Elena Curtoni non smette mai di sorridere. L’abbiamo incontrata a Genova con Pulsee Luce e Gas, società per l’energia domestica di Axpo Italia che da oltre 25 anni fornisce soluzioni energetiche innovative a PMI e grandi aziende italiane. Nel capoluogo ligure, Curtoni si allena con una strumentazione semplice, da crossfit, facendo dell’essenzialità una virtù che traspare in ogni movimento. È così che sono arrivate le grandi soddisfazioni, come i suoi 12 podi in Coppa del Mondo e il quinto posto nella discesa libera alle Olimpiadi di Pechino 2022. D’altronde, devi essere così, spensierata e determinata, per essere un’atleta che insegue la velocità. Non a caso, le sue specialità sono la discesa libera e lo slalom gigante, le discipline più rapide. La sua è una storia di famiglia, di adrenalina condivisa con la sorella Irene, anche lei sciatrice professionista. Nata tra i monti, in Valtellina, Elena ha però scelto di vivere a Genova. Qui, attraverso il mare, trova anche l’ispirazione più profonda per la sua passione: l’arte. E in fondo, è proprio la ricerca della linea perfetta che lei tenta ogni volta di trasportare sulla neve, trasformando ogni discesa in un atto di creatività e libertà.
Come finisce a Genova una sciatrice cresciuta tra la neve e le montagne?
Sono venuta qui per amore. Mio marito è genovese, un velista [Nicolò Robello, ndr.]. Mi ha fatto innamorare di questa città un po’ nascosta. Genova ha degli angoli veramente stupendi. Alla fine è stato un cambiamento grande, enorme, ma in realtà ho sempre amato il mare.
Ora il mare lo vedi da casa.
Sì, lo vedo da casa. D’estate, quando mi alleno, rigorosamente la mattina, poso le mie cose in palestra e poi vado a farmi un tuffo a due minuti a piedi. È una vacanza continua, uno stacco mentale, un cambio di panorama vitale. Appiattisco un po’ l’orizzonte. E a me, che sono nata tra le montagne, fa sempre bene.
Tu e tuo marito, in fin dei conti, correte sullo stesso elemento: l’acqua. Sulla neve o sopra le onde, con lo stesso obiettivo: andare veloci. C’è qualcosa che ti ha insegnato lui? Qualcosa che hai preso dalla vela?
Tantissime cose. Soprattutto mi ha insegnato a calmarmi, ad avere pazienza. Io ho un’energia travolgente: sono sempre di fretta, non riesco a placarmi, soprattutto nei momenti di stress. Ho bisogno di una persona che mi fermi, che mi metta in pausa.
E cosa ti dice Nicolò?
Mi ripete: «Quando sei in mezzo al mare, c’è la bonaccia: cioè, zero vento. Devi stare lì, devi aspettare. Devi avere pazienza». Oppure, al contrario, se c’è troppo vento, «devi andare con lui, devi seguire il flusso». Devo adattarmi a quello che mi succede intorno, anche se la mia energia è sempre troppo alta, al limite.
L’energia spinta al limite viene dallo sci?
Probabilmente sì. Lo sci è così: devi dare tutto in un tempo brevissimo. E quindi accelero velocemente anche nella vita. Cerco di fare tutto e subito. Invece no, devo imparare a spalmare meglio questa mia energia. Ci provo in gara come nella vita.
Mare, montagna, neve, acqua. Sembra tu debba essere circondata dalla natura. Quanto è importante per te?
Io amo stare all’aria aperta. Stare rinchiusa in una stanza mi soffoca, non fa bene alla mia anima: è un bisogno primario. Amo anche disegnare e farlo all’aria aperta è bellissimo, così come leggere. Oppure, fare una passeggiata appena torno a casa è ossigeno puro. Insomma, devo stare fuori.
Com’è stato gareggiare al fianco di tua sorella, Irene, anche lei sciatrice professionista?
Mia sorella è sempre stata un traino incredibile, un esempio. Io volevo essere come lei: era il mio idolo da bambina. Lei, più grande di me di sei anni, andava in giro, faceva la Coppa del Mondo e io rimanevo a casa. Ma volevo essere lì con lei.
E siete finite a gareggiare una contro l’altra sugli sci, anche in Coppa del Mondo.
Sì, condividere un momento così è stato unico. Sono emozioni che ci uniscono. Abbiamo sempre avuto una sana competizione. Io ero quella piccolina, ma sono arrivata subito e forte. E lei si è sentita battuta [ride, ndr.].
Tuo padre è stato il tuo allenatore.
All’inizio, il rapporto papà-allenatore è stato bellissimo. Non sempre facile, però. Ho un carattere testardo, difficile da gestire, ma ho sempre cercato la sua approvazione. E la cerco tuttora che non è più il mio allenatore. Quando faccio una brutta gara, so che lui lo vede. Vado a cercarlo, voglio che me lo dica. Mio papà non ha mezze parole: è diretto. So che da lui esce la pura verità. E so benissimo che quando mi dice brava – in quelle poche volte che me lo dice – lo fa perché sono stata davvero brava. Non regala niente.
Lo volevi al cancelletto di partenza?
