La bilancia di Pioli

Dopo cinque partite senza vittoria, il futuro di Pioli all'Inter è incerto: quali sono gli aspetti positivi della sua gestione e quali quelli negativi?

Quanto può essere calcisticamente lungo un mese?  Nel caso di Stefano Pioli un’eternità. Dopo il roboante 7-1 all’Atalanta di Gasperini, rivelazione del campionato, chiunque nell’ambiente nerazzurro (tifosi, ex giocatori, dirigenti, addetti ai lavori) avrebbe scommesso sulla sua riconferma: in alcuni casi spendendo anche parole importanti in tal senso, come quelle di Marco Materazzi o, più recentemente, di Mauro Icardi. Da quel 12 marzo, però, il mondo si è capovolto: l’Inter ha perso tre delle ultime cinque partite disputate (contro Sampdoria, Crotone e Fiorentina), pareggiando le restanti due (Torino e Milan) partendo da situazioni di vantaggio e precipitando al settimo posto in classifica, con la zona Europa League ancora in vista solo grazie ai balbettii del Milan.

I numeri sono impietosi: la media punti a partita è passata da 2.8 a 2.3 (e a un certo punto, a metà febbraio, l’Inter aveva raccolto 31 punti nelle 14 partite con Pioli in panchina, di fatto eguagliando la squadra che, con Mourinho, conquistò il triplete) e i gol incassati sono diventati 2.6 a gara (dall’1.15 di partenza), vanificando, di fatto, le due realizzati ogni 90’ (dato comunque “drogato” dal pazzo finale del Franchi: fino a quel momento si viaggiava al ritmo di 1.75 gol a partita). Non a caso l’immagine più eloquente del post sconfitta contro la Fiorentina è stato l’abbraccio con Steven Zhang, rappresentante di Suning: un gesto che può essere letto in tanti modi diversi e che sembrerebbe il preludio all’ennesimo cambio di guida tecnica (la sesta nelle ultime sei stagioni, l’ottava a partire dal 2010). Se non ora, quantomeno a fine stagione. Quali sono gli aspetti che possono aprire alla riconferma del tecnico, e quali quelli che consiglierebbero una decisione opposta?

ACF Fiorentina v FC Internazionale - Serie A

PRO

Coerenza tattica di fondo  Se con De Boer i giocatori avevano avuto una pesante “crisi di rigetto” in relazione a metodologie e idee di gioco del tecnico olandese, con Pioli l’adattamento è stato molto più semplice e immediato. Merito anche dell’ex laziale che, appena arrivato, ha usato una strategia semplice: valutazione del materiale tecnico e umano a disposizione, per mettere i giocatori nelle condizioni di poter rendere al meglio fin da subito in un sistema chiaro e coerente con le sue idee. L’essersi, poi, ritrovato già in rosa due esterni come Perisic e Candreva, adattissimi al principio delle “catene laterali” sulle quali far correre lo sviluppo della manovra (il 73% delle azioni offensive nerazzurre originano dalle fasce), gli ha permesso di lavorare in continuità su quanto sviluppato ai tempi della Lazio. Fin dalle prime partite l’Inter di Pioli era riconoscibilissima nei pregi (attacco della profondità sugli esterni, rapidità nella transizione dopo il recupero palla, capacità di creare un alto numero di occasioni da gol – 13 a partita, prima squadra della Serie A con il Napoli) e nei difetti (difficoltà nel difendere la contro-transizione avversaria, linea difensiva troppo statica e restia a salire nei tempi giusti, espressione tattica monocorde e poco flessibile). Un evidente passo in avanti rispetto alla confusione e alla disarmonia di inizio stagione.

