Casemiro ha cambiato il Real Madrid

Come, con Benítez e soprattutto Zidane, il brasiliano è diventato uno dei più importanti centrocampisti della squadra.

Tra i tanti paradossi del periodo madrileño di Rafa Benítez, il più curioso e, per certi versi, decisivo è stato quello di un esonero arrivato dopo la partita in cui, per la prima volta, aveva derogato ai suoi principi tattici per obbedire ai desiderata di Florentino Perez che, così come la stragrande maggioranza dei tifosi, non vedeva di buon occhio la centralità di Casemiro nel nuovo sistema di gioco del Real. Del resto le perplessità dell’intero ambiente sembravano pienamente giustificate: come poteva quello che fino ad allora era stato considerato un oggetto misterioso (da quando era stato acquistato dal San Paolo, nel gennaio 2013, aveva disputato appena 33 gare in due stagioni e mezzo, escludendo la parentesi in prestito al Porto) essere l’elemento in grado di garantire quantità e qualità al centrocampo merengue? Per questo, dopo otto presenze da titolare consecutive (cinque in Liga e tre in Champions League), il 21 novembre 2015 Casemiro assiste dalla panchina allo show del Barcellona al Bernabeu che costa la panchina al tecnico spagnolo e che spalanca le porte del professionismo a Zinedine Zidane.

In occasione dello 0-4 del Barcellona al Bernabeu, Benitez decide di rinunciare a Casemiro come equilibratore del centrocampo, riproponendo la soluzione del doble pivote con Kroos e Modric e alzando James Rodríguez alle spalle di Ronaldo unica punta: i blaugrana avranno costantemente la superiorità numerica in mezzo al campo, alternando lo sviluppo del gioco tanto in ampiezza quanti in profondità ed evitando di dare punti di riferimento in fase di possesso

Tuttavia nemmeno Pérez e tifoseria potevano immaginare che, con l’ex galactico sul ponte di comando, la centralità del brasiliano avrebbe finito progressivamente con l’accentuarsi, fino a sfiorare i canoni dell’indispensabilità. In una recente intervista a Espn, Casemiro aveva già parlato dello speciale legame con l’allenatore: «Zidane ha sempre avuto grande fiducia in me. Quando era l’assistente di Ancelotti mi è stato di grande aiuto. Una delle cose più importanti da quando sono a Madrid  è sentire costantemente la sua vicinanza visto che, almeno all’inizio, non è stato facile arrivare, giocare poco e far bene quando ero chiamato in causa». Non deve, quindi, stupire che l’allenatore francese abbia costruito gran parte dei suoi successi rimodulando il centrocampo in base alle caratteristiche di Casemiro e liberando Kroos e Modric da eccessivi compiti in fase di non possesso. Un accorgimento tattico financo banale ma che, unito agli elevati standard di rendimento della BBC e all’esplosione contestuale di Isco e Asensio, trasforma il Real Madrid nella squadra sostanzialmente ingiocabile dell’ultimo periodo.

Casemiro heatmap vs wolfsburg

La partita chiave della seconda vita di Casemiro al Real è il ritorno dei quarti di finale di Champions League contro il Wolfsburg del 12 aprile 2016: con i padroni di casa costretti a rimontare il 2-0 dell’andata, il brasiliano diventa l’elemento in grado di garantire copertura in fase di non possesso (50% di contrasti vinti, 100% di successo nei duelli aerei) e un’ottima pulizia di tocco (77% di precisione passaggio) in fase di costruzione dell’azione dopo il recupero palla, in una squadra  ovviamente sbilanciata in avanti. Al resto penserà Cristiano Ronaldo

Il giocatore ci ha messo tanto del suo, in una crescita esponenziale e, a tratti, insospettabile, soprattutto se si considerano gli inizi della sua carriera in Europa. Messosi in luce nel 2011 nella doppietta Campionato Sudamericano-Mondiale Under 20, viene acquistato due anni dopo dal Real a cifre molto contenute (poco più di sei milioni di euro): l’obiettivo è crescere in casa un giocatore che possa poi raccogliere l’eredità di Sami Khedira nel sistema di Mourinho. Nei primi mesi, fatta salva una scarna apparizione contro il Betis, Casemiro resterà infatti parcheggiato al Castilla. L’arrivo di Ancelotti potrebbe costituire un primo punto di svolta della carriera, non fosse altro per l’iniziale stima accordatagli dal tecnico di Reggiolo che, in un’intervista riportata dal quotidiano portoghese A Bola in relazione a un primo interessamento del Porto nel gennaio 2014, ribadisce come l’ex San Paolo sia «un giovane di grande talento che sa che al Real Madrid può migliorare ed esplodere a grandi livelli»; tuttavia una stagione da 25 presenze complessive (scalzato prima da Illaramendi nel sistema con il doble pivote e poi da Di María reinventato mezzala nel 4-3-3 che costituirà la pietra angolare della vittoria della decima Champions League) convince la Casablanca a cederlo (con diritto di riscatto e contro riscatto) al Porto di Lopetegui.

