Vogliamo essere i difensori del futuro, intervista a Leonardo Bovio e Federico Nardin

Sono ancora dei teenager, giocano entrambi dietro, nella Roma e nell’Inter, e fanno parte del roster di Under Armour. Li abbiamo incontrati per farci raccontare il loro percorso, le loro prospettive.
di Alfonso Fasano 18 Ottobre 2025 alle 01:02
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Per gli appassionati di calcio, una delle cose più stranianti in assoluto è quando ci si ritrova a guardare vecchie partite: bastano pochi secondi di un video di venti, quindici o anche solo dieci anni fa, per rendersi conto di quanto sia progredito il gioco. Questa evoluzione è legata al lavoro degli allenatori, questo è naturale, ma la verità è che i cambiamenti tattici sono legati ai giocatori, alle loro caratteristiche: chi va in campo, può piacere o meno, rappresenta la materia prima da cui partire per qualsiasi tipo di trasformazione. E allora il modo più efficace – ma soprattutto più eccitante – per anticipare il futuro, per cominciare a intuire come sarà il calcio di domani, è guardare ai giovani di oggi. Ai teenager che stanno assaggiando il calcio dei grandi, che esordiscono sempre più presto nelle squadre senior e che i grandi club, inevitabilmente, inquadrano fin da piccolissimi nei loro settori giovanili.

Federico Nardin e Leonardo Bovio sono due difensori. Il primo gioca nella squadra Primavera della Roma, il secondo in quella dell’Inter. Sono nati, rispettivamente, il 18 febbraio del 2007 e il 4 febbraio del 2008. Entrambi fanno parte del roster di Under Armour, un brand che crede tantissimo in questa nuova generazione di talenti, ed entrambi sono entrati in un vivaio importante quando erano dei bambini. Non è un modo di dire, né tantomeno un’esagerazione: Nardin ha indossato per la prima volta la maglia della Roma a sette anni, Bovio è entrato nel vivaio dell’Inter quando di anni ne aveva otto. Da quel momento la loro vita è cambiata, è iniziato un percorso di sviluppo che li ha portati a vivere l’infanzia e l’adolescenza in modo diverso rispetto ai loro coetanei. Sono proprio loro a raccontarlo, spiegando però come queste differenze non debbano essere considerate come un peso, non per loro: Nardin racconta che lui gioca a calcio «per passione, e ho sempre vissuto questa cosa come un divertimento. Ho fatto quelli che per alcuni potrebbero essere dei sacrifici, delle rinunce, questo è vero. Ma per me ne è sempre valsa la pena». Per Bovio, il calcio è «lo sport che amo, e personalmente credo che fare una cosa che si ama non possa essere considerato un sacrificio. E poi credo che stare all’interno di una squadra fin da quando sono piccolo mi abbia aiutato a costruire dei rapporti umani solidi. Da questo punto di vista penso di essere maturato molto prima rispetto ai miei coetanei».

 

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Nel calcio contemporaneo, è inevitabile, l’evoluzione dei singoli va di pari passo con quella della tattica collettiva. È una condizione che negli ultimi anni ha riguardato soprattutto i difensori, la cui interpretazione del gioco è stata letteralmente stravolta da un nuovo modo di stare in campo, di intendere il rapporto con la palla, con lo spazio, con gli avversari. E allora gli aspiranti difensori di oggi sono una sorta di finestra spalancata sul domani, sul calcio del futuro. Perché la loro vocazione per questo ruolo può essere nata e poi può declinarsi in modi molto diversi.

Questo discorso vale anche per Nardin e Bovio, che giocano entrambi in difesa, eppure hanno storie e idee e modelli molto differenti tra loro. Bovio, per esempio, ricorda che «da piccolo ero uno a cui piaceva fare gol, volevo stare nel vivo del gioco, mi buttavo ovunque. Ho ricoperto tutti i ruoli, mi è capitato di giocare persino come portiere. Quando mi hanno stabilizzato nel mio ruolo, all’inizio non ero contento, poi però ho appreso arti e mestieri della difesa. E devo dire che adesso sono davvero entusiasta di giocarci, anche perché il calcio sta cambiando: il difensore del futuro saprà impostare l’azione e giocherà molto il pallone. Al tempo stesso, però, i fondamentali del ruolo continueranno a essere importanti. Penso agli anticipi, alla capacità di vincere i duelli aerei e fisici. È per questo che mi ispiro a due giocatori molto diversi tra loro, Puyol e Bastoni».

Per Nardin, invece, le cose sono andate in modo esattamente opposto: «Ho sempre adorato i contrasti», dice. «Ovviamente fare gol piace a tutti, soprattutto quando si è bambini. Però nel mio caso ho sempre preferito altri aspetti del gioco: il contatto con gli avversari, andare a duello, vincere lo scontro fisico. Sono sempre stato esuberante, anche da piccolo interpretavo il calcio in questo modo. E quindi il percorso che ho intrapreso è stato quello del difensore, fin da subito. Non a caso, mi viene da dire, il mio modello era e resta Sergio Ramos: mi piace il suo temperamento, il modo in cui interviene sugli avversari. Dà sempre il massimo e sa giocare anche in avanti, come deve fare un difensore moderno».

 

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Insomma, per dirla in due parole: i difensori del futuro saranno calciatori completi. E quindi saranno anche unici. È esattamente questo il profilo in cui crede Under Armour, un brand che esalta e valorizza le caratteristiche degli atleti con cui collabora. Sia con i prodotti da usare in campo che con quelli sportswear. Ne sono consapevoli anche Bovio e Nardin, ambasciatori perfetti per lo spirito dinamico e ambizioso di Under Armour, uno spirito che hanno portato anche all’interno dei rispettivi spogliatoi. Sono loro stessi a raccontarlo: «La qualità e l’attenzione per i materiali di Under Armour mi ha davvero impressionato», dice Leonardo Bovio. «Non mi era mai capitato prima di iniziare a collaborare con loro: ogni particolare si adatta benissimo a me, e si vede in modo chiaro. Al punto che alcuni compagni mi chiedono di provare le scarpe e invidiano i miei look, anche quelli fuori dal campo».

Federico Nardin, a sua volta, dice di sentirsi molto affine a Under Armour perché «si tratta di un brand in crescita, che si sta affermando molto velocemente. Questa è una cosa che mi rappresenta, con cui mi identifico. Anche perché poi succede spesso che i miei compagni si avvicinano per chiedermi qualcosa di più sulla scarpa che indosso, su un certo outfit, mi chiedono come possono fare per trovarlo, per averlo anche loro. È una cosa che mi piace molto, perché mi fa sentire unico». Non c’era miglior modo per dirlo, davvero.

Da Undici n° 64
Foto di Piergiorgio Sorgetti
Moda di Fabiana Guigli
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