Quando venne lanciata per la prima volta, erano gli Anni Settanta (esattamente nel 1976, si chiamava Adistar 2000 Spike) e all’epoca rappresentava lo stato dell’arte delle scarpe da competizione su pista. Infatti veniva venduta solo s quello scopo. In questi 50 anni, però, ha cambiato volto più e più volte, fino ad arrivare alla sua quinta iterazione, adattandosi a dei tempi e a delle modalità di fruizione dello sport (e della sua fusione con la vita quotidiana) che stavano cambiando. Si parla dell’Adistar Control 5 di adidas, che ritorna con una nuova silhouette, ispirata agli Anni Duemila – la Control 5 è stata originariamente battezzata nel 2008 – e però uno spirito competitivo assai similare, anche se comunque disposto a compromessi. Reinterpreta per la cultura urbana, per tutto il mondo che riesce a muoversi anche senza correre, la tomaia è in mesh aperta (e quindi traspirante) e ha rivestimenti metallici argentati, mentre la suola in gomma consente un grip affidabile su superfici di tipo diverse, e, quindi, perfette per le camaleontiche città nelle quali pavé e cemento si passano il testimone con un ritmo disordinato. Il collare del tallone assicura il piede senza irrigidirlo.
E se le adidas più famose nella storia del cinema rimangono le Country indossate da Eddie Murphy in Beverly Hills Cop del 1984 – con le quali affrontava presunti assassini e veniva scaraventato fuori dalle finestre –, senza dimenticare le Samba Super con le quali Mark Renton scappava da una vita ordinaria in Trainspotting del 1996, le Adistar Control 5 guardano più dichiaratamente ad un’altra estetica, quella del running dei primi Anni Duemila. Disponibili in quattro combinazioni di colore, la linguetta è spessa e larga, quasi a ricordare le scarpe da basket, e la tecnologia è concentrata nell’intersuola con l’Adiprene+, essenzialmente una schiuma in elastomero poliuretanico che migliora l’ammortizzazione, favorendo un passo morbido, anche se la calzata rimane ferma e stabile.
Un modello che gode di un revival estetico in voga soprattutto tra la Gen Z, che quegli anni non li ha mai vissuti e li guarda come una sorta di Eden stilistico: d’altronde all’epoca l’approccio all’abbigliamento non era filtrato e quindi innegabilmente condizionato dal loro sfoggio sui social, ma rimaneva un’esperienza personale, intima, seppur collettiva (e quel modello di calzature da running è stato avvistato infinite volte, negli Anni Duemila, ai piedi di stimati professionisti che li usavano anche nella quotidianità, lontana dalle piste). Un momento storico che non può ritornare, ma in compenso, è possibile consolarsi almeno usando le stesse scarpe.

