Nel calcio contemporaneo, che piaccia o meno, il successo delle società di calcio ha molte facce, si definisce con modalità e anche con unità di misura differenti rispetto al passato. Da una parte ci sono i successi sul campo, che ovviamente continuano a essere primari, a fare la differenza, a trascinare tutto il resto. Dall’altra, in parallelo, i club della nostra epoca devono lavorare anche in altre direzioni. Devono offrire un’immagine accattivante, devono posizionarsi come veri e propri brand. Sportivi, ma pur sempre brand. Partendo da queste precondizioni, ci sono poche squadre/società che hanno fatto un percorso virtuoso come quello compiuto dal Napoli. Negli ultimi anni, infatti, il club di proprietà di Aurelio De Laurentiis non ha solo vinto due scudetti, ma ha anche avviato una vera e propria rivoluzione comunicativa. Che, in calce, porta la firma di Valentina De Laurentiis.
Per la prima volta, di fatto, il Napoli è riuscito a progettare e poi a costruire una brand identity del tutto coerente con la propria storia, con il dna del suo stesso pubblico, con le esigenze del nostro tempo. E adessp questo lavoro non solo creativo, ma anche puramente commerciale, sta dando i suoi frutti. Si tratta di frutti rigogliosi, apprezzati in modo trasversale: come si usa dire per il cinema, un settore piuttosto caro alla famiglia De Laurentiis, sia il pubblico che la critica hanno accolto benissimo questo nuovo modo di porsi. Di essere e rappresentare Napoli. Per capire bene quali sono state le mosse fatti dal club azzurro negli ultimi anni, abbiamo intervistato Valentina De Laurentiis, guida spirituale e anche progettuale di questa nuova era. Ci ha parlato di maglie, di brand identity, di passato, di presente e di futuro. E ha messo il Napoli e Napoli al centro di tutto, perché questo è il fondamento di tutto il suo lavoro.
Sono 15 anni che il Napoli è una squadra d’élite, che staziona ai primi posti della classifica e che partecipa costantemente alle competizioni europee. In tutto questo periodo avete fatto scelte pioneristiche a livello di identità, di stile, anche guardando alle strategie commerciali. Poi c’è stata l’accelerata degli ultimi anni. Si può dire che ci sia una continuità tra queste due grandi fasi della storia recente del club? E, se ci sono, quali sono le differenze?
Sicuramente mio padre è un visionario, uno che non ha mai avuto paura di mettersi in gioco. Ha sempre avuto idee all’avanguardia che hanno permesso alla società di evolversi sotto ogni punto di vista. Per costruire qualcosa di grande servono tempo, costanza e un lavoro profondo. È il coraggio di andare oltre ciò che si conosce a rendere possibile ogni trasformazione. Negli ultimi anni abbiamo sentito il bisogno di fare un passo in più: non solo rendere forte la squadra, ma contribuire alla rinascita della città. Napoli ha una luce propria, che aveva bisogno di essere vista, raccontata, valorizzata. Negli ultimi tre, quattro anni abbiamo scelto di puntare su questo: raccontare la magia, la poesia, l’anima di una comunità che canta e vibra a ogni ora del giorno e della notte. Volevamo sentirci ancora più vicini al popolo, a chi vive Napoli e a chi vive del Napoli.
Quando e come è iniziato il percorso di rebranding del Napoli? Quali sono stati i punti cardine da cui siete partiti per dare una nuova immagine al club?
Il percorso di rebranding nasce dall’esigenza di rappresentare l’orgoglio di essere Napoli e si è concretizzato in una rivisitazione del logo, con la sua tradizionale N napoleonica rielaborata in una versione più minimal e contemporanea. L’essenziale è stato liberato da elementi accessori, puntando su un aspetto più pulito ed elegante, in variante monocromatica. Siamo partiti da un’idea chiara: il Napoli non è solo una squadra di calcio, ma un simbolo culturale. Da qui l’obiettivo di costruire un linguaggio visivo e narrativo capace di parlare non solo ai tifosi, ma anche a un pubblico più ampio, fatto di creativi, brand internazionali e appassionati di stile e bellezza.
Quali sono i punti cardine di questo nuovo linguaggio visivo?
Siamo partiti da tre concetti:
• Identità – rafforzare il legame con la città, rendendo visibile l’anima di Napoli in ogni dettaglio: dal logo alle maglie, dai materiali ai racconti.
• Stile – alzare l’asticella in termini di design e innovazione, collaborando con eccellenze del mondo moda e lifestyle per creare un’immagine contemporanea.
