Curaçao ai Mondiali è un’impresa che arriva da lontano, un progetto che va avanti da anni

La Nazionale caraibica, che rappresenterà il Paese più piccolo nella storia della Coppa del Mondo, è stata costruita pezzo per pezzo, con fantasia e coraggio.
di Emanuele Giulianelli 19 Novembre 2025 alle 18:55

Se il nome Curaçao è noto, in Italia e nel resto del mondo, non è sicuramente per una Nazionale di calcio, ma per un liquore, dal caratteristico colore blu. Un distillato che nasce dalla laraha, un’arancia troppo amara da mangiare, frutto di una terra secca e arida, e dall’esigenza di trovarle un utilizzo e di renderlo gradevole. Anzi: dolce. Guardando al calcio, il processo nella piccola nazione caraibica è praticamente lo stesso: bisogna dare gusto e sapore a una materia prima che, davanti agli occhi del mondo, non sembrava avere potenzialità di trasformarsi in qualcosa di buono, attraverso il lavoro, senza tradirla. E attraverso una trasformazione, di metodo e di mentalità.

Alla fine è andata bene: dolce, dolcissimo, è stato il sapore della festa che nella notte italiana ha travolto le strade di Willemstad e di tutta la piccola isola, situata di fronte alle coste venezuelane, nonostante la presenta minacciosa e ingombrante, a poche miglia di distanza, delle navi americane che attendono ordini da Donald Trump per scatenare l’inferno dalle parti di Maduro. A Curaçao bastava non perdere contro la più blasonata Giamaica per staccare un biglietto per il Mondiale 2026 e il pareggio a reti bianche sul terreno del National Stadium di Kingston ha consentito alla nazionale dalla maglia blu di diventare la più piccola nazione a prendere parte alla massima competizione del pianeta.

“Dune un chens” e “Ta nos beurt”, che significano rispettivamente “Diamogli una chance” e “è nostro momento, tocca a noi” sono le frasi che si sentono pronunciare di più tra gli abitanti della nazione, costituita nel 2010, quando le Antille Olandesi hanno cessato di esistere come entità politica unitaria. In seguito alla dissoluzione, Curaçao è diventata una nazione costitutiva del Regno dei Paesi Bassi, ottenendo un’autonomia simile a quella di Aruba. Contestualmente, le isole di Bonaire, Sint Eustatius e Saba sono state integrate direttamente nei Paesi Bassi come comuni speciali. Per capire come Curaçao sia riuscita ad arrivare, in pochi anni, a qualificarsi per la Coppa del Mondo, è necessario fare un salto indietro. Anzi, un tuffo, considerando che siamo nel Mar dei Caraibi. Hassnah Elhage è stata dirigente della FFK, la federcalcio dell’isola, e oggi ha un progetto di rilancio del campionato locale, come presidente del club SV Victory Boys, in cui milita uno dei primatisti di presenze in nazionale, Cuco Martina: «Qualificarsi per la Coppa del Mondo è stato un progetto su cui molte persone hanno lavorato instancabilmente dal 2004», dice a Undici. «La crescita esponenziale può essere attribuita a giocatori di alto livello come Tahith Chong, Sontje Hansen e Armando Obispo, tra gli altri, così come a una nuova generazione di giocatori della diaspora che giocano come professionisti, che scelgono di rappresentare Curaçao e aiutano a far avverare questo sogno». In quegli anni, si parlava ancora di Nazionale delle Antille Olandesi, ma il progetto Curaçao era già in essere.

Le prime partite della nuova era arrivano nel 2011. Rocky Siberie, attaccante di quella generazione, ricorda in modo chiaro quell’inizio: «Sì, facevo parte di quella prima squadra in cui abbiamo tutti iniziato con quel sogno di andare alla Coppa del Mondo. Ho giocato molte partite: la gente di Curaçao ama la propria nazionale, lo stadio era sold out perché era qualcosa di nuovo e le persone erano tutte entusiaste dei nuovi giocatori. Ricordo ancora il gol che ho segnato in casa nella vittoria contro Antigua, Poi abbiamo affrontato l’Honduras: abbiamo perso 2-1 in casa e 4-0 in trasferta. Loro avevano David Suazo dell’Inter in attacco. Momento fantastico, ma allora l’Honduras era troppo forte». Il calcio dell’isola era come la lahara prima della distillazione, acerba e amara. Ma ai Mondiali del 2026, Curaçao ci sarà, l’Honduras no: risultato plastico dell’ottimo lavoro compiuto dalle parti di Willemstad.

