Ad Anfield non sarà la fine del mondo. Ma al Cairo e dintorni, la questione Salah sta diventando un vero e proprio affare di Stato: roba da paralizzare un popolo, indignarlo e destabilizzarlo. «Siamo tutti pronti a immolarci per Momo», assicurano in Egitto. «Negli ultimi cinque anni, il 60-70% delle notizie calcistiche nel nostro Paese sono girate attorno a lui. Nessuno si era mai nemmeno avvicinato al suo grado di successo all’estero. È il nostro ragazzo d’oro». E come tale verrà trattato in patria, visto che i privilegi di Liverpool sembrano prossimi alla scadenza.
Nelle ultime settimane la frattura fra il fuoriclasse 33enne e Arne Slot – con il club, aspetto cruciale, a spalleggiare l’allenatore – ha raggiunto dimensioni impensabili, culminate nelle dichiarazioni al veleno di Salah che hanno fatto il giro del mondo. Soltanto l’ultimo colloquio, alla vigilia della sfida contro il Brighton, ha permesso all’ex attaccante della Roma di tornare nella lista dei convocati dopo tre esclusioni di fila: potrebbe essere la sua 421esima e forse ultima presenza con i Reds, visto che poi come da programma volerà in Marocco per la Coppa d’Africa. E del doman non v’è certezza, soprattutto durante una finestra di mercato.
Se Salah ha forzato la mano con il Liverpool convinto della sua intoccabilità, ha semplicemente sbagliato destinatario. Jamie Carragher, storica bandiera dei Reds e oggi commentatore tv, rende bene l’idea dell’aria che tira ad Anfield: «I veterani e i fedelissimi di questi colori metteranno sempre il club davanti a qualunque giocatore». Anche se con questa maglia Salah ha vinto e rivinto tutto, da decennale trascinatore – 250 gol e 116 assist resteranno numeri scolpiti nel calcio. In Egitto invece, prevale la parola di Momo. Anzi è un plebiscito, una levata di scudi: tra emittenti televisive e canali YouTube si moltiplicano le personalità che lo difendono platealmente, a qualunque costo. «Sembra che ogni voce pubblica voglia dire la sua», ha raccontato al Guardian il presidente di uno dei più antichi fan club egiziani del Liverpool. «La drammaticità della vicenda testimonia che la crisi che coinvolge Salah è anche una crisi per la nazione».
Non è un modo di dire. «Il dibattito sui presunti errori di Salah, che avrebbe profanato l’inviolabile codice etico dello spogliatoio, qui da noi semplicemente non esiste. La nostra cultura calcistica ha sempre osannato le sue star: davanti ai manager, davanti alle squadre. E il silenzio in un contesto del genere non fa parte del nostro repertorio». A dare man forte all’opinione pubblica locale arriva anche qualche illustre campione del passato, pure lui ex romanista, come Mido. Senza badare all’etichetta: «Carragher era un giocatore mediocre e ora cerca di compensare sparando sentenze contro le star. Ma posso aggiungere una cosa: ho vissuto in Inghilterra per anni, la gente laggiù è gentile. Sfortunatamente però, in certe situazioni, sa anche essere molto dura con gli stranieri. E le responsabilità dei media locali nel caso Salah non sono indifferenti».
Come andrà a finire la vicenda? Difficile dirlo. In Egitto però sono convinti che Momo «voglia rispondere alle polemiche sul campo, traducendo la frustrazione in fame di gol. Finora ha sempre avuto un occhio di riguardo e riconoscenza per il Liverpool, ora si rende conto di essere stato messo spalle al muro». E sarebbe un peccato non riconciliarsi, senza trovare il lieto fine di questa splendida storia. Anche perché dalle parti di Anfield il numero 11 resterà in ogni caso una leggenda, a cui prima o poi i Reds dovranno rinunciare. Ma se le cose non dovessero andare per il verso giusto, Salah in patria diventerebbe presto un martire vivente. E giocante, ancora ad altissimi livelli.