Il 4 novembre 2015, dopo aver strapazzato 5-1 l’Arsenal in Champions League con la terza (e ultima) versione del suo Bayern Monaco, Pep Guardiola in sala stampa rivelò quale fosse la sua idea di perfezione calcistica: «Quello che io voglio, il mio più grande desiderio, è una partita in cui la mia squadra eserciti il 100% di possesso palla». Un’utopia irrealizzabile figlia, però, della corretta intuizione sulla rinnovata importanza del ruolo del centrocampista, probabilmente la figura principale del calcio del Ventunesimo secolo: non più solo equilibratore della manovra su entrambi i lati del campo, ma ago della bilancia in grado di incidere sulle sorti della partita in chiave di controllo del gioco: «Qualcuno potrebbe pensare che il possesso palla non sia un aspetto così importante», ha detto ancora Guardiola, «ma per me è ciò che conta più di ogni altra cosa. Si tratta del primo passo per costruire una squadra dalla mentalità vincente, tutto il resto è secondario: se hai il controllo del pallone hai più possibilità di creare occasioni e meno di subirne».
La mappa dei passaggi dei centrocampisti del Bayern (a sinistra) nella gara di Champions League contro l’Arsenal del 4 novembre 2015 mostra come l’assoluto controllo del gioco da parte dei bavaresi sia stato possibile grazie alla grande prestazione (93% di precisione) del trio di centrocampo Xabi Alonso-Thiago Alcantara-Javi Martinez. Nel grafico a destra si nota la prestazione di Thiago Alcantara: 122 passaggi completati su 133 tentati, quando nessun giocatore dei Gunners è andato oltre 45
Qualche mese prima, in questo articolo su FourFourTwo, Alex Keble aveva così definito le qualità del centrocampista moderno: «Un dribblatore agile in grado di tirarsi fuori dai guai nelle fasi di pressing, un distributore di gioco tra le linee, un elemento in grado di fare la differenza interpretando più ruoli, contrastando e creando la superiorità numerica, coprendo il campo in ampiezza e profondità con passaggi puliti e precisi». Appare chiaro come la multidimensionalità e la versatilità siano le caratteristiche principali dei migliori interpreti del ruolo: come Jonathan Wilson scriveva sul Guardian, «la specializzazione del centrocampista, paradossalmente, ha facilitato l’universalità dello stesso: oggi i giocatori sono meno caratterizzati dalle loro posizioni in campo e quello che possono o non possono fare non è più legato ad un ruolo fisso». Ovvero ciò che è alla base dell’esplosione di uno come Saúl Ñíguez, 28 gol e 16 assist in 211 presenze in carriera e fresco di rinnovo con l’Atlético Madrid fino al 2026.
La tripletta di Saúl contro l’Italia ai recenti Europei Under 21
Non deve, perciò, stupire, se la nuova generazione di centrocampisti sia costituita soprattutto da giocatori in grado di fare la differenza sia nella fase attiva che in quella passiva, con la costante della capacità di read and react delle singole situazioni di gioco a fare da trait d’union tra le qualità tecniche e la resistenza aerobica, soprattutto in proiezione della diminuzione del tempo che intercorre tra azione e reazione. Gabriele Pin, che sarebbe poi diventato assistente di Cesare Prandelli in Nazionale, lo aveva intuito già nel 2002 quando, presentando la sua tesi per il master di Coverciano, spiegava come «le caratteristiche tecniche e le qualità tattiche del centrocampista centrale dovranno essere coerenti e dare sostanza alla struttura e all’idea di gioco della squadra», arrivando a «vedere, pensare, trovare ed eseguire il più rapidamente possibile, efficaci ed adeguate risposte ai problemi che scaturiscono dall’evolversi del gioco, sotto la continua pressione degli avversari prediligendo concretezza, efficacia, precisione e non estetismi fini a se stessi». A prescindere da moduli e ruoli (sebbene le tendenze attuali parlino di una predilezione per un centrocampo a tre, in cui il vertice basso del triangolo rovesciato galleggia tra le linee alla ricerca della migliore posizione possibile), quindi, il centrocampista del nuovo millennio deve sapersi adattare ai vari momenti della partita, rimodulando caratteristiche e complessità delle giocate in base a quello che richiede lo sviluppo progressivo della stessa. Parliamo, quindi, di giocatori intensi, dalle grande dinamicità e dalla struttura fisica importante, in grado di agire velocemente in transizione e razionalizzare le proprie scelte in situazioni di difesa schierata.
