Un’Atalanta così

Come si vive il momento della Dea, a Bergamo e in curva all'Azzurri d'Italia, raccontato da un tifoso.

Sto guardando Atalanta-Pescara di Coppa Italia. Siamo al trentesimo minuto e stiamo vincendo 2-0. Con le riserve, senza sforzo. Normale per questa stagione. Niente di meno normale da quando seguo questa squadra. La mia prima volta all’Atalanta (così si dice a Bergamo) era nella pancia di mia mamma, era andata allo stadio anche pochi giorni prima di partorire. Da bambino ho avuto sfortunatamente una deriva juventina che non mi perdonerò mai, ma d’altronde già a 10 o 11 anni avevo capito che stavo sbagliando tutto. E via in curva nord, con lo zio in bomber, jeans e codino anni ’90 del mio amico Paolino. Ci portava in balconata dai Nomadi, un gruppo storico della Nord. Giravano strane pipe a me sconosciute e la passione per i cori assordanti e le urla disumane iniziò a entrare in me. Erano i tempi di Inzaghi e Vieri, di Morfeo, del cobra Tovalieri.

Anche mio nonno era un super tifoso della Dea. Aveva un minuscolo bar con il suo club di tifosi dell’Atalanta e la sua squadra amatoriale, i Guappi, in maglia neroblu, ovviamente. Tutti i giovedì e le domeniche chiudeva il bar. Il giovedì c’era l’allenamento dell’Atalanta allo stadio e lui lavorava come volontario in campo: puliva le scarpe, passava i palloni all’allenatore dei portieri, puliva gli spogliatoi, parlava coi giocatori. La domenica in tuta sociale a bordo campo a seguire la squadra, ad abbracciare i giocatori dopo i gol a piangere per le vittorie e le sconfitte. Uno dei pochi ricordi che mi restano di mio nonno è una maglia numero 10 usata in Coppa delle coppe, credo da Bonacina. La conservo come una Sacra Sindone. Il nonno – si chiamava Ezio – ha visto la Dea andare fino in Serie C, e questo lo faceva stare male, malissimo. Ha visto la vittoria della Coppa Italia nel 1962/63, l’unica nostra coppa. Ha visto l’Atalanta in Europa.

Atalanta BC v FC Torino - Serie A

La scena più bella di questa piccola storia calcistica che ricordo risale a quando l’Atalanta era in Serie A ma si era condannata ad andare in B, anche se non riesco a decidere quale fosse l’anno. Ero in curva. I ragazzi si erano impegnati al massimo ma non c’era stato niente da fare, ci fu una standing ovation dello stadio quando i giocatori uscirono, mentre piangevano. Mi sono sempre detto che una cosa così non succede da altre parti. L’Atalanta va rispettata, la maglia va sudata, il resto non conta.

Il rientro a piedi, dopo la partita, non è sempre da vincitore se tifi l’Atalanta, ci sono anni in cui si segna poco, si vince pochissimo. È facile tifare Juventus (mea culpa ancora), vinci sempre, mi dico che è facile, così, essere tifoso. Quest’anno sta succedendo l’impensabile. La città è attraversata da una brezza di incredulità. Dopo la vittoria con il Bologna, il 27 novembre, il pullman della squadra ha festeggiato con i tifosi in centro a Bergamo. C’erano 2000 persone, scoppiavano festosi petardi, fumavano i fumogeni, si alzavano i cori prima dei discorsi di Papu e del Gasp, trasformati in dei semidei, qui a Bergamo.

Atalanta BC v Genoa CFC - Serie A

A inizio stagione la situazione era diversa. Su cinque partite c’erano state quattro sconfitte, con continui cambi di modulo. Gasperini sembrava un allenatore confuso, e le critiche da quella parte della tifoseria meno paziente (o meno attaccata alla maglia) iniziavano a fioccare. A me non importava, stimavo il Gasp e l’avrei sostenuto in ogni caso, si vedevano i tasselli di un progetto, la voglia di non far giocare la squadra con il solito 4-4-2 da Atalanta. Poi arriva il Crotone, uno stadio fantasma, la guardo in streaming sul computer, un po’ depresso sapendo che se va male il Gasp la passa brutta. Il Papu, un uomo di grande umiltà e carattere, con una famiglia vera o normale ma dei piedi da campione, si prende la squadra sulle spalle, e da lì in poi guida i giovani di quella che diventerà “la banda Gasp” a una vittoria dietro l’altra. Kessié, Gagliardini, Conti, Petagna, Caldara diventano di colpo i pilastri di una nuova incredibile Atalanta, spietata, velocissima, che non molla. Cadono come foglie il Napoli, il Pescara, l’Inter, il Sassuolo, la Roma, il Bologna.

BERGAMO, ITALY - SEPTEMBER 21: Fans of Atalanta show their support during the Serie A match between Atalanta BC and US Citta di Palermo at Stadio Atleti Azzurri d'Italia on September 21, 2016 in Bergamo, Italy. (Photo by Tullio M. Puglia/Getty Images)

Mi dico: ci siamo, è l’anno buono. Gasp quindi era solo in rodaggio, ha capito tutto lui, ci vuole far diventare l’Athletic Bilbao italiano, dice, ma con giocatori che non parlano solo bergamasco. Il Leicester? Non siamo nemmeno simili: l’Atalanta è una squadra piccola davvero, non abbiamo i soldi thailandesi dell’undicesima persona più ricca del mondo, il nostro presidente giocava nell’Atalanta, da giovane, prima di diventare imprenditore. Noi siamo umili, e ce ne vantiamo.

L’atmosfera che si respira a Bergamo oggi è magica, sembra che ci sia una nebbia drogata che ha rimbecillito tutti. Ho chiamato il mio commercialista l’altra sera, e per prima cosa mi ha detto: «Signor Fasolini, ma lei li ha presi i biglietti?». «Scusi biglietti per cosa?», ho risposto. Mi immaginavo si trattasse di qualche biglietto dell’IRPPEF o altre diavolerie, e lui invece, allegro: «Ma per Torino ovviamente! Io vado, e ce la giochiamo senza paura, non abbiamo niente da perdere». Chi lo sa cosa succederà sabato allo Juventus Stadium? E se succede? E poi? Io so solo che dopo aver sofferto e amato così tanto noi abbiamo il diritto, anzi il dovere, più di tutti gli altri, di poter sognare.