Il talento italiano a centrocampo

Da Chiesa a Barella, come stanno crescendo i centrocampisti totali della Serie A.

Sono quattro i giocatori italiani inseriti dal Cies nella lista dei giocatori Under 21 con il più alto valore di mercato dei cinque maggiori campionati europei: il fatto che, eccetto Donnarumma, nella lista figurino solo centrocampisti – Lorenzo Pellegrini, Federico Chiesa e Nicolò Barella – indica come il calcio italiano, in un periodo di profondo cambiamento della scuola difensiva e di penuria di talenti offensivi, stia presentando il meglio della nuova generazione a centrocampo. Ovvero, come scrivevamo qualche tempo fa, «giocatori intensi, dalle grande dinamicità e dalla struttura fisica importante, in grado di agire velocemente in transizione e razionalizzare le proprie scelte in situazioni di difesa schierata».

In effetti i tre giocatori citati (cui va necessariamente aggiunto quel Bryan Cristante che ha trovato a Bergamo la continuità che gli era sempre mancata in precedenza, in attesa del ritorno a buoni livelli di Mandragora e Locatelli), per quanto profondamente diversi per caratteristiche e attitudini, rappresentano l’ultimo stadio dell’odierno percorso evolutivo del centrocampista totale. L’analisi delle loro qualità di base spiega perché gli elementi attualmente più promettenti del nostro calcio siano tutti collocati in mezzo al campo: una zona cruciale, non più di esclusiva pertinenza dei muscolari in senso stretto, in cui far convergere i calciatori più talentuosi, per conquistare lo spazio attraverso la tecnica e la capacità di read and react delle singole situazioni. Una necessità, recepita anche dal movimento italiano, dettata da un calcio sempre più tendente alla proattività. Del resto, come ha rilevato anche il Guardian, «per quanto la Serie A continui a essere vista come una lega vecchia e superata, nelle ultime stagioni la competizione è stata caratterizzata da un profondo rinnovamento: oggi i club italiani si rivolgono sempre più a giocatori giovani e quel campionato costituisce un luogo privilegiato in cui maturare tatticamente e crescere in un contesto altamente competitivo».

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L’inversione di tendenza rispetto al recente passato è chiara: giocatori che, all’inizio degli anni Duemila, avrebbero potuto agevolmente agire sulla trequarti offensiva grazie alle loro qualità tecniche, riescono a riciclarsi con sempre maggiore successo nei ruoli chiave della mediana in ragione di una fisicità e una resistenza aerobica migliorate dai moderni sistemi di allenamento. Che si tratti di un box to box player, una mezzala di corsa, inserimento e occupazione preventiva degli spazi, o un giocatore da consolidamento del possesso, la nuova generazione di centrocampisti italiani ha trovato il giusto compromesso tra quantità e qualità, con l’apporto all’equilibrio complessivo di squadra che non viene mai a mancare in nessuna delle due fasi di gioco. Anche in questo caso i dati a supporto sono inequivocabili: Pellegrini, Barella, Mandragora e Cristante risultano tutti nella top 10 dei centrocampisti Under 23 per passaggi effettuati, key passes, intercetti e contrasti. In piena continuità con quel che accade ai loro omologhi dei principali campionati europei.

C’è poi da considerare il contesto in cui un giovane calciatore italiano si trova a dover emergere: le realtà di maggiore successo sono quelle che riescono a implementare un sistema in grado di massimizzare l’impatto dei singoli, prescindendo dalle loro qualità. Essere in grado di ricoprire più ruoli all’interno di un’impiantistica di gioco collaudata e definita è la massima espressione della tendenza che vuole le carenze monodimensionali di ciascuno mascherate dall’esaltazione e dall’applicazione dei concetti di associatività e di calcio collettivo. La multidimensionalità, che ha avuto in Claudio Marchisio (rivelatosi difficilmente sostituibile quando è scalato da mezzala a volante davanti alla difesa) il precursore eccellente, da valore aggiunto è diventata, quindi, la condizione necessaria per affermarsi a buoni livelli: oggi è richiesto interpretare più spartiti all’interno della stessa partita, in linea con il prototipo disegnato dall’evoluzione del gioco.