Centralità e responsabilizzazione di Icardi – Al netto della narrativa che lo circonda, Mauro Icardi si è spesso dimostrato un professionista a tutto tondo: 24 gol in 31 presenze (già superato il primato personale di 22 in 36 del 2014/2015), 8 assist, 31 passaggi chiave, una centralità assoluta in un sistema di gioco che, nonostante gli richieda notevoli sforzi per quanto riguarda sponde e movimenti senza palla per favorire gli inserimenti delle mezzali (65% la percentuale di contrasti vinti, 49% quella relativa ai duelli aerei), sembra essere costruito per esaltarne le capacità. A 24 anni compiuti, Icardi riesce a coniugare perfettamente lo spirito di sacrificio del centravanti di manovra al suo essere bomber di razza: ulteriore step sulla via della definitiva responsabilizzazione e maturazione tecnica di uno dei più giovani capitani della storia interista.

Le (ri)scoperte Kondogbia e D’Ambrosio – Un altro indubbio merito di Pioli è stato quello di restituire valore e dignità ad alcuni elementi della rosa nerazzurra che sembravano irrecuperabili alla causa. Gli esempi più lampanti sono quelli di Geoffrey Kondogbia e Danilo D’Ambrosio: il primo, nonostante un peggioramento complessivo delle sue voci statistiche (shot accuracy dal 45 al 32%, 10 occasioni create contro le 16 dell’ultima stagione al netto di un numero di presenze equipollenti, precisione nel tocco passata dall’87 all’84%), risulta molto più coinvolto nella manovra e nelle idee di gioco del suo tecnico che non sembra più potersi permettere di rinunciare alla sua forza fisica (86% di contrasti vinti, primo centrocampista della Serie A, nonostante appena il 37% di tackles riusciti); il secondo, invece, oltre ad aver trovato già tre gol in campionato, ha trovato la prima chiamata in Nazionale da parte di Ventura ed è uno degli insostituibili di Pioli, essendo partito titolare in tutte le partite giocate agli ordini dell’ex tecnico laziale. Il quale ha dimostrato di poter ricavare qualcosa anche da chi sembrava non far più parte del progetto tecnico, senza dover ricorrere al mercato ad ogni costo.

CONTRO

Scarsa malleabilità tattica – L’Inter di Pioli è una squadra coerente con se stessa. Forse anche troppo, visto che è assolutamente incapace di proporre variazioni sul tema di un 4-2-3-1 talvolta interpretato in maniera scolastica e al quale sembra essersi assuefatta: come se non si avvertisse, da parte del gruppo, la necessità di dover interpretare in modo diverso alcune fasi della partita che mal si adattano allo schieramento di partenza. Non a caso le uniche volte che il tecnico ha provato a rimescolare le carte (il 3-4-2-1 proposto contro Juventus prima e Roma poi) la squadra non è quasi mai riuscita ad trovare le giuste contromisure in relazione a quanto proposto dagli avversari e creando molto meno in fase offensiva rispetto al solito.

Nelle due sconfitte contro Juventus (a sinistra) e Roma (a destra), l’Inter ha creato un totale di 22 occasioni da rete, quasi esclusivamente con cross provenienti dalle fasce laterali: un gol realizzato in 180’ e l’incapacità di produrre variazioni sul tema offensivo dimostrano come i nerazzurri facciano fatica quando giocano con un modulo diverso dal 4-2-3-1

Proprio dopo il ko di san Siro contro i giallorossi, Pioli ha accantonato ogni velleità di trasformismo tattico scegliendo di affidarsi a qualcosa che facesse sentire i calciatori più sicuri dei propri mezzi (del resto tra il 2 dicembre 2016 e il 27 febbraio 2017 erano stati raccolti 27 punti sui 36 disponibili). Un dettaglio che, però, diminuisce il ventaglio di soluzioni per provare ad uscire dalla recente crisi di gioco e di risultati, con il “modulo base” che sembra non funzionare più.

