È da vent’anni che De Laurentiis tiene testa ai giganti, e con il secondo scudetto ha vinto su tutta la linea

Il Napoli campione d'Italia è un capolavoro firmato dal suo presidente. Che, dopo anni di oculatezza, si è giocato tutto con Conte. E ha portato a casa il secondo scudetto.

«Il primo obiettivo è riportare allegria al San Paolo: prometto un calcio divertente, come i miei film al cinema. Basta chiacchiere, è tempo di serietà e di fatti. Voglio creare una società organizzata e seria: delegherò il giusto, anche se mi piace seguire da vicino tutte le mie attività. La fretta è degli stupidi. Abbiamo il tempo che ci occorre. È l’ora dei fatti, l’ammuina è finita». Sono le prime parole di Aurelio De Laurentiis da presidente del Napoli. Era il 6 settembre 2004. «La fretta è degli stupidi. Abbiamo il tempo che ci occorre. È l’ora dei fatti, l’ammuina è finita» era un programma di governo e nessuno l’aveva capito. De Laurentiis di fretta non ne ha avuta. Mai. È andato avanti col suo passo. E ogni anno è cresciuto. Un pezzettino alla volta. Dalla Serie C (giocata due volte di fila) alla Serie B. Poi la Serie A e nessuna retrocessione, neanche un lontano pericolo. L’Intertoto e la prima qualificazione in Europa. L’esordio in Champions League. Il secondo posto. Il consolidamento al vertice. Mai sotto il quinto posto. Lo scudetto: il primo tricolore. Due anni dopo, il secondo.

Ha fatto irruzione nel mondo del calcio con dichiarazioni che attiravano le risate dei “competenti”, per cui “al calcio mancava solo il produttore cinematografico”. Si è presentato con l’idea americana delle majorettes che per un periodo si sono anche esibite al San Paolo (subissate di fischi, poverine). Ma è uno dei pochi aspetti in cui la sua idiosincrasia alla liturgia del pallone non è andata a segno. Oggi i prepartita negli stadi di calcio sono uno show quasi ai confini con lo psichedelico: musica sparata a tutto volume, giochi di luce, presto si arriverà a cantanti come ospiti. È stato tra i primi a lanciare l’allarme sulla scarsa capacità di concentrazione dei ragazzini che quindi avrebbero fatto fatica a seguire partite di 90-95 minuti. Oggi è il tema di cui tutto il mondo del calcio discute. La grande paura di perdere audience. È stato tra i primi a chiedere il time-out e le sostituzioni libere.

Ha più volte gettato scompiglio nei palazzi con la sua visione yankee dello sport. In un’intervista al New York Times dichiarò: «Che ci fa il Frosinone in Serie A? Non attira spettatori, né interessi, né emittenti tv. Arriva in A, non cerca di competere e viene retrocesso. Se non possono competere, se finiscono ultimi, dovrebbero pagare una multa e non dovrebbero ricevere denaro». Seguì il solito scompiglio ipocrita. Era il 2019, con ogni probabilità l’idea Superlega era già in incubazione. La stavano progettando sotto traccia. Lui, invece, ne parlava sfacciatamente. Perché De Laurentiis potrà avere tanti difetti, naturalmente, ma non si vergogna del denaro. Né si vergogna a parlarne. È un imprenditore e ritiene la cosa più ovvia del mondo discutere di come provare ad aumentare fatturato e utili. Non si è mai nascosto e a modo suo ha svolto un ruolo di educatore. Ha squarciato il velo di ipocrisia e ha spezzato il monopolio culturale del tifoso, della narrazione a misura del tifoso. Il tifoso di fatto è un cliente. E il calcio va raccontato, studiato, divulgato dalla parte di chi investe, di chi i soldi li mette. Prima di lui, il glossario calcistico era infarcito di tackle, contropiede (o ripartenza), pressing; ha contribuito a introdurre altri termini come plusvalenza, ammortamento. Ha fatto sì che le notizie relative ai bilanci acquisissero la stessa importanza degli aspetti tecnico-tattici.

È stato, di fatto, il primo presidente a capire che l’era del mecenatismo era al crepuscolo. Quando è arrivato, nel 2004, imperavano Berlusconi, Moratti, Sensi, c’era Della Valle. Ed  erano appena usciti di scena – in maniera brusca e drammatica – pesi massimi del calibro di Tanzi e Cragnotti. Il calcio era in piena metamorfosi. Due anni dopo, sarebbe arrivato il terremoto Calciopoli con lo shock della prima retrocessione della Juventus. La caduta degli dei. Un contesto in continua e rapida evoluzione. De Laurentiis ebbe l’intuizione di comprendere che la partita si sarebbe giocata sulla solidità economica-finanziaria dei club. Che il calcio stava vivendo la fine della propria prima repubblica. Che gli ammiccamenti di palazzo sarebbero stati travolti dalla solidità di bilancio. Così è avvenuto.

