Una notte storica, come non si vedeva da un quarto di secolo. E che per certi versi non si era mai vista, considerato il biglietto da visita di questa Scozia verso i Mondiali 2026: una squadra giovane, solida, con sempre più esperienza internazionale e un tasso tecnico inedito dalle parti di Glasgow. Fino a pochi anni fa infatti il serbatoio monotematico della Tartan Army era costituito dal Celtic e dai Rangers, con rare eccezioni. Oggi invece, soprattutto dalla mediana in su, gli scozzesi giocano all’estero: tantissimi nella nostra Serie A, ancora di più tra Championship e Premier League. Con diversi profili di alto livello naturalizzabili dall’Inghilterra. Scott McTominay, da raccordo dei due mondi, ha tracciato la via. Ormai però è in ottima compagnia.
Il cambio di paradigma è notevole, perché finora la Nazionale scozzese era vissuta all’ombra di quella inglese e all’insegna di un certo isolamento internazionale. Il divario qualitativo resta tuttora abissale, ma ultimamente sono subentrati due fattori determinanti e legati fra loro: una progettualità ben definita a Edimburgo e dintorni, combinata con l’eccesso di abbondanza che contraddistingue l’universo Premier League e relativi satelliti. Succede allora che un crescente numero di giocatori, anche considerata la concorrenza, fatica a trovare uno sbocco verso Bellingham e compagni. Al contempo però la Scozia – sull’onda del pass strappato per il torneo americano – sta smettendo di essere una seconda scelta. E lo ribadisce forte e chiaro: «Chi viene qui da noi dev’essere motivato e determinato», fissa le condizioni il ct Steve Clarke. «Circolano tantissimi nomi. Innumerevoli allenatori e procuratori che mettono pressione ai ragazzi. Ma questi devono essere bravi, impegnati, desiderosi di rappresentare la Scozia: potrò portare 26 giocatori ai Mondiali, di posti ce ne sono ma non troppi».
Insomma, chi pensa di sfruttare un’altra maglia per fare del Mondiale una vetrina personale casca malissimo. La Scozia ha conquistato la qualificazione grazie a un gruppo affiatato e forgiato nel tempo: ben 13 giocatori in rosa contano più di 30 presenze in Nazionale. Mettere a repentaglio l’alchimia collettiva inserendo dei singoli con altri pensieri per la testa sarebbe l’ultima cosa che Clarke vorrebbe. Ma alcuni dei suoi ragazzi dimostrano che il “travaso” dall’Inghilterra – considerata la vicinanza fra le due nazioni calcistiche, politicamente lo stesso Paese, con tutto quel che ne comporta in termini di legami di parentela – può essere anche una storia di successo. Per tutte le parti coinvolte.
Si diceva di McTominay, l’eroe di questo 2025 (nato a Lancaster, naturalizzato nel 2018). Hanno seguito il suo esempio anche Che Adams, attaccante del Torino proveniente da Leicester, e Angus Gunn, ex bandiera a livello di club nella nativa Norwich, finito a difendere i pali del Nottingham: entrambi, fino all’U20 o U21, giocavano per la Nazionale dei Tre Leoni. Senza tuttavia avervi mai debuttato. Il salto di specie – e di squadra – arriverebbe invece con il ribaltone di Harvey Barnes: centrocampista offensivo del Newcastle, nato a Burnley, arrivato perfino ad assaggiare la maglia dell’Inghilterra soltanto in amichevole (nel 2020, contro il Galles). Motivo per cui, da regolamento, farebbe ancora in tempo a scegliere la Scozia in gare ufficiali. In questi giorni diversi quotidiani britannici come The Guardian hanno raccontato la tentazione recente del giocatore. Che non smette di sperare nell’Inghilterra, ma al contempo non chiude affatto la porta alla Tartan Army: sarebbe il primo giocatore della storia a cambiare nazionalità calcistica in Gran Bretagna. Parlerà con la Federcalcio di Edimburgo nei primi mesi del 2026 e lì si capirà se avrà tutte le carte in regola per far parte della squadra di Clarke. Un profilo come Barnes tecnicamente non si discute. Ma per superare il colloquio, servirà una signora «lettera motivazionale». Di certo la Scozia non intende più pregare nessuno. Ed è per questo che sogna in grande.