Fragilità difensiva – Fino al sabato sera del Franchi, l’Inter era la settima difesa del campionato con 37 gol subiti: due ore dopo era scalata di una posizione appena solo grazie ai regali di Milan (1-2 interno con l’Empoli), Lazio (due reti concesse al Palermo in apertura di ripresa) e Sampdoria (Crotone vittorioso 2-1 a Marassi). Il dato più inquietante, però, è un altro: ben 36 reti, infatti, sono state segnate all’interno dell’area di rigore. Sintomo di una squadra che non riesce a reggere all’altrui forza d’urto quando viene schiacciata all’interno della propria trequarti e che fatica notevolmente quando affronta situazioni di parità numerica in transizione. Ad oggi Pioli non ha ancora trovato una soluzione e non è detto che ci riesca in tempi brevi; incredibile a dirsi per una squadra che, nel girone d’andata dello scorso campionato, aveva costruito il proprio primato proprio sulla solidità della retroguardia.

La gara contro la Fiorentina è stata il perfetto compendio di tutte le difficoltà difensive dell’Inter 2016/2017: quattro le reti subite in 17 minuti, cinque quelle totali. Non accadeva dal maggio del 2013 

I casi Joao Mario e Gabigol – Joao Mario e Gabriel Barbosa sono stati i fiori all’occhiello della campagna acquisti nerazzurra: 70 i milioni spesi per portare a Milano uno dei protagonisti del trionfo portoghese agli Europei di Francia e uno dei migliori prospetti brasiliani del panorama internazionale. Eppure entrambi, per motivi diversi, non hanno ancora reso in relazione a cifre spese e aspettative. Joao Mario avrebbe tutto per essere il centrocampista di riferimento di Pioli, grazie alla sua capacità di galleggiare a piacimento tra le linee di centrocampo e attacco (tre gol, cinque assist e 49 passaggi chiave fin qui), ma nelle ultime sette gare è partito titolare soltanto due volte, con ben cinque panchine consecutive e con l’allenatore in evidente difficoltà nella ricerca del giusto equilibrio nei movimenti da effettuare con il neo acquisto Gaglardini.

Gabigol, invece, fatica a trovare spazio da inizio anno e nemmeno la rete da tre punti in quel di Bologna è riuscita a fargli riguadagnare posizioni nelle gerarchie dell’attacco nerazzurro: appena 95 i minuti disputati in stagione da un giocatore ancora tutto da scoprire. Discorso a parte merita Ever Banega, sparito misteriosamente dalle rotazioni dopo una stagione di alti e bassi che sembrava aver trovato il punto di svolta nella tripletta all’Atalanta: da allora un’involuzione personale e di squadra che ne hanno sconsigliato il riutilizzo, mostrando l’altra faccia della capacità di gestione della rosa da parte di Pioli: il quale, evidentemente, può passare diversi periodi in cui certi giocatori proprio “non li vede”, a prescindere dall’effettivo rendimento in campo.

Tenuta mentale – «Quella del secondo tempo non può essere la mia squadra. Abbiamo dimostrato compattezza per 45 minuti, poi c’è stato un blackout inspiegabile. Si è trattato di una prestazione troppo brutta per essere nostra». Le dichiarazioni post partita di sabato hanno mostrato uno Stefano Pioli consapevole del principale problema della sua Inter: quello della tenuta mentale. Contrariamente a quello che la serie di sette vittorie consecutive aveva lasciato sperare, i nerazzurri si sono dimostrati una squadra psicologicamente fragile, incapace di reagire alle difficoltà o di ribaltare uno svantaggio e dalla pericolosa tendenza a disunirsi nei momenti chiave di una partita. Lo dimostrano le tante situazioni di vantaggio sprecate e che hanno costituito il leitmotiv di quattro delle ultime cinque gare, eccezion fatta per quella con il Crotone disastrosa dal punto di vista dell’approccio iniziale: il tecnico sembra aver perso il polso della situazione, con i giocatori che, esaurito l’entusiasmo iniziale, non riescono più a seguirlo. Gli allenatori dei grandi cicli vincenti all’Inter (Trapattoni, Mancini, Mourinho) avevano sempre il controllo di tutto, riuscendo a gestire il gruppo grazie anche ad una forte personalità: e, ora come ora, a Pioli sembra fare difetto sia l’uno che l’altra.