Ceferin segue Infantino, e punta a esportare il calcio oltre le latitudini convenzionali? In parte sì. Finale di Champions League compresa. Eppure, se l’ultimo atto della massima competizione continentale per club dovesse presto giocarsi fuori dall’Europa, come racconta ESPN in quest’articolo, le motivazioni andrebbero oltre la semplice sfera economica o di marketing. Perché dall’Italia alla Francia, le opzioni logistiche per ospitare la finale del torneo scarseggiano sempre di più. La scorsa edizione si è disputata a Monaco di Baviera, che a oggi, rende noto la Federcalcio di Nyon, è anche l’unica sede ad aver presentato una candidatura per il 2028. Mentre per il 2029 sono in lizza soltanto Barcellona e Londra: la capitale inglese ha già ospitato la partita tre volte negli ultimi 13 anni. Insomma, gli impianti all’avanguardia per il main event sono sempre quelli.
Pesa in questo senso il forfait di Milano, che avrebbe dovuto organizzare la finale del 2027 – toccherà invece al Metropolitáno di Madrid – salvo poi fare un passo indietro per l’annosa questione San Siro. Ma l’obsolescenza cronica degli stadi italiani ormai comincia a trovarsi in buona compagnia: gli ultimi requisiti richiesti dalla UEFA per ospitare la finale di Champions prevedono un impianto dalla capacità minima di 65mila spettatori, un adeguato spazio circostante per la viabilità e la gestione delle folle in totale sicurezza, un sistema di trasporti pubblici all’altezza, un aeroporto di caratura internazionale e un’articolata rete alberghiera. Tradotto, le uniche città che rispettano tutti i suddetti parametri sarebbero Londra con Wembley, Madrid – lato Real e lato Atlético – e Barcellona appena sarà pronto il nuovo Camp Nou.
La prossima finale del torneo, il 30 maggio 2026, si terrà alla Puskás Aréna di Budapest, i cui 67.100 posti non sono però corrisposti da simili infrastrutture di supporto: per la capitale ungherese si preannuncia una sfida organizzativa non da poco. Con ogni probabilità si supererà senza troppi problemi, ma la UEFA ha intenzione di evitare altri casi-limite. E le sedi che assegnarono la Champions League in passato non sono più incoraggianti: fuori questione Mosca e San Pietroburgo per ovvi motivi politici, inagibile anche Kyiv a causa della guerra; l’Olimpico di Roma non ha fatto alcun passo in avanti rispetto alla finale del 2009, Parigi fece una pessima figura nel 2022 per il caos ai tornelli che fece ritardare l’evento di oltre mezz’ora. Ancora più indietro tutte le altre. Da Vienna ad Amsterdam, passando per Glasgow, Atene, Manchester e Cardiff: per un motivo o per l’altro, nessuna garantisce tutti i parametri necessari.
Il problema vero, quindi, è che le metropoli europee stanno facendo poco per tenere il passo e uniformarsi alle esigenze organizzative della UEFA. Così a Ceferin, nel giro di pochi anni, davvero rischia di non restare scelta: una finale di Champions a New York o a Riyadh avrebbe senz’altro un enorme appeal mediatico e commerciale. Magari farebbe storcere il naso ai tifosi europei, ma nel momento in cui sarà appurato che non c’erano altre possibilità comincerebbero a scarseggiare anche gli argomenti degli scettici«Se si giocasse negli Stati Uniti sarebbe un enorme successo», assicurano gli americani. «Già cinque milioni di appassionati hanno fatto richiesta per un biglietto ai Mondiali dell’anno prossimo: la fame c’è tutta, i soldi pure». E gli impianti sportivi, oltreoceano o nei Paesi del Golfo, sarebbero l’ultima delle preoccupazioni. Certo è che a quel punto Ceferin avrebbe un bel dilemma a giustificare le proprie perplessità sulle singole partite di Liga o Serie A da disputare all’estero. Ma c’è tutto il tempo per pensare a una via di fuga, sempre in nome del calcio.