No. Al cancelletto ho bisogno della mia bolla, come la chiamo io. Ai tempi in cui mi allenava, doveva stare distante. Si agitava, come è normale che fosse. Ma io ho bisogno del mio spazio. Ed è una cosa che ho mantenuto, non voglio nessuno troppo vicino. Nessuno che mi stia addosso. Devo stare da sola.
Come vivi l’attimo prima della gara?
Sono molto concentrata. Cerco di restare in quella bolla, di essere presente. Ma la mia testa, ogni tanto, se ne va: sono una grande osservatrice. Vedo cose che non tutti notano: un panorama, una certa luce, il ghiaccio che scende dalla casetta. Vedo queste cose. Poi però cerco di tornare sul pezzo, non è il momento per perdere il focus.
Cosa ti dici per ricaricarti?
Poco prima di partire, quello che mi trasmette più energia è dirmi: «Ce la fai. Lo sai fare. Fallo e basta». E quando metto fuori i bastoni dal cancelletto, l’ultima cosa è: «Divertiti». Alla fine, hai lavorato tanto. Se lo fai divertendoti, rendi sicuramente di più.
Il giorno della gara come te lo vivi?
In teoria, non sono scaramantica. Però ho dei rituali. Metto sempre lo scarpone destro prima del sinistro, il modo in cui mi preparo è sempre uguale. Anche in partenza, il riscaldamento segue gli stessi movimenti, lo stesso numero di volte. È un modo per entrare in concentrazione, per entrare nella mia bolla. Sono momenti che mi portano lì, a essere attiva al punto giusto.
Lì, durante i rituali, percepisci già l’esito della discesa?
Ci sono giornate in cui lo sento. L’energia è più reale, più nitida. Lo sento addirittura dalla mattina, da quando arrivo in pista. Si percepisce quando sei lucido, sai che può essere una bella giornata. La parte difficile è farcela anche quando sei stanca, quando fai fatica a trovare quella lucidità.
Le Olimpiadi di Milano Cortina 2026 che effetto ti fanno?
Sapere che ci saranno le Olimpiadi in Italia, qui, e che ho la possibilità concreta di esserci, di giocarmi qualcosa di importante, è un grande stimolo. Lo è anche perché non sono più tanto giovane [34 anni, ndr.] e sono arrivata a un certo punto della mia carriera.
E Cortina, in particolare?
Cortina per me è un posto speciale, che mi piace molto. La pista, poi, è una delle mie preferite, mi trovo benissimo. Ho fatto subito i miei migliori risultati lì. Ho sempre raccolto bei tempi e soprattutto bei ricordi.
Com’è la squadra? Avere compagne così forti è un vantaggio o una pressione costante?
Siamo una squadra molto forte. Questo è un motivo di crescita e un traino continuo per tutte noi. Io sono competitiva, mi piace vincere, ovvio: faccio la sportiva. Non mi piace perdere neanche a carte. Infatti, con mio marito non possiamo giocare la sera sennò, se perdo, non gli parlo fino al giorno dopo. Però, sugli sci, non mi affosso se fallisco. Il nostro sport ci insegna una cosa fondamentale: girare pagina velocemente.
Come hai affrontato l’infortunio all’osso sacro nel 2024 che ti ha tenuto fuori per tutta la stagione?
Affrontare un infortunio non è mai banale. Ognuno di noi lo vive diversamente. Io, quando ho un ostacolo, mi ci butto a testa bassa. Vado dritta contro il muro. È stato difficile. Speravo di aver già dato, con gli infortuni. Ma ho affrontato tutto con il massimo dell’energia che avevo. Ho fatto il meglio che potevo. E sono riuscita a superarlo.
Come hai ritrovato queste energie?
È stato difficilissimo. Mi sono detta: «Lo vuoi ancora?» La risposta è arrivata chiara: «Lo voglio ancora». Il recupero è stato tosto: è andato male, poi bene. E successivamente sono crollata di nuovo per il troppo dolore.
Che cosa ti ha aiutata?
Staccare. Ho stoppato tutto. Sono andata via. In un posto dove non potevo fare niente. Non potevo vedere niente. Sono stata ferma, per una settimana, al mare. E lì ho capito che c’era ancora qualcosa dentro: il fuoco. C’era ancora la voglia di provarci. Di rimettermi in gioco.
Infine, l’arte, una passione che ti accompagna da sempre.
È nata da quando ero piccola. All’asilo, le maestre avevano notato una mia predisposizione per i colori e per il disegno. Così i miei genitori mi hanno mandata a un corso di pittura. Era l’unico modo per tenermi tranquilla. Ero una bambina iperattiva, un tornado di energia.
E la tua montagna, come la disegneresti?
Rappresenterei la punta della montagna. È lì, sulla cima, dove mi piace sentirmi. È una sensazione unica con i colori più puri: c’è molto bianco, come la neve. Ed è il momento in cui mi sento più energica, in cui sto meglio.
Ma come fai a trasformare lo sci in un’arte?
Quando sono sugli sci per me è la massima libertà. Mi sento libera di essere. Di fare quello che voglio. Sono all’aria aperta. Ho spazi enormi. Posso tracciare la linea che voglio, come se avessi una tela bianca davanti. Lo sci è libertà.