è un politico, dipende dal sostegno dei soci storici e mantenerli soddisfatti resta la sua priorità. In ogni caso, la dirigenza vuole che le decisioni sportive (allenatori, trasferimenti, ecc.) rimangano di competenza del consiglio e non degli investitori. Un’ulteriore complicazione riguarda la scarsa attrattiva per gli investitori: detenere solo il 49% senza potere decisionale ridurrebbe il valore dell’investimento. Qualunque modello venga scelto, i fondi raccolti dagli investitori andrebbero interamente al club, per rafforzare la squadra o per coprire i costi del Bernabéu. Un cambiamento, in ogni caso, sembra ormai inevitabile. Resterà solo da capire se Florentino riuscirà nella sua missione, aprirsi al mondo senza vendere l’anima del Madrid.