• Esperienza – far vivere il Napoli non solo durante la partita, ma ogni giorno, attraverso prodotti, eventi e progetti che raccontino un modo di essere, prima ancora che di tifare.
In sintesi, abbiamo contribuito all’evoluzione del Napoli da club sportivo a brand culturale, capace di ispirare, unire e rappresentare con orgoglio una città che ha molto più da dire di quanto spesso si immagini.

La scelta più dirompente, guardando agli ultimi anni, è stata sicuramente quella relativa all’autoproduzione delle maglie e del materiale tecnico. Com’è nata e com’è stata sviluppata questa idea mai vista prima in Italia? Avevate un riferimento a cui vi siete ispirati?
L’idea dell’autoproduzione è nata da un’esigenza di libertà e di visione. Dopo tanti anni con i soliti brand sportivi, ci siamo resi conto che avevamo bisogno di un’identità più personale, coerente con ciò che stavamo costruendo come club e come città. Volevamo poter decidere ogni dettaglio, raccontare una storia che fosse solo nostra, senza compromessi o limiti imposti da logiche esterne. Non ci siamo ispirati a nessun modello preciso: è stata una scelta di rottura, nata dall’idea che un club come il Napoli potesse diventare un laboratorio creativo, capace di fondere sport, design, cultura e territorio in un unico linguaggio visivo. Dal punto di vista operativo è stato un lavoro enorme: dalla ricerca dei materiali alla definizione delle collezioni, fino alla costruzione di una filiera completa che garantisse qualità, innovazione e distribuzione. Ma il risultato è stato straordinario, perché ci ha permesso di controllare ogni aspetto del processo creativo e produttivo e, soprattutto, di costruire un rapporto diretto con i nostri tifosi e sostenitori. Quando abbiamo iniziato questa avventura c’era il Covid: mancavano appena quattro mesi all’inizio del campionato e non tutti, all’interno dell’azienda, erano d’accordo. Per molti era un azzardo. Le aziende in Cina lavoravano con personale dimezzato e i tempi di consegna sarebbero stati impossibili da rispettare. Così abbiamo deciso di affidarci al Made in Italy, scegliendo aziende e tessuti italiani per realizzare le prime maglie necessarie a far partire il campionato. È stata una corsa contro il tempo, con un gruppo di persone ridotto ma straordinariamente determinato. A volte non serve un esercito per fare qualcosa di grande: servono visione, coraggio e la capacità di credere fino in fondo nelle proprie idee. È stato un atto di fiducia nell’eccellenza italiana e nella determinazione napoletana: due forze che, insieme, possono muovere tutto, anche nei momenti più difficili. Negli anni successivi abbiamo affinato sempre più il processo produttivo, mantenendo in Italia la parte creativa e selezionando i migliori partner a livello internazionale.
Com’è stato l’impatto di tutte queste nuove idee?
L’impatto è stato immediato: abbiamo trasformato la maglia da semplice divisa sportiva a oggetto di design, simbolo identitario. Quell’anno, il 2021/22, siamo usciti con 13 maglie, inclusa quella di Halloween, una novità assoluta nel calcio italiano. Abbiamo osato con idee “fuori dagli schemi”, come la maglia con la renna o quella con il bacio, che ancora oggi vedo indossata allo stadio. Tutto questo ha aperto margini enormi di crescita, sia economica che culturale. Oggi siamo solo all’inizio di un percorso che può portare il Napoli a diventare un brand globale indipendente, capace di dialogare con il mondo del fashion, del lifestyle e dell’arte, mantenendo però salda la propria anima popolare e partenopea. Mi sento ancora una startup in via di sviluppo: stiamo crescendo, sperimentando, cercando di migliorare ogni giorno. Nonostante i risultati, manteniamo quello spirito curioso e dinamico che ci spinge a evolverci continuamente. Vogliamo migliorare sempre di più per i nostri tifosi, che sono il vero perno di tutto. Sono loro la nostra ispirazione quotidiana. Ogni scelta, dal design di una maglia a un nuovo progetto, nasce con l’idea di regalare loro qualcosa che li renda orgogliosi e li faccia sentire parte di qualcosa di unico.
Com’è cambiato il vostro lavoro dal punto di vista creativo e pratico? Le idee per tutte le divise che avete indossato in questi anni vengono direttamente da voi?