Il 2014/15 è la prima stagione ad alti livelli disputata da Casemiro in Europa: 37 presenze complessive tra campionato e coppe, quattro reti e una continuità di rendimento spaventosa

L’ottima annata in terra portoghese e la necessità di Benítez di avere almeno un giocatore in grado di garantire gli equilibri difensivi nella sua mediana a due (cosa che, almeno inizialmente, non riesce al duo Kroos-Modric), gli valgono il ritorno a Madrid e la progressiva conquista della titolarità: tra lo 0-0 interno con il Malaga e il già menzionato rovescio contro il Barça, Casemiro risulta il giocatore più impiegato della rosa (720 minuti in otto partite), anticipando quel che sarà anche sotto la guida tecnica di Zidane. Il quale ci mette poco meno di due mesi per allinearsi al pensiero di Benítez e (ri)mettere il brasiliano al centro del villaggio: nell’entusiasmante serie di 12 successi consecutivi con cui i blancos concludono la Liga 2015/16, Casemiro è titolare ben 10 volte, mentre in Champions solo un fastidioso problema alla schiena gli impedisce di saltare la vittoriosa semifinale di ritorno contro il Manchester City. Il motivo di questa imprescindibilità è facilmente spiegabile: in una squadra alla perenne ricerca dell’equilibrio su entrambi i lati del campo, un elemento che ha nella lettura anticipata dello sviluppo delle azioni e nell’occupazione preventiva dello spazio le sue caratteristiche migliori (quasi tre gli intercetti di media a partita nel 2015/16) è pressoché indispensabile. E se dal punto di vista tecnico c’è ancora molto da affinare (evidenti le difficoltà nello scambio stretto, nella ricerca della corretta posizione in fase di possesso e nella gestione del pallone in fase di risalita del campo), una dimensione fisica fuori dal comune (40% di contrasti vinti su quasi cinque tentati di media) è più che sufficiente a svolgere il compito cui Casemiro è demandato nel Real Madrid 1.0 di Zidane: schermare la difesa e recuperare quei palloni cui, poi, Kroos e Modric daranno l’adeguata dimensione verticale. Un’idiosincrasia evidente nel calcio associativo e privo di compiti preimpostati dell’allenatore francese che, però, a fine stagione porta in dote l’undicesima Champions League e una solida base sulla quale costruire e implementare nuovi principi di gioco. Dirà qualche tempo dopo Simeone: «La presenza di Casemiro costringe gli avversari a compattarsi meglio e a giocare a un livello fisico superiore e, spesso, insostenibile. Ha completamente cambiato volto al Real Madrid».

Il 2015/2016 di Casemiro con il Real Madrid

La seconda stagione madrilena “piena” è quella della definitiva consacrazione ad altissimi livelli di Casemiro, tanto più in un periodo storico in cui la figura del centrocampista centrale deve essere analizzata attraverso nuove chiavi di lettura. In una squadra che consolida e perfeziona un sistema di gioco sempre più lineare e armonico nell’alternanza  dello sfruttamento del campo tanto in ampiezza quanto in profondità, i miglioramenti del brasiliano vanno di pari passo con quelli del collettivo: non più elemento monodimensionale deputato unicamente al recupero del pallone, ma parte attiva del possesso palla in grado di garantire un ottimo rapporto tra orizzontalità e verticalità della giocata e la possibilità di rifinire lui stesso l’azione. Inoltre, grazie all’innata capacità di leggere e gestire lo spazio davanti a lui, anche l’apporto in zona gol migliora sensibilmente: il timing dell’inserimento dal lato debole e/o alle spalle della linea difensiva avversaria è quello di una mezzala classica – come in occasione della rete in Supercoppa Europea contro il Manchester United – mentre la sua shot accuracy dai margini ancora inesplorati potrebbe rivelare la punta dell’iceberg delle capacità offensive che andrebbero ad arricchire il bagaglio di un giocatore già di per sé fondamentale nell’interpretazione della doppia fase.  

Non è quindi errato affermare che il brasiliano sia stata la chiave di volta di questo nuovo ciclo d’oro madrileño, diventando l’ago della bilancia dei progressi continui e costanti della squadra: da “toppa” necessaria per equilibrare un sistema inizialmente senza capo né coda, a giocatore universale e indispensabile in un Real che gira a meraviglia anche grazie a lui. A Zidane (e Benítez) il merito di averne intuito le potenzialità sfruttabili in un contesto dalla cifra tecnica superiori: a lui quello di essere riuscito a diventare, come ha scritto Tom Sanderson su These Football Times, «il volante che ha cambiato il volto del Real Madrid».