In tal senso, il prototipo ideale è rappresentato da Paul Pogba. Pochi al mondo possono garantire lo stesso connubio vincente tra qualità tecniche (57 occasione create in 30 gare di Premier League) e forza fisica (36% di tackle riusciti, 57% di duelli aerei vinti), al netto delle oggettive difficoltà iniziali riscontrate in una squadra che ha faticato a lungo prima di trovare una fisionomia tattica ben definita come il Manchester United di Mourinho: Pogba ha agito sia da mezzala in un 4-3-3 che da mediano/trequartista atipico nel 4-2-3-1, diventando più centrale nella costruzione del gioco (quasi 74 passaggi a partita con l’85% di precisione nel tocco) e giovandosi della sua fisicità e della sua capacità di conduzione della transizione per aprirsi un varco tra le linee avversarie in assenza di linee di passaggio pulite. Come ha scritto Greg Johnson su Squawka, bisogna lasciare che «il francese vada in campo e giochi come meglio crede. Del resto potrebbe essere il playmaker, un realizzatore, un frenetico giocatore box to box, ma anche un equilibratore della fase difensiva».
Il 2016/17 di Paul Pogba
Seguendo questo pattern evolutivo, si spiega anche l’affermazione ad alti livelli di giocatori come Tiemoué Bakayoko, Marcos Llorente e Naby Keita. Il primo e il secondo richiamano Pogba per saper coniugare a una dimensione fisica imponente (46% di contrasti vinti, che diventa il 53% se si considerano i duelli aerei Bakayoko; rispettivamente 47 e 54 Llorente) una grande pulizia nella costruzione del gioco in verticale (87% di pass accuracy, con quasi il 66% dei tocchi in avanti il francese; 87 e 60 lo spagnolo); il terzo paga qualcosa in termini di chili, centimetri (1.72 per 64 kg) e centralità nel possesso palla, ma si dimostra altrettanto versatile nel suo giocare tanto da centrale atipico (nel 4-3-3 asimmetrico del Lipsia la sua posizione è una sorta di ibrido tra la mezzala e il trequartista) quanto da vertice basso del centrocampo, interpretando la doppia fase con eguale intensità e coprendo magnificamente il campo tanto in ampiezza quanto in profondità, riuscendo a incidere maggiormente negli ultimi trenta metri (otto gol, sette assist e 34 passaggi chiave nell’ultima Bundesliga). C’è poi chi, come Corentin Tolisso, rappresenta l’optimum in relazione alla combinazione delle migliori caratteristiche dei succitati (nel 2016/17: 14 gol, 67 occasioni create, 40% di duelli vinti, 84% di precisione nei tocchi che nel 67% dei casi sono in verticale).
