Tre cose sulla decima giornata di Serie A

Roma, Sassuolo e le occasioni sprecate, la forza della Juve, l'esplosione di Zaccagni.

La Roma, il Sassuolo e le occasioni sprecate

Una partita che finisce 0-0 può essere divertente? Certo, è stato il caso di Roma-Sassuolo. Anche senza gol, nonostante un’espulsione, le squadre di Fonseca e De Zerbi sono riuscite a offrire un buonissimo spettacolo all’Olimpico, grazie a idee tattiche sempre ambiziose, ricercate, applicate con cura e consapevolezza. Proprio per questo, forse, certe partite sono un’occasione sprecata: da una parte la Roma può e deve recriminare sul fatto che avrebbe avuto tutte le carte in regola per battere i neroverdi, così da riscattare subito la sconfitta di Napoli, ma non è riuscita a essere davvero efficace sotto porta, nella fase conclusiva del gioco; dall’altra, il Sassuolo non è riuscito a sfruttare la superiorità numerica, non ha avuto la personalità e forse la qualità per riuscirci, certo l’assenza di Caputo riduce di molto la potenza offensiva della squadra di De Zerbi, ma non è un caso che lo stesso allenatore, nelle interviste del postpartita, si sia detto insoddisfatto della sua squadra, soprattutto di quanto è riuscita a fare nel secondo tempo. Per Roma e Sassuolo, una vittoria nel match di ieri avrebbe avuto un significato importante, avrebbe certificato – in maniera ancora più certa, più profonda – l’iscrizione alla corsa per l’Europa, probabilmente anche per quella che vale l’accesso in Champions League. Lo 0-0 maturato all’Olimpico non cambia molto la classifica, ma incide sulla percezione che abbiamo delle squadre, del valore della/e rosa/e oltre le idee tattiche dei due allenatori. Per vincere i big match, gli scontri diretti, non basta avere un sistema moderno e funzionale, ma serve anche grande qualità, individuale e collettiva. Da questo punto di vista, forse, Roma e Sassuolo sono ancora dietro ad altre realtà del campionato, anche se producono un calcio divertente.

La qualità della Juve, nonostante tutto

Una vittoria nel derby è e resta importante, a prescindere dalle modalità con cui è arrivata. Questa visione appartiene – inevitabilmente – ai tifosi, e va bene così. Ma allenatori e analisti hanno il dovere di andare oltre. E allora il 2-1 della Juventus con il Torino ha un significato più relativo, perché il risultato maturato all’Allianz Stadium è dovuto alla maggior qualità individuale e complessiva della squadra di Pirlo, non a una prestazione davvero migliore rispetto a quelle precedenti. Il fatto che i bianconeri abbiano rimontato segnando due gol molto simili, anzi praticamente identici, sostiene questo assunto: a un certo punto della gara, gli uomini di Pirlo hanno fatto ricorso ad azioni non tanto più sofisticate e pericolose, solo più insistenti; a quel punto, la stanchezza e le ingenuità del Torino hanno portato a una doppia mancanza d’attenzione, ai colpi di testa decisivi di McKennie e Bonucci. Tutto questo, chiariamo, è una cosa che non sminuisce la Juve. Anzi, in qualche modo prelude a un futuro se non radioso, certo interessante: il gioco di Pirlo non è ancora decollato, eppure i bianconeri riescono comunque a venire a capo delle loro partite. A vincerle, spesso. A non perderle, praticamente sempre – l’unica sconfitta è arrivata in Champions League, contro il Barcellona. Un risultato positivo può essere casuale, certo, ma tanti risultati positivi esprimono sempre qualcosa di importante. È ovvio che questa espressione di gioco non debba essere, non possa essere e non sia soddisfacente per Pirlo e i suoi uomini, soprattutto in vista dei big match che arriveranno presto – dopo il Barcellona, nel giro di un mese, i bianconeri affronteranno Atalanta, Inter, Milan e infine il Napoli in Supercoppa. Ma non c’è motivo per credere che la Juve sia questa e basta, che non possa migliorare. Anzi, la crescita rispetto a inizio stagione è già evidente. A quel punto, la qualità già presente in rosa diventerà ancora più alta, potrebbe anche esplodere in maniera fragorosa, e a quel punto i bianconeri tornerebbero a essere i favoriti nella corsa allo scudetto, molto più di quanto non lo siano già.

Ora Zaccagni ha anche iniziato a segnare

Se è giusto considerare Mattia Zaccagni come uno dei giocatori italiani più cresciuti a partire dall’estate del 2019, e in effetti farlo sarebbe decisamente giusto, per non dire doveroso, c’è un aspetto ulteriore che va sottolineato: nelle ultime due partite, il centrocampista (ma anche trequartista, incursore, seconda punta nascosta) del Verona ha segnato due gol. È un cambiamento significativo per lui, e basta leggere i numeri per rendersene conto: le due marcature contro Atalanta e Cagliari hanno pareggiato quelle realizzate in tutta la scorsa stagione; in pratica Zaccagni ha mostrato di essere migliorato proprio dove serviva che migliorasse, ovvero nell’incisività sotto porta. Il resto è tutto normale, o quantomeno non sorprende più, non più di tanto: già poche settimane dopo la famosa estate del 2019, quando era arrivato in Serie A da calciatore anonimo o quasi, come gran parte dei suoi compagni all’Hellas, ci siamo accorti di quanto Zaccagni potesse essere prezioso, con i suoi continui movimenti in verticale e in orizzontale, con i suoi passaggi intelligenti, con il suo supporto a tutte le fasi di gioco, attraverso l’intesa sviluppata con i compagni all’interno del gioco sequenziale, quasi robotico, che Ivan Juric ha imposto alla squadra gialloblu. La sua crescita è stata graduale ma continua, ed è così che lui e il Verona sono arrivati a un punto così elevato – di automatismi, di continuità, anche di qualità – che non non abbiamo potuto fare a meno di sbalordirci. E allora gli abbiamo dovuto dargli l’accesso a un livello superiore, per possibilità e obiettivi. Non a caso, Zaccagni è stato convocato in Nazionale – ma poi non ha potuto esordire – e oggi è il giocatore-simbolo di un Verona che non può più accontentarsi della dimensione di squadra-salvezza, ma ha tutto per poter aspirare a qualcosa di più.