Il mio ruolo è proprio quello di mettere insieme idee, ispirazioni, progetti e design. Lavoro con un piccolo gruppo creativo interno con cui sviluppiamo il concept di ogni maglia, definendo racconto, simboli e visione da trasmettere. Una volta elaborato il progetto, lo portiamo sul tavolo di lavoro del gruppo Armani, con cui c’è un dialogo costante e molto costruttivo. Insieme valutiamo materiali, tagli, dettagli tecnici e cromatici, fino ad arrivare alla versione definitiva poi messa in produzione. L’autoproduzione ci ha dato molta più libertà: oggi possiamo osare di più, sperimentare, essere più rapidi nel trasformare un’idea in realtà. È un lavoro intenso ma entusiasmante, perché ogni maglia racconta un pezzo di Napoli: sportiva, culturale, emotiva, simbolica.
Quando presentiamo le maglie, il compito del Napoli non è solo sportivo, ma anche culturale e sociale, andiamo alla ricerca di luoghi che non tutti conoscono: significa riqualificare e valorizzare luoghi meravigliosi della città e della sua provincia, spesso dimenticati o abbandonati. Questo è anche – e soprattutto – il Napoli: una squadra che ha ridato luce a una città che aveva bisogno di essere vista, amata e raccontata nella sua verità più profonda. Per noi è fondamentale farlo, perché Napoli deve diventare una mappa viva di luoghi incredibili da scoprire, un viaggio continuo tra storia, arte, natura e passione.

Più o meno in concomitanza – o comunque a brevissima distanza – rispetto all’inizio dell’autoproduzione, il Napoli ha cambiato completamente approccio dal punto di vista della brand identity. Di conseguenza, sono cambiate anche le strategie relative al merchandising. Da cosa è partita questa ulteriore svolta? E in cosa consiste?
Tutto è nato da una semplice osservazione: mancava prodotto Napoli in giro. E quando si trovava, spesso non era all’altezza del valore del club e della città, troppo simile a un “prodotto da bancarella”. Mi sembrava ingiusto nei confronti dei nostri tifosi, che meritano di poter indossare qualcosa di cui andare fieri, sia allo stadio che nella vita di tutti i giorni. Da questa consapevolezza è partita la svolta: creare un prodotto autentico, curato, di qualità, capace di raccontare la bellezza e l’identità di Napoli con lo stesso linguaggio dei grandi brand internazionali. Siamo ora al quinto anno di autoproduzione e ogni stagione rappresenta un passo avanti: miglioriamo materiali, dettagli, servizio e, soprattutto, l’engagement con i tifosi. Vederli orgogliosi di portare il nostro brand è la conferma più bella che stiamo andando nella direzione giusta.
Il Napoli, negli ultimi anni, ha stretto accordi di collaborazione e partnership strategiche con con grandi aziende di riconoscibilità globale. Il tutto, però, senza dimenticare la connessione con le imprese e anche la cultura della comunità che rappresenta. Come si fanno combaciare queste due anime? Si possono portare avanti entrambe le politiche?
Credo che le due anime possano convivere perfettamente. Anzi, è proprio dalla loro unione che nasce la forza del nostro progetto. Da un lato, collaborare con grandi aziende internazionali ci permette di portare il Napoli su palcoscenici globali, di dialogare con un pubblico nuovo e di mostrare il valore della nostra visione al mondo. Dall’altro, restare connessi al territorio è fondamentale. Napoli è un universo di talento, artigianalità, cultura e passione. Collaborare con realtà locali, artisti, creativi e imprese della nostra comunità significa non perdere mai il contatto con le radici, con ciò che rende davvero autentico il nostro brand. Il nostro obiettivo è unire il mondo e Napoli in un’unica narrazione: portare la città nel mondo e il mondo dentro la città. È un equilibrio delicato, ma è ciò che ci distingue. La nostra forza nasce dall’identità: quando è così potente, può dialogare con chiunque, ovunque.

Cosa dobbiamo aspettarci per i prossimi mesi e per i prossimi anni? Guardando fuori dal campo: dove e come può ancora crescere il Napoli?
In questi cinque anni abbiamo messo radici solide in Campania, costruendo una base forte e riconoscibile. Ora l’obiettivo è abbracciare tutti i tifosi e sostenitori napoletani che vivono nel mondo, farli sentire parte di un’unica grande famiglia, anche a migliaia di chilometri di distanza. Vogliamo portare il Napoli ovunque ci sia un cuore azzurro: attraverso nuovi store, collaborazioni internazionali, eventi e progetti che raccontino non solo la squadra, ma l’anima di una città straordinaria. Il futuro, per noi, è continuare a crescere come brand globale senza mai perdere le radici. Napoli ha un’identità così forte e universale che può parlare a chiunque: basta trovare il linguaggio giusto per farlo. Perché alla fine Napoli non è solo un club: è un’emozione che attraversa confini, culture e generazioni. È un modo di sentire, di vivere, di appartenere. Ed è da lì che continueremo a costruire tutto.