Vent’anni dopo, l’Inter è in mano a un fondo californiano e non ha un volto della proprietà in cui identificarsi. Il Milan pure è americano. Così come la Roma, la Fiorentina, in parte l’Atalanta, il Genoa. Strada su cui è avviata l’Udinese. Il calcio è a tutti gli effetti un business. Un ramo d’azienda. E alla fine i responsabili devono presentare il conto economico ai soci: se è rosso, bisogna tagliare. De Laurentiis c’era arrivato prima e all’appuntamento con la storia si è fatto trovare vestito di tutto punto. Il Napoli oggi è, con ogni probabilità, il club italiano più solido dal punto di vista economico-finanziario, tra i club meglio gestiti. Sicuramente il signor Aurelio è stato colui il quale ha tracciato la strada. Una strada ovvia, se vogliamo. Eppure è stato il pioniere. L’Atalanta di Percassi e Pagliuca, così come la Fiorentina di Commisso e il Bologna di Saputo, sono figliocci suoi. Con una differenza non banale: il patrimonio personale di De Laurentiis, in confronto agli imprenditori appena citati, è quello di un onesto impiegato. Qui sta la grandiosità della sua presidenza. De Laurentiis ha semplicemente saputo fare bene l’imprenditore. Ha gestito e amministrato il Calcio Napoli con oculatezza e sapienza. Non ha mai sprecato, verbo che lui aborre (per dirla alla Mughini). Il lusso non gli interessa. Nemmeno l’ostentazione. Qualche sfizio se lo concede, magari con bottiglie di vino ricercate. Ma vive con i piedi sempre ben piantati per terra.

È come se De Laurentiis avesse accumulato riserve per il momento giusto. Ha saputo aspettare. La fretta è degli stupidi, disse il 6 settembre 2004. Vent’anni dopo, nell’estate del 2024, con uno scudetto già vinto e un post-scudetto disastroso, vissuto tra deliri di onnipotenza e fumi del successo, ha capito che era giunto il momento di fare all-in. Di giocarsi tutte le riserve accumulate. Lo ha fatto perché il calcio cambia rapidamente e guai a rimanere indietro. Il suo Napoli doveva rientrare immediatamente nell’élite. Non si sarebbe potuto permettere di rimanere fuori per troppo tempo dalla Champions. Già il ricchissimo Mondiale per club era sfumato. Ed era sfumato per quella Champions buttata via con Spalletti nell’anno dello scudetto. Non smetterà mai di rimuginare su quell’uscita ai quarti di finale contro il Milan. Ha stabilito che fosse arrivato il momento di puntare tutto. Di rischiare. Ha destinato al mercato 150 milioni di euro. E ha deciso che a gestirli sarebbe stato il miglior allenatore possibile: Antonio Conte. È superfluo raccontare com’è andata.

Vale la pena ricordare che Aurelio De Laurentiis a Napoli ha vinto due scudetti, come Maradona. Che il suo Napoli ha una longevità di vertice nettamente superiore a quella di Ferlaino. Che può contare su un incasso da botteghino decisamente inferiore a quelli di Milan e Inter: i prezzi al Sud sono giocoforza più bassi. Non ha stadio di proprietà. Non ha centro sportivo di proprietà. È stato tra i primi, se non il primo, a capire l’importanza dell’autoproduzione delle magliette, sottraendosi al monopolio delle multinazionali. Così come ha capito che la gestione dei diritti tv avviene in modo superato. Presto, lo ascolteranno anche su questo.

In fondo, De Laurentiis è come se fosse l’Asterix del calcio. Il Napoli è quel piccolo villaggio che i romani non riescono a conquistare. E i romani nel football sono ormai i fondi, i soldi arabi, le grandi centrali internazionali del business. Lui tiene testa ai giganti grazie alla perfetta conoscenza dei principi cardine dell’economia aziendale. Spesso li batte. Con l’intelligenza, con l’intuito e a volte anche con l’aggressività. È Asterix e Obelix insieme. Col passare del tempo, anche i tifosi del Napoli lo hanno capito. Quei tifosi che per anni lo hanno avversato, oggi ne sono stati conquistati. Non tutti, ma tanti. Un’ampia maggioranza. Oggi guai a chi lo tocca, anche sui social. I suoi paladini intervengono ovunque per difenderlo. E lo fanno tra gli applausi della platea.

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