La malinconica fine del Belgio

L'eliminazione in Qatar certifica il tramonto della Golden Generation.

Per molti osservatori esterni e (forse) neutrali, il fatto che l’eliminazione del Belgio sia stata “agevolata” – se non addirittura causata – dagli errori sotto porta di Romelu Lukaku contro la Croazia, nella gara decisiva della fase a gironi, racconta perfettamente la parabola recente della Nazionale di Roberto Martínez. È una questione di corsi e ricorsi e ricordi storici: il centravanti dell’Inter ha segnato 68 gol in 104 partite disputate con la maglia del Belgio, una cifra altissima, incredibile, eppure solo due di questi gol sono arrivati nelle otto gare a eliminazione diretta giocate ai Mondiali e/o agli Europei – nove se aggiungiamo quella di ieri, uno spareggio travestito da match della fase a gironi. In questo score, c’è tutta l’incompiutezza anche della rappresentativa guidata prima da Marc Wilmots e poi da Martínez, di una squadra fortissima – anzi: praticamente imbattibile – nei gironi di qualificazione e poi quasi sempre non all’altezza nei momenti decisivi. Una breve rassegna: eliminazione ai quarti di finale dei Mondiali 2014, contro l’Argentina, dopo aver battuto gli Usa ai supplementari nel match degli ottavi; eliminazione ai quarti di Euro 2016 per mano del Galles, dopo aver battuto l’Ungheria agli ottavi; eliminazione in semifinale ai Mondiali 2018, contro la Francia, dopo aver rischiato di uscire contro il Giappone agli ottavi e dopo aver battuto il Brasile nei quarti; eliminazione ai quarti di Euro 2020, contro l’Italia, dopo aver battuto un bruttissimo Portogallo agli ottavi. È andata così persino in Nations League: poco più di un anno fa, i Diavoli Rossi superarono la prima fase ma si arresero nella semifinale contro la Francia.

Leggendo questa cronistoria, avrete sicuramente notato che c’è stato un momento in cui le cose sembravano essere cambiate. Ovviamente stiamo parlando della splendida cavalcata di quattro anni fa, o meglio del bellissimo successo contro il Brasile nei quarti di finale di Russia 2018: dopo l’autorete di Fernandinho in apertura, il gol di De Bruyne – arrivato al termine di una sontuosa azione di ribaltamento in campo aperto – e la gestione sapiente della gara e dei minuti finali sembravano aver messo il timbro sull’iscrizione del Belgio al circolo ristrettissimo delle grandi Nazionali, quelle che possono vincere davvero, non solo sulla carta. In virtù di quella grande e storica affermazione, i giornali e l’opinione pubblica accettarono di buon grado l’eliminazione con la Francia nella gara successiva, anche perché la sconfitta contro i Bleus arrivò al termine di una gara equilibratissima, risolta solo da un gol di Umtiti.

Da allora, però, le cose sono rimaste piuttosto ferme, per il Belgio. A cominciare dal gruppo-squadra: contro la Croazia, Martínez ha schierato sei giocatori che erano titolari nella gara di quattro anni fa contro il Brasile, e anche i subentrati Lukaku e Hazard erano in campo a Kazan; inoltre, come se non bastasse, due dei dei cinque “nuovi” titolari in campo ieri, Dendoncker e Mertens, erano in panchina in occasione della sfida alla Seleçao. Insomma, in Qatar è arrivato un Belgio che sapeva di vecchio, una Nazionale che aveva deciso di rimandare il ricambio generazionale dopo la sconfitta contro l’Italia agli Europei di un anno e mezzo fa, che pensava di potersi giocare un’ultima chance perché non si parlasse di fallimento, per questa (irripetibile?) Golden Generation. Ora, però, utilizzare certi termini è praticamente inevitabile. Anche perché al logorio del progetto tecnico-tattico si è aggiunta la crisi dei rapporti interni, sublimata nelle voci diffuse dalla stampa internazionale e anche nelle dichiarazioni dei protagonisti nel corso della spedizione in Qatar: il botta e risposta tra Vertoghen e De Buyne sul fatto che la squadra sia «vecchia» in difesa e in attacco, le indiscrezioni sul rapporto nullo tra alcuni senatori della squadra e la conferma del ct Martínez – che ha detto «sì, ci sono tensioni in squadra: si tratta di giocatori cresciuti insieme, ci siamo evoluti come una famiglia» – hanno messo la parola fine sulla storia di questo gruppo. Molto più di quanto non abbia fatto il campo.

Gli errori di Lukaku

In effetti, tornando a Lukaku e ai suoi gol sbagliati, è chiaro che sarebbe bastato poco perché questa sconfitta si tramutasse in una vittoria, in un passaggio del turno. Ma il punto è che «il Belgio ha giocato in modo offensivo e convincente, almeno in parte, solo per un tempo su sei nelle tre partite della fase a gironi», come ha scritto The Athletic. Ed è effettivamente troppo poco per poter recriminare su questa eliminazione. In questo senso le dimissioni immediate di Martínez, annunciate dal ct in lacrime nella conferenza postgara, sono un’assunzione di responsabilità, certificano l’incapacità di dare nuovi impulsi a una squadra che aveva già raggiunto e superato il suo apice, che ora deve darsi un volto nuovo, più fresco, dopo anni passati a chiedersi come si fa a diventare grandi e vincenti, senza però trovare le risposte giuste.

È difficile pensare che potranno riuscirci i vari Doku, De Ketelaere, Onana e Theate guidati dal 25enne Tielemans, l’uomo di transizione tra la vecchia e la nuova generazione: questa nidiata di talenti sembra ancora acerba per poter dar forma a una Nazionale ambiziosa come quella che l’ha preceduta, anche se in realtà non li abbiamo ancora visti giocare davvero, non li abbiamo visti prendersi il Belgio sulle spalle. E il problema, forse, è stato proprio questo. Chissà che con un nuovo ct le cose non possano finalmente cambiare, dopo anni di stagnazione. Dorata, ma pur sempre stagnazione.