Basta guardare la foto di copertina: l’aura dell’ultimo Pisa in Serie A sta tutta lì. Nel giorno in cui la squadra nerazzurra ritorna nella massima categoria del calcio italiano dopo 34 anni, forse vale la pena riguardare alla squadra del 1990/91, piena di nomi destinati a diventare di culto. Ovviamente la faccia che spicca è quella di Diego Pablo Simeone: il leggendario allenatore dell’Atletico Madrid arrivò a Pisa proprio nell’estate del 1990 dal Veléz Sarsfield. Tutto normale, tra gli anni Ottanta e Novanta, quando la Serie A era la lega più ricca e ambita del mondo: Simeone non era stato convocato per i Mondiali del 1990, ma aveva già esordito con la Selección (nel 1988) e in patria era un giocatore affermato. Eppure accettò l’offerta di una neopromossa, reduce da un campionato in Serie B dopo la retrocessione del 1989.
Simeone fu solo una delle tante intuizioni geniali di Romeo Anconetani, il presidente del Pisa a cui ora è intitolato l’Arena Garibaldi, lo stadio della città. E che, di fatto, ha permesso al club toscano di vivere la sua epoca d’oro: dopo la prima stagione in Serie A nel 1968 e il pronto ritorno in Serie B, fu proprio Anconetani (nel 1981, dopo aver rilevato il club nel 1978) a riportare i nerazzurri in massima categoria. E a tenerli in alto, più o meno: cinque campionati in tutto, con due salvezze e tre retrocessioni. Poi, come detto, una nuova promozione nel 1990. In quegli anni di Serie A, il Pisa riuscì ad attrarre giocatori di primo livello come Klaus Berggreen, Wim Kieft (Scarpa d’Oro 1982), il brasiliano Dunga, lo stesso Simeone. Che sarebbe rimasto in Toscana per un paio di stagioni, di cui una in Serie B, e dopo 55 partite e cinque gol venne acquistato dal Siviglia. Un percorso simile a quello del connazionale José Chamot, giunto in Toscana proprio insieme a Simeone – e con cui poi condividerà un paio di avventure ai Mondiali,, nel 1994 e nel 1998. Rispetto a Diego, Chamot rimase a Pisa per tre stagioni, mettendo insieme 87 presenze e un gol. Da lì è partita la sua carriera nel calcio europeo, che in seguito lo ha portato a vestire le maglie di Foggia, Lazio, Atlético Madrid, Milan e Leganés
Il Pisa 1990/91, però, era ricco anche di italiani di qualità. Un paio di esempi? Il primo è sicuramente quello di Michele Padovano, che grazie agli undici gol in 30 match di quella stagione si guadagnò la chiamata del Napoli. Il futuro attaccante della Juventus era reduce da quattro anni tra C e B a Cosenza, e a Pisa trovò anche una continuità in zona gol che si porterà dietro nelle successive esperienza alla Reggiana e al Genoa; alla Juventus, a cui sarebbe passato nel 1995, conquistò anche la Champions League, segnando uno dei rigori decisivi nella finale contro l’Ajax. A proposito di Juve: come non citare Alessandro Calori, l’uomo che nel 2000 consegnerà lo scudetto alla Lazio (di Simeone) segnando un gol storico ai bianconeri sotto il diluvio di Perugia. Anche lui è uno dei protagonisti dell’ultimo Pisa in Serie A. Se ne andrà alla fine di quel campionato, direzione Udine, dove resterà fino al 1999, scrivendo delle pagine importantissime della società friulana, come il terzo posto della stagione 1997/98. L’altro straniero di quel Pisa era Henrik Larsen, destinato a diventare campione d’Europa con la Danimarca nel 1992.
In panchina, a guidare quella squadra, c’era un 45enne Mircea Lucescu, alla prima esperienza da tecnico al di fuori della sua Romania. Nonostante Anconetani avesse allestito una buona rosa, il Pisa raccolse soltanto 22 punti in 34 partite, che portarono alla retrocessione in Serie B. Il presidentissimo, così lo chiamavano i tifosi pisani, avrebbe abbandonato il club in seguito al fallimento del 1994. Sono serviti trent’anni abbondanti perché una nuova proprietà americana, guidata da Alexander Knaster, rimettesse il Pisa sulla mappa della Serie A.