A volte il calcio dribbla pure la realtà. È assurdo pensare che una delle più fulgide leggende della pur leggendaria storia del Real Madrid sia finita per lunghi tratti nel mirino della stampa e dei tifosi a causa di un semplice hobby – poco importa che quel medesimo giocatore abbia conquistato insieme al club 12 trofei internazionali da protagonista, di cui 5 Champions League, di cui una decisa dalla sua iconica rovesciata in finale. Eppure, vittorie ed epoca d’oro a parte, è quel che è successo a Gareth Bale. O meglio: a posteriori, quando il gallese ha ormai 36 anni e smesso di giocare, si scopre che quell’hobby tanto contestato non era nemmeno così ingombrante. Soltanto presunto, dunque ingigantito fino a diventare un affare di stato. “La mia unica colpa”, dice Bale oggi, “è di essere stato un pochettino naïf”.
Tutto risale al 2018/19, nell’ultima fase della settennale militanza di Gareth nel Real Madrid più forte di sempre. “Tantissimi campioni vanno laggiù per diventare un Galáctico”, ha raccontato l’ex esterno d’attacco in una lunga intervista a GQ. “Ma io ci arrivai semplicemente per giocare a calcio: quel che sono arrivato a raggiungere come rappresentante del mio Paese, in un simile palcoscenico internazionale, è stato incredibile”. Ed ecco però la rivelazione: “Ho trascorso grandissimi momenti al Real, straordinarie vittorie. Il resto però… non ho mai giocato chissà quanto a golf. Ma siccome le persone iniarono a credere a ciò che leggevano, hanno creato un personaggio che io non sono. Probabilmente il mio errore è stato non difendermi come avrei dovuto: per certi versi sono stato ingenuo, su cosa significhi andare a Madrid e non essere consapevole dell’assoluto rigore richiesto da questo club”. Immagine compresa.
La bomba mediatica scoppiò quando il Galles festeggiò la qualificazione a Euro 2020. E per celebrare Bale, capitano e simbolo della squadra, venne sfoggiata in mezzo al campo una bandiera del dragone leggermente rivisitata: “Galles. Golf. Madrid. In quest’ordine”. La fotografia di Gareth lì accanto, euforico e sorridente, fece il giro del mondo. Soprattutto della Spagna. Con la piazza madridista colpita nell’orgoglio. “Quello slogan è stata la mia condanna, da lì in poi sono stato trattato ingiustamente”, spiega Bale, facendo luce sul paradosso. “Nessuno sapeva quanto spesso giocassi effettivamente a golf. In base alle notizie che circolavano, quanto direste? Tre-quattro volte alla settimana?” Plausibile. “Invece era una volta ogni due o tre settimane, ma soltanto quando avevo un giorno libero. Non ho mai giocato per otto ore di fila, sono sempre stato molto professionale al riguardo. La priorità è sempre stata il Real Madrid. Ma nel bene e nel male, i tifosi non lo sapevano”. Anche i gallesi, che gli dedicarono un coro a tema golfistico altrettanto canzonatorio nei confronti del Real.
L’abbaglio insomma fu non capire che il golf era stato solo un pretesto, con Bale oggetto della contesa affettiva fra club e Nazionale. Ma di questi tempi digitalmente forsennati, è un attimo che perfino il tifo da stadio si trasformi nell’involontaria origine di una fake news. L’ex fuoriclasse racconta allora la scomodità di quella situazione: “Ci eravamo appena qualificati agli Europei, ovviamente stavo festeggiando, la squadra era lì con me, qualcuno mise quella bandiera davanti ai miei occhi. Cos’avrei dovuto fare? Buttarla a terra sarebbe stata la peggiore cosa possibile per il mio Paese. Sono stato attento a non sfiorarla nemmeno, proprio per far capire che non era una mia iniziativa: stavo semplicemente esultando in compagnia. Poi è successo quel che è successo. La stampa spagnola mi ha massacrato. Mi è dispiaciuto parecchio, perché tutto si riduce alla disinformazione. E non ho mai fatto niente di sbagliato”. Per fortuna Bale – il successo aiuta – ha sempre avuto le spalle larghe. “Ora mi guardo indietro e penso che è stato quel che è stato. Non posso farci nulla. Può riderci o piangerci su. Dunque ho riso”. Aspettando ancora qualche scusa da Madrid.