Stefano Pioli e la Fiorentina, storia di un’implosione

Una difesa a tre a dir poco inefficace, Kean depotenziato, assenza totale di reazione di fronte alla crisi. E uno scollamento preoccupante tra risultati e ambizioni.
di Redazione Undici 03 Novembre 2025 alle 19:02

Stefano Pioli non sarà più l’allenatore della Fiorentina. È questione di ore, di giorni al massimo: troppo brutto, per essere vero, il ko rimediato in casa contro il Lecce, l’ennesimo in questo avvio di Serie A. Il peggiore di sempre nella storia viola, lo dicono i tanti record negativi aggiornati al tibasso. E la cosa peggiore, per la Viola, è che il problema non sono nemmeno i quattro punti in 10 giornate o il desolante penultimo posto (un quadro spaventoso, eppure ancora raddrizzabile in chiave europea: vi ricordate la Roma, un anno fa a quest’ora?). ma tutto quello che c’è attorno. Nessun gioco, nessun mordente, nessuna reazione degna di questo nome nemmeno nel momento più nero – se ci si aggrappa alla rabbia di Ranieri, capitano che quantomeno ci tiene, per un rigore cancellato dal Var, allora non ci siamo proprio. Il nulla pervenuto sul campo. Domenica dopo domenica.

Un’agonia che nessuno, a partire da Firenze, avrebbe mai potuto pronosticare alla vigilia del campionato. Pioli era tornato al Franchi con le stimmate dello scudetto vinto al Milan, con l’allure di chi aveva appena allenato Cristiano Ronaldo – sia pure in Arabia. In estate aveva riacceso l’entusiasmo dopo il divorzio tra il club e Raffaele Palladino. Eppure, di questa squadra, sembra non averci ancora capito nulla, in qualunque reparto di gioco (fatta salva la porta del povero De Gea). In difesa la sua Fiorentina si è incaponita in un opinabile assetto a tre, del tutto stonato rispetto al calcio aggressivo dell’allenatore – che non a caso, nei momenti più floridi della sua carriera, tra Lazio, Milan e la stessa viola nel 2018, aveva sempre schierato una linea a quattro. Da qui derivano i primi problemi di una squadra lenta nell’impostazione della manovra e non affidabile in fase di non possesso – per usare un eufemismo: è la peggior difesa della Serie A, con la seconda peggior differenza reti. Senza contare gli sforzi così richiesti agli esterni a tutta fascia: esagerati per l’età di Gosens, non congeniali a un giocatore di spinta come Dodó.

Saliamo allora a centrocampo. Dove nella Viola si sente terribilmente l’assenza di un playmaker puro: beati i tempi di Arthur, senza scomodare dei fuoriclasse della mediana. Ma Sohm e Ndour hanno profili diversi, per non parlare di Mandragora; Nicolussi Caviglia in realtà gioca meglio da mezzala dinamica, come aveva egregiamente fatto vadere la scorsa stagione a Venezia. Uno sforzo in più in questo senso si potrebbe chiedere a Fagioli, forse anche a Fazzini. Di sicuro l’ambiziosa campagna acquisti portata avanti in estate si è rivelata presto fallimentare – e infatti Daniele Pradè ne ha già fatto le spese – ma Pioli fin qui doveva comunque trarre di più dal materiale tecnico a disposizione. Che non sarà da lotta-Champions, come aveva profeticamente sentenziato Allegri nel precampionato. Ma nemmeno da bassa classifica. Figurarsi da retrocessione.

Davanti pesa invece l’involuzione di Kean: fino a qualche mese fa era un re Mida del gol, oggi è appena a quota due su 11 partite stagionali – di cui uno su rigore. L’attaccante della Nazionale dà tuttora la sensazione di essere fisicamente dominante, di poter fare reparto da solo. Eppure non è più così, semplicemente per il fatto che il nuovo allenatore gli affianca un’altra punta che poco si compenetra alle sue caratteristiche. Riducendo così il suo raggio d’azione, la sua capacità di rompere le difese – non è un caso nemmeno che l’ex Juve, in realtà, in questo periodo ha segnato altre quattro reti: tutte in azzurro, appunto, affinando l’intesa con Retegui mentre in viola gli mancano all’improvviso i punti di riferimento. Non pervenuti Dzeko e Piccoli, a corrente alternata Gudmundsson sulla trequarti. La mossa della disperazione – contro il Bologna, ultimo punto conquistato dalla Fiorentina – si chiama allora Sabiri. Che due anni fa fece poco per evitare la retrocessione in B della Sampdoria.

«La situazione è difficile, sono venuto qui promettendo mari e monti», aveva ammesso Pioli dopo il brutto ko al Meazza in settimana. «Non avrei mai immaginato una cosa del genere, ma credo nei miei giocatori e nel mio lavoro». Preoccupa allora, forse più di tutto, lo scollamento con la realtà: soltanto tre mesi fa l’allenatore scriveva sulla lavagnetta dello spogliatoio la parola “Champions” e invece in un batter d’occhio vede spalancarsi il baratro della retrocessione. Un’implosione del genere non era nemmeno negli incubi della Fiesole, spoglia per forza maggiore come la squadra in campo. Certe storie è meglio che finiscano e basta.

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