In un articolo scientifico del 2007, la professoressa Isabella Poggi, Ordinario di Psicologia Generale all’Università Roma Tre, ha indagato a fondo il concetto di entusiasmo. E ha dimostrato che, in certi ambiti della vita umana, si tratta di un sentimento contagioso, in grado di propagarsi spontaneamente tra gli individui. Nello sport, questo discorso è valido per gli atleti, per gli allenatori e per i tifosi, per chi ha una parte attiva nelle gare e/o le vive a pochi metri di distanza. Ma non solo: in occasione dei grandi eventi, primo tra tutti le Olimpiadi e le Paralimpiadi, si forma una specie di bolla spazio-temporale in cui l’adrenalina e la passione si ingigantiscono, si trasmettono con un’intensità e una velocità pazzesche. E così anche l’entusiasmo tracima, esonda, diventa una locomotiva che finisce per trascinare e travolgere tutti. Anche coloro che non partecipano direttamente agli eventi, ma lavorano per renderli possibili: i tecnici, gli organizzatori, gli arbitri. E i volontari, che sono il motore nascosto dei Giochi e dello sport.
«Senza i volontari qualsiasi edizione dei Giochi non sarebbe possibile», ha detto Diana Bianchedi, campionessa olimpica – oro nel fioretto a Barcellona 1992 e a Sydney 2000 – e oggi Chief Strategy Planning & Legacy Officer di Fondazione Milano Cortina 2026. «Prima da atleta e poi da dirigente ho visto con i miei occhi quanto sia determinante il contributo dei volontari. Lo è a livello logistico, naturalmente, ma lo è anche perché la loro presenza genera quell’atmosfera unica che caratterizza ogni edizione dei Giochi Olimpici e Paralimpici». Sempre parlando di entusiasmo, il processo di selezione dei volontari per Milano Cortina 2026 è stato una sorta di vulcano attivo, un serbatoio da cui attingere a piene mani. Lo dicono i dati: per 18mila posti disponibili, le candidature registrate sono state più di 100mila; la fascia d’età più interessata all’evento è quella tra i 18 e i 25 anni, ma sono stati rilevati numeri importanti anche nella fascia 45-55 e tra gli over 60.
Poi ci sono le vicende e le parole dei diretti interessati, che funzionano molto meglio – cioè restituiscono questo sentimento di attesa, lo definiscono, lo raccontano – delle statistiche. Per esempio c’è la storia di Dario, 69 anni, che ha sempre giocato a calcio – è arrivato fino al campionato di Promozione – e oggi ha intrapreso il percorso di selezione. Lo ha fatto perché «i Giochi Olimpici arrivano a Milano, nella mia città, e voglio rendermi utile. Quello che mi ha spinto è la possibilità di vivere questo evento incredibile dall’interno. Del resto io sono uno che si commuove quando sente gli inni nazionali durante le Olimpiadi, quindi non potevo farmi sfuggire questa occasione».

Lo sport ha questo effetto magico: raccoglie e unisce le persone, le convince – viene da dire le costringe, ma in senso positivo – a sentirsi parte di un gruppo. E a fare cose fuori dall’ordinario. Christian, per esempio, ha 43 anni e racconta che vuole fare il volontario a Milano Cortina 2026 per assecondare «la mia più grande passione: i cinque cerchi. Sono stato tedoforo per i Giochi Olimpici Invernali di Torino 2006, ho portato la torcia a Parma ed è stata un’emozione indescrivibile». Marco ha 46 anni, è un appassionato totale di sport – soprattutto di discipline invernali e di volley – ed è stato volontario ai Mondiali di pallavolo: «Spero di poter vivere la stessa esperienza alle Olimpiadi», dice, «l’evento in cui si raggiunge la massima espressione dei valori dello sport. Quell’atmosfera meravigliosa che percepisci alla tv, ecco, voglio sentirla sulla pelle».
Viviana ha 64 anni ed è andata da poco in pensione: «Adesso ho parecchio tempo libero», racconta, «e sono un’ex sportiva, quindi perché non lavorare come volontaria per i Giochi Olimpici? Sono italiana ed è l’opportunità perfetta per me, visto che vado pazza per gli sport invernali: non mi perdo una gara in tv, neanche quelle di curling, e nel 1994 avevo organizzato un viaggio a Lillehammer per seguire le Olimpiadi dal vivo. Alla fine, però, non sono riuscita a partire. Ora voglio rimediare e vivere questo evento non come spettatrice, ma come parte della macchina. Per me è una questione d’amore. Amore per le Olimpiadi in sé, ma soprattutto per i valori e le emozioni che trasmettono».

Le storie degli aspiranti volontari di Milano Cortina 2026, però, non si originano solo dalla passione per lo sport. Sembra strano, sembra assurdo, ma è il bello di un evento totalizzante come le Olimpiadi e le Paralimpiadi. Lo spiega benissimo Mattia, 31 anni, che normalmente non segue alcuna disciplina. «Proprio nessuno sport, zero», dice sorridendo, eppure ha deciso di provarci lo stesso: «Perché ho sempre fatto volontariato, anche in occasione degli eventi, e le Olimpiadi sono un appuntamento gigantesco, troppo importante, e non voglio mancare». Anche Imen, 26 anni, non segue lo sport. Però ha partecipato da volontaria ai Giochi Paralimpici del 2024 a Parigi: «L’ho fatto per provare un’esperienza diversa insieme alle mie amiche», ricorda. «Ma poi alla fine mi sono perdutamente innamorata delle emozioni che si provano all’interno del villaggio. A quel punto, rifare la selezione in vista di Milano Cortina 2026 è stato praticamente inevitabile». Anche questa è una delle eredità delle Olimpiadi: creano e quindi lasciano dei volontari già formati al territorio, alle località che ospitano le gare.
Gli aspiranti volontari di Milano Cortina 2026 hanno un tratto in comune: la luce negli occhi, specialmente quando raccontano i motivi che li hanno spinti a tentare questa esperienza. A maggior ragione quando si tratta di vicende personali. La 21enne Maria José, per esempio, aveva e ha due ragioni piuttosto importanti per fare parte dei volontari delle prossime Olimpiadi: «Ho sempre voluto assistere dal vivo a una gara di pattinaggio sul ghiaccio, uno sport che nel mio Paese di origine, la Colombia, ho fatto fatica a seguire e a praticare. Qui a Milano potrò farlo, anzi grazie alle Olimpiadi potrò vederlo al più alto livello possibile. Inoltre ho lavorato come volontaria nel villaggio allestito per i Giochi Paralimpici del 2024: è stata un’esperienza dal valore enorme, anche perché mio fratello è diversamente abile e quindi in quel contesto sentivo di avere qualcosa da dare e da prendere».

Olivia ha 53 anni e spera di partecipare alla sua seconda Olimpiade Invernale dopo quella di Torino del 2006. La prima le ha segnato la vita in tutti i modi possibili: «Lavoravo nel Comitato Olimpico, ed è proprio lì che ho conosciuto mio marito. Pochi mesi dopo è nato nostro figlio, che chiaramente ha il DNA olimpico. Ma non voglio fare di nuovo la volontaria per questo: il ricordo che ho dei Giochi è quello di me che arrivo alla sera e fatico ad addormentarmi. Non per la stanchezza, ma per la felicità. Perché vivere le gare e l’organizzazione dall’interno vuol dire essere testimone della storia, perché avevo troppa adrenalina in circolo». Ecco, forse questa è la miglior definizione possibile del concetto di entusiasmo: non sarà propriamente scientifica, ma rende l’idea.