Un ruolo fondamentale, nel percorso di crescita, lo hanno giocato i figli della diaspora, i giocatori cresciuti nelle squadre e nelle Nazionali giovanili olandesi, che hanno scelto poi di rappresentare la formazione caraibica: un progetto, anche questo, che parte da lontano, fortemente stimolato a livello nazionale e federale: «Il campionato nazionale è piccolo e dilettantistico», spiega a Undici Hassnah Elhage, «considerando che la nostra nazione insulare ha solo 170mila abitanti e i giovani più talentuosi spesso si trasferiscono nei Paesi Bassi per entrare nelle loro accademie giovanili. Nel nostro caso, condividiamo una nazionalità comune con i Paesi Bassi, secondo le definizioni sportive della FIFA. Considerando quanto è piccola la nostra nazione e il fatto che, per proseguire nel loro percorso di istruzione superiore, molti studenti lasciano l’isola per conseguire titoli nei Paesi Bassi, nel panorama calcistico non è diverso. Questi giocatori hanno tutti un legame autentico con Curaçao, e si sentono Yu di Kòrsou (YDK in breve, che significa Figlio di Curaçao). Finché i giocatori si sentono orgogliosi di rappresentare il Paese, e il Paese si sente orgoglioso che la sua diaspora mostri il proprio talento calcistico, io lo vedo come un contributo positivo allo sport».

La svolta, insomma, arriva quando la FIFA cambia le regole, percorso che ha aiutato molte altre nazionali: i giocatori che hanno vestito le maglie giovanili dell’Olanda possono scegliere di rappresentare Curaçao. «Da quando abbiamo iniziato», ricorda Siberie, «i giocatori di Curaçao che giocavano all’estero hanno seguito costantemente lo sviluppo della Nazionale, ma in quella fase non erano convinti al 100% di venire a giocare per noi. Con il passare degli anni, però, l’intera federazione di Curaçao ha continuato a crescere, a costruire un progetto sempre più forte e credibile, al punto che, alla luce delle nuove regole, molti giocatori hanno scelto di giocare per noi. Ecco perché stiamo diventando sempre più forti, arrivando a giocare la Gold Cup e, ora, a qualificarci per i Mondiali».

A guidare, sul campo, la squadra che parteciperà alla Coppa del mondo nell’estate 2026 c’è l’olandese Dick Advocaat: un nome che non ha bisogno di presentazioni, un segno evidente della caratura e dell’ambizione del progetto di Curaçao: «Giochiamo con il 4-3-3, anche se a volte cambiamo», spiega Rocky Siberie . «Con questo sistema di gioco abbiamo conquistato il punto decisivo contro la Giamaica.  Advocaat è  il migliore, semplicemente il migliore. L’ho incontrato anche l’estate scorsa a Curaçao, dove avevano una partita: sono andato a vedere l’allenamento e ho incontrato i ragazzi. Alcuni di loro ancora mi conoscono da quando abbiamo iniziato tutti nel 2010. Lui ha capito bene la nostra cultura ed è molto appassionato del nostro calcio, ha molta esperienza e grazie a lui ci siamo qualificati alla Coppa del Mondo. Gli faranno una statua a Curaçao, penso».

Ma che prospettive ha Curaçao in USA, Canada e Messico? «Ho giocato tre qualificazioni Mondiali per Curaçao e il nostro vero punto di forza è la squadra: vinciamo e perdiamo tutti insieme. Non abbiamo invidia l’uno dell’altro, se lui gioca o se gioco io: siamo tutti insieme e lo si può vedere in campo e fuori. Preghiamo insieme per noi: facciamo il nostro meglio e Dio farà il resto». «Curaçao entrerà nella Coppa del Mondo come outsider», è la profezia di Hassnah Elhage, «come una piccola nazione che per la prima volta nella Storia si qualificherà a un Mondiale, e cercherà sicuramente di lasciare il segno. Il mondo conoscerà e si innamorerà della Blue Wave!».

Photo Courtesy di Rocky Siberie
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