Jannik Sinner ha criticato i tornei del Grande Slam per i montepremi e lo scarso welfare, scrive il Guardian

Il tennista numero due al mondo ha chiesto di aumentare i premi di partecipazione e la solidarietà nei confronti dei giocatori.
di Redazione Undici 28 Ottobre 2025 alle 13:32

Tira ancora una brutta aria tra i migliori tennisti del mondo e il circuito del Grande Slam, uno degli attori principali del tennis mondiale – che si differenzia dall’ATP, dalla WTA e dall’ITF, la Federazione Internazionale. Secondo quanto riportato dal Guardian, infatti, Jannik Sinner ha manifestato tutta la sua frustrazione nei confronti dell’ente che gestisce Wimbledon, Roland Garros, US Open e Australian Open, facendosi portavoce dei sentimenti provati dai tennisti più forti del mondo. Ecco i virgolettati che il quotidiano inglese ha attribuito al tennista numero due del mondo: «Abbiamo avuto importanti conversazioni con il sistema degli Slam al Roland Garros e a Wimbledon», dice Sinner, «quindi è veramente scoraggiante vedere che le nostre proposte sono state tutte declinate». Sinner si riferisce alle richieste che lui e i suoi colleghi hamnno avanzato al circuito degli Slam, richiedendo un aumento del contributo a un fondo di previdenza che copra le pensioni, l’assistenza sanitaria e i periodi di maternità delle giocatrici; e poi un aumento dei montepremi rispetto alle entrate dei tornei, con un incremento dal 16% al 22% entro il 2030; una maggiore partecipazione dei tennisti all’interno dei processi decisionali, magari attraverso l’istituzione di un Consiglio dei Giocatori legato al Grande Slam. 

Dopo una prima lettera firmata anche da Novak Djokovic, inviata a marzo, qualche settimana fa lo stesso Sinner e tanti altri tennisti di primo piano – tra cui Carlos Alcaraz, Jack Draper, Lorenzo Musetti, Aryna Sabalenka, Coco Gauff e Iga Swiatek – hanno scritto nuovamente ai dirigenti dello Slam, che però hanno declinato qualsiasi tipo di avvicinamento tra le parti. Nessun dialogo è previsto nei prossimi mesi, e così la frustrazione dei campioni è aumentata a dismisura. «Di certo il calendario e l’organizzazione sono temi importanti», prosegue Sinner sul Guardian, «ma nei nostri pensieri ci sono principalmente il welfare e l’aumento dei premi in denaro. Il Grande Slam è l’organizzazione che genera più entrate nel mondo del tennis, e noi vogliamo che i premi riflettano meglio i grandi introiti di questi tornei. Vogliamo lavorare insieme agli Slam per trovare una soluzione che sia positiva per tutti».

Una delle priorità dei giocatori è aumentare l’entità dei premi per coloro che non riescono ad accedere alle fasi finali dei tornei, in modo che la carriera di un tennista non di élite sia comunque sostenibile a livello economico. A questo proposito, gli US Open di quest’anno hanno messo in palio il più grande montepremi della storia degli Slam, per un totale di 63,8 milioni di dollari, e un “premio partecipazione” di 110mila dollari per chi riesca a giocare anche una sola partita a Flushing Meadows. Un primo passo che, però, non è sufficiente a rendere sostenibili le carriere professionistiche di chi non riesce a raggiungere i campi dello US Open.

Già nel 2013 il tennista argentino Thomas Bucchas (numero 1.355 al mondo) aveva scritto alla Federazione Internazionale dicendo che «giusto un centinaio di persone potessero vivere di tennis, perché al resto dei giocatori non ci guadagnava nulla». A confronto dei protagonisti di altri sport, per esempio calcio e basket, i tennisti fanno una vita diversa: non godono di uno stipendio annuale, previsto dal contratto con una squadra, ma sono liberi professionisti. E allora pagano le trasferte, gli allenatori e lo staff indipendentemente dalle partite che vincono. A certi livelli è impossibile dedicarsi a un secondo lavoro, ma è fondamentale la ricerca continua di uno sponsor. Un problema sottolineato anche da Novak Djokovic, che più volte ha parlato della questione: «Ho provato a mettermi nei panni di tutti quei tennisti che non sono nelle top 100, e vale per uomini, donne e doppisti: se non vinci almeno un torneo al mese la vita è dura», ha dichiarato il campione serbo lo scorso novembre. «Quando ho iniziato anche io non godevo di un grande sostegno da parte della Federazione serba. Oggi ho una certa influenza e voglio fare qualcosa. La situazione attuale è un fallimento del nostro sport».

E allora torniamo all’intervista di Sinner e alla frustrazione provata dai migliori tennisti al mondo, che vorrebbero non solo una governance unitaria per uno sport che ha più di un miliardo di fan in tutto il mondo, ma soprattutto maggior peso nelle decisioni organizzative ed economiche. Non si parla di una richiesta egoistica del numero due al mondo, né del tentativo di rendere ancora più elitari i premi e le onorificenze, ma bensì dell’intenzione di rendere la disciplina più democratica e sostenibile.  La situazione attualmente è in fase di stallo a causa dell’azione legale intrapresa dalla Professional Tennis Player Association (PTPA), l’organizzazione sindacale co-fondata da Djokovic quattro anni fa, che dallo scorso marzo attacca tutti gli attori principali del mondo del tennis accusandoli di sopprimere la concorrenza, manipolare i premi in denaro e imporre un sistema di classifica molto restrittivo ai giocatori. E, nonostante dei primi passi operati dagli Slam, come l’aumento del 7 per cento del premio in denaro di Wimbledon, la soluzione appare ancora molto lontana.

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