L’ultima stagione di Corentin Tolisso lo ha consacrato tra i migliori centrocampisti di nuova generazione
Quando, poi, si va ad analizzare l’evoluzione del ruolo del playmaker, la multidimensionalità e la capacità di adattamento al contesto tecnico si rivelano ugualmente fondamentali. Del resto, se già nel 2010 ancora Jonathan Wilson parlava di come il regista classico si stesse trasformando anche nel giocatore «che agisce alle spalle delle due punte», appare evidente come oggi un creatore di gioco debba essere un elemento in grado di galleggiare tra le linee, agendo prevalentemente nella zona compresa tra la propria trequarti e quella degli avversari, fungendo tanto da vertice basso in fase di prima costruzione quanto da rifinitore nel momento dell’ultimo passaggio. Da questo punto di vista, tra i centrocampisti emergenti i migliori sono Julian Weigl e Mahmoud Dahoud, che si ritroveranno quest’anno al Borussia Dortmund: pur nascendo entrambi come registi puri che necessitano della “protezione” di due interni di centrocampo (e che, in non possesso, sopperiscono ad una fisicità relativa con una superiore capacità di lettura preventiva delle situazioni: nell’ultima stagione sono stati 1,9 a gara gli intercetti di Dahoud, addirittura 2,2 quelli di Weigl), riescono a sfruttare una grande mobilità di base per mettersi sempre in visione dei compagni per ricevere palla, in particolare smarcandosi verticalmente alle spalle della prima linea di pressione avversaria per poi cucire la manovra (14 gli assist di Dahoud negli ultimi due campionati) nell’ultimo terzo di campo. Non è, quindi, un caso che siano tra i giocatori a toccare più palloni – poco sotto i 65 di media – nell’arco dei novanta minuti (nel 2-2 contro il Colonia, Weigl ha stabilito il primato di tocchi in una gara della Bundesliga: ben 214) oltre che quelli a mantenere il miglior rapporto tra verticalità della giocata (mai al disotto del 60%) e precisione nel passaggio (84% Dahoud, addirittura il 90 Weigl).
In occasione dell’ultima sfida tra Dortmund e Mönchengladbach, il canale YouTube della Bundesliga presentava così il confronto tra Weigl e Dahoud. Sarà interessante vedere come, grazie alla grande mobilità e alla capacità di muoversi tra le linee, riusciranno a completarsi a vicenda, alternandosi nelle fasi di costruzione e rifinitura della manovra del Dortmund
Di contro, anche quelli che si possono considerare trequartisti hanno dovuto modificare parte delle proprie caratteristiche di base: non più enganche alla sudamericana, collegamento unico tra la linea mediana e la delantera, ma vera e propria alternativa in fase di prima costruzione dal basso per evitare il lancio lungo a scavalcare il centrocampo. Leon Goretzka e Dani Ceballos sono due giocatori che si esprimono al meglio attaccando centralmente l’ultimo terzo di campo, magari anche partendo dall’esterno grazie ad una notevole capacità nell’uno contro uno (43% di dribbling riusciti il tedesco, addirittura 68% lo spagnolo): eppure, per loro, abbassare il proprio baricentro di venti metri, per facilitare la circolazione di palla e la fluidità di manovra, è del tutto naturale e istintivo. Soprattutto quando, in assenza di palloni giocabili, tocca a loro creare i presupposti per le occasioni da rete (36 i key passes di Ceballos in Liga, 31 quelli di Goretzka in Bundesliga).
Le heatmap delle gare di Ceballos contro l’Atlético Madrid (a sinistra) e di Goretzka contro il Wolfsburg (a destra) mostrano come due giocatori dalla caratteristiche prettamente offensive (portati al cambio di passo palla al piede e alla creazione della superiorità numerica) non abbiano difficoltà ad arretrare di una ventina di metri per facilitare lo sviluppo della manovra. Che entrambi abbiano trovato la rete in queste occasioni è solo una delle conseguenze del non fornire punti di riferimento alla linee di centrocampo e difesa avversarie
La chiave dell’odierna versatilità dei centrocampisti sta tutta in questa continua e costante ricerca della multidimensionalità, in un progressivo affrancamento dalla fissità di compiti, ruoli e posizioni. Non più specialisti cui demandare una specifica funzione all’interno del sistema, ma universali in grado di interpretare allo stesso modo la doppia fase senza snaturarsi o sacrificare le peculiarità del proprio stile.