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Prendiamo Barella, che è quello più simile al giocatore della Juventus per caratteristiche e capacità di agire indifferentemente da interno o vertice basso di un centrocampo a tre. Al netto degli inevitabili difetti tecnici (in particolare ci sarebbe da migliorare l’utilizzo del piede debole e il tempo degli inserimenti senza palla) e di comprensione del gioco (alcune letture risultano ancora fin troppo istintive e superficiali, con il risultato che la giocata risulta spesso forzata), parliamo di un giocatore completo, dinamico, fisicamente ben strutturato (quasi tre contrasti vinti a partita su 3,8 tentati: nella speciale classifica è davanti a gente come Allan e Khedira), in grado tanto di anticipare le giocate degli avversari (è tra i primi trenta centrocampisti per intercetti, con una media di 1,5 a gara) quanto di creare situazioni di superiorità numerica (siamo addirittura oltre il 60% di dribbling riusciti). Non siamo ancora al cospetto di quel «Dunga con i piedi di Rui Costa» di cui parlava Massimo Rastelli, ma le basi per impostarlo come tuttocampista del futuro ci sono tutte. Come confermato dal diretto interessato: «Nella mia crescita Rastelli ha molti meriti. Mi ha dato fiducia e fatto giocare in diversi ruoli, il resto è stata una naturale conseguenza».

Fisico (resiste alla pressione dell’avversario) e intelligenza (pallone servito nel corridoio libero a un compagno)

Cristante è stato a sua volta abituato fin dagli esordi a rimodulare compiti e posizione in campo. Rivelatosi in uno degli ultimi Milan di Massimiliano Allegri come mezzala d’inserimento dalle grandi doti tecniche e dalla grande proprietà di palleggio sia sul corto che sul lungo, è stato successivamente reimpostato da Jorge Jesus da regista nella mediana del suo Benfica, prima di tornare alle origini nel Pescara di Oddo. Con Gasperini e il suo sistema che prescinde dalla fissità dei ruoli, Cristante è stato impiegato praticamente ovunque in mediana senza che i suoi standard prestazionali ne risentissero: da play basso sfrutta la naturale propensione alla verticalità (oltre il 70% dei suoi tocchi sono in avanti) per velocizzare la fase iniziale dell’azione, da interno, oltre ai canonici tagli verso l’esterno per consolidare il possesso sulle catene laterali o aprire lo spazio all’inserimento dei due giocatori di fascia, è in grado di giovarsi dell’intesa con Papu Gómez per trovare una continuità realizzativa finora sconosciuta, privilegiando l’entrata dal lato debole. E anche in non possesso il suo apporto (oltre il 40% di contrasti vinti, 62% il dato relativo ai duelli aerei) risulta determinante, soprattutto quando si tratta di accorciare una volta saltata la prima linea di pressione o di difendere la transizione in situazione di inferiorità numerica. Per dirla alla Gasperini: «Lui è sempre stato un ragazzo dai mezzi importanti. È un giocatore duttile, segna come un attaccante ma è un centrocampista e si fa apprezzare molto perché sa fare entrambe le fasi».

Sovraccarico in zona palla sulla sinistra, il Gómez che taglia verso l’interno servendo l’accorrente Cristante inseritosi sul lato debole: l’Atalanta 2017/18 in una singola azione

Con Federico Chiesa si arriva all’estremizzazione del “tuttocampismo”. Dopo l’esordio contro la Juventus come spalla sui generis di Kalinic, Sousa decide di sfruttarne le capacità di resistenza, corsa e dribbling (una media del 55% di uno contro uno vinti dal 2016/17 ad oggi) come esterno di destra nel 3-4-2-1 asimmetrico (ruolo molto dispendioso: oltre a ripiegamenti profondi in fase di non possesso, Chiesa era spesso il giocatore deputato a guidare la risalita del campo fornendo un comodo appoggio sugli esterni prima di attaccare la profondità), prima che Pioli decida di ricostruirlo come ala pura nel suo 4-3-3. E potrebbe non essere finita qui, visto che il tecnico dell’Under 21 Di Biagio lo vede come  «uno che può fare tutto, dall’esterno di centrocampo alla mezzala. Ha corsa, intelligenza e disponibilità». Una trasformazione ulteriore che richiederà tempo e, soprattutto, una maggiore associatività nelle scelte e nelle giocate e una minore tendenza a caricare a testa bassa sempre, incanalando l’esplosività e l’istintività i giusti binari, magari percorrendo tracce più interne sul terreno